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Addio a Ennio Fantastichini, il volto irrequieto del Cinema

L'attore era gravemente malato ed era ricoverato da due settimane in rianimazione al Policlinico Federico II

Addio a Ennio Fantastichini, il volto irrequieto del Cinema
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1 Dicembre 2018 - 21.06


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E’ morto a Napoli Ennio Fantastichini. Il noto attore, 63 anni, era ricoverato da due settimane nel reparto di Rianimazione del Policlinico Federico II, per complicanze legate a una leucemia acuta promielocitica. Gli sono stati fatali i problemi emorragici dovuti alla neoplasia ematologica di cui soffriva. In particolare, a stroncarlo sono state le emorragie cerebrali, seguite a complicanze polmonari e intestinali.

Fantastichini si è guadagnato grande popolarità soprattutto con le fiction di successo trasmesse sul piccolo schermo. Ma l’attore è stato anche un interprete sottile e raffinato, cresciuto avendo negli occhi un modello espressivo, quello di Gian Maria Volonté con cui fece poi coppia in “Porte aperte” di Gianni Amelio (1989) e di cui riprese, a modo suo, gli accenti interpretando l’anarchico Vanzetti nella fiction del 2005 dopo che Volontè aveva dato il volto allo stesso personaggio nel film di Giuliano Montaldo (1971).

Nato a Gallese, paesino del viterbese il 20 febbraio 1955, figlio di un maresciallo dei carabinieri, era cresciuto a Fiuggi, per poi andare a Roma, ventenne, per iscriversi all’Accademia d’Arte Drammatica. La passione per l’arte deve essere stata un cromosoma di famiglia se suo fratello Piero si è poi affermato come pittore e scultore e lui stesso debuttava, appena quindicenne, in teatro cimentandosi con Beckett e i classici.

Fantastichini si lascia alle spalle quasi 50 film, una quindicina di ruoli in tv, qualche incursione in palcoscenico, testimonianza di un attivismo frenetico, quasi a compensare una vita privata tormentata e difficile, con due storie d’amore e un figlio adorato (Lorenzo) intorno a cui ha sempre steso una ferrea barriera di riservatezza, lontano dal gossip e dagli scandali.

Per Ennio il vero amore aveva le forme della cinepresa, capace di scrutare nelle insicurezze del volto, nella mobilità appassionata dello sguardo, nelle mani irrequiete e in quel corpo da toro che esibiva con sfrontata e talvolta voluta allegria. La lezione dell’Accademia si ritrovava invece nella sapiente alternanza tra interpretazioni sommesse e altre volutamente sopra le righe, con un controllo rigoroso della lingua (lui, romano) e un metodo quasi istintivo di usare tutto il corpo per costruire il personaggio.

Candidato molte volte ai premi nazionali, custodiva gelosamente le grandi vittorie, sempre però da coprotagonista: il nastro d’argento per “Porte aperte”, il Premio europeo nel nome di Fassbinder conquistato con lo stesso film e il David di Donatello per “Mine vaganti” di Ferzan Ozpetek (2010), uno dei registi che più lo hanno amato e capito. Ma il più franco successo di pubblico lo deve a Paolo Virzì, che gli affidò il ruolo dello smargiasso Ruggero Cantalupi, tipico esponente del “generone” romano a fianco di Sabrina Ferilli in “Ferie d’agosto” (1996).

Il suo primo ruolo al cinema risale al 1982 con “Fuori dal giorno” di Paolo Bologna, ma già tre anni dopo ha la fortuna di recitare con Gassman e Mastroianni in “I soliti ignoti vent’anni dopo” di Amanzio Todini: quasi un sogno per quel ragazzone innamorato del mestiere d’attore.

Irrequieto e spesso introverso, dal carattere difficile, ha cambiato molto spesso i suoi registi: solo Amelio, Rubini, Piscicelli e Ozpetek possono vantare due collaborazioni con lui. Ma la lista degli autori che lo hanno scelto e fortemente voluto è invece lunga: Claudio Bonivento, Peter Del Monte, i Fratelli Manetti, Riccardo Milani, Maria Sole Tognazzi, fino a Sebastiano Riso che lo ha diretto per l’ultima volta in “Una famiglia” del 2017.

A scorrerne i ruoli saltano agli occhi opere di grande spessore come “Una storia semplice” di Emidio Greco (1991), “Notturno Bus” di Davide Marengo con Valerio Mastandrea (2007), “Fortapasc” di Marco Risi (2008), “Le ombre rosse” di Citto Maselli (2009) o registi europei come Claude Zidi, Peter Greenaway, Michael Radford.

In televisione debutta con Giorgio Capitani (“Un cane sciolto”, 1990), incrocia poi Carlo Lizzani, Nanni Loy, Luigi Perelli (la “Piovra 7” del 1995 con la morte del commissario Cattani), Gianluca Maria Tavarelli (gli regala una mimetica immedesimazione in Paolo Borsellino), fino a conquistarsi ritrovata celebrita’ con “Squadra antimafia” (2016) e poi nel “Principe libero” (2018) come padre di Fabrizio De André. Sono forse pochi a poter dire oggi di aver veramente conosciuto Ennio Fantastichini, che rideva spesso del suo cognome e sosteneva che quell’idea di “fantastico” era stata una premonizione. Chi l’ha conosciuto ha sempre avuto l’impressione che dietro una vitalità “esagerata” si celasse un carattere fragile, solo apparentemente aspro e in perenne ricerca d’affetto. Ma l’attore rimane nel cinema italiano con le stigmate del perfetto coprotagonista: un caratterista come non ce ne sono più.

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