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Gli Oscar ai tempi di Trump

Il punto di Piero Cinelli: dopo la polemica #Oscarsowhite dell’anno passato premiare Lalaland significherebbe, per molti, un ritorno al passato.

Gli Oscar ai tempi di Trump
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2 Febbraio 2017 - 14.25


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di Piero Cinelli

Vincitore di 7 Goden Globes e candidato a 14 Oscar sembra che Lalaland, il musical di Damien Chazelle interpretato dai bravissimi Emma Stone e Ryan Goslin abbia praticamente già vinto l’Oscar dell’anno. Una pellicola magistrale sotto ogni punto di vista, un atto di amore al grande cinema di Hollywood degli anni quaranta e cinquanta ed alla desueta categoria dei musical, in particolare quelli di Fred Astaire e Ginger Roger, da cui ha attinto a piene mani. Eppure, nonostante tanta maestria e tanto talento, questa vittoria annunciata non è affatto scontata. Il punto è che buona parte del mondo del cinema, in un momento storico come questo, vedrebbe di buon occhio un Oscar con una valenza politica diversa. Lalaland per molti motivi, sia per l’idealizzazione dei ’good old days’, un’epoca che può far sognare i bianchi ma che per gli afroamericani rappresenta un vero e proprio incubo, che per l’utilizzo salvifico da parte di un bianco della musica jazz, di cui la comunità nera rivendica a pieno titolo l’invenzione, non è amato dal pubblico di colore.

Dopo la vivace polemica #Oscarsowhite dell’anno passato premiare Lalaland significherebbe, per molti, un ritorno al passato. Un ritorno al passato che in un periodo politicamente controverso come questo, potrebbe essere interpretato come un ennesimo vantaggio al populista neoconservatore Trump, assegnato per assurdo da quella comunità artistica di Hollywood che lo considera un pericolo per la nazione. In realtà dopo la campagna degli #Oscarsowhite il cambiamento di rotta c’è stato, visto che quest’anno ci sono ben sei candidature per gli attori di colore: Mahershala Ali (Moonlight) nella categoria attori non protagonisti, Viola Davis (Barriere), Naomie Harris (Moonlight) e Octavia Spencer (Il diritto di contare) nella categoria attrici non protagoniste, Denzel Washington attore protagonista (Barriere) e Ruth Negga (Loving) attrice protagonista. Insomma se l’Academy nel 2017 sembra avere scoperto i neri del cinema, finirà per premiare un film che ‘profuma di bucato’? C’è da dire che i candidati ‘all black’ che potrebbero rappresentare la sfida maggiore a Lalaland sono artisticamente più fragili e minoritari. Moonlight del regista di colore Berry Jenkins candidato sia come miglior film che come miglior regia, storia di un adolescente di colore gay in un quartiere degradato di Miami, mette forse troppa carne al fuoco, mentre Barriere di Denzel Washington, per quanto possa essere l’antiLalaland per eccellenza, visto che racconta l’altra faccia della medaglia ovvero la vita di una famiglia nera nella Pittsburgh degli anni 50, forse è un pò troppo condizionato dal suo impianto teatrale.

Intanto dopo la chiusura delle frontiere ai paesi islamici il regista iraniano Asghar Farhadi (già vincitore di un Oscar nel 2011 con La separazione) e adesso nominato all’Oscar per The salesman (Il cliente) come miglior film straniero ha dichiarato di boicottare il Premio, aggiungendo che gli Stati Uniti di oggi sono identici all’Iran “Gli estremisti, nonostante le loro nazionalità, i loro argomenti politici e le guerre, guardano e comprendono il mondo decisamente alla stessa maniera”.

Infine, in questo clima antagonista e di #alternativefacts Fuocammare dell’italiano Gianfranco Rosi, il film più visceralmente distante dalla politica sanzionatoria e isolazionista dell’amministrazione Trump vede aumentare le proprie chance di vincere la statuetta di miglior documentario. Appuntamento al 26 febbraio.

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