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Piera Detassis: non siamo Venezia, la parola d'ordine è discontinuità

Intervista a Piera Detassis, direttrice della manifestazione per tre anni e da febbraio Presidente del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Cinema per Roma.

Piera Detassis: non siamo Venezia, la parola d'ordine è discontinuità
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16 Ottobre 2015 - 14.26


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di Piero Cinelli

Piera Detassis, collaboratrice dal primo anno del Festival di Roma che ha diretto per un triennio, da febbraio è Presidente del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Cinema per Roma.

Cosa cambia nella edizione numero dieci della Festa del Cinema?

Stiamo lavorando in molte direzioni, una di queste è l’adozione di un modello di festival diffuso, che non si esaurisca all’interno dell’Auditorium ma che possa incontrare il pubblico anche in altri luoghi e quindi anche nelle sale cinematografiche. A questo proposito colgo l’occasione della Vostra testata, da sempre vicina al mondo dell’esercizio, per ringraziare l’Anec, in particolare l’Anec Lazio per il contributo operativo e di passione che ci è stato dato, e che ci ha permesso di stringere un’alleanza che ci consentirà l’accesso alle sale di cinema, non solo durante la Festa ma durante tutto l’anno. E questo è il secondo punto al quale sto lavorando: andare oltre la Festa, oltre l’evento. L’attività della Fondazione non si esaurisce nei giorni della Festa ma, soprattutto in una città come Roma, coordina varie iniziative che verranno spalmate durante l’intero arco dell’anno. Lo strumento è il Cityfest che fa capo alla Fondazione ed i cui responsabili sono Mario Sesti per tutto quello che riguarda gli incontri, le anteprime, le rassegne, le master class, e Gianluca Giannelli e Fabia Santini sotto al cappello di “Alice nella città” per tutto quello che riguarda il pubblico più giovane, la parte educational, inoltre coinvolgeremo anche i ragazzi di Piccola America. Cerchiamo di far crescere tutta la parte che sta attorno alla Festa e di allearci strategicamente con tutti coloro che fanno cinema a Roma e nel Lazio, perché credo che non si possa più concepire un festival come un’isola per cinefili: non ci sono più i mezzi e nemmeno forse l’interesse, per un’operazione di questo tipo. Inoltre abbiamo spinto per eliminare dalla Festa alcune liturgie, che fanno parte dei festival classici, per aprirla sempre di più al pubbli
co. Come Fondazione sento la responsabilità non solo di ‘fondare’, di costruire qualcosa di solido, ma di farlo in sinergia con tutti coloro che si occupano di audiovisivo a Roma e nel Lazio, cercando di costruire una rete.

Possiamo dire che la Festa di Roma sta andando in una direzione opposta rispetto al Festival di Venezia?
È il nostro obiettivo. La nostra parola d’ordine è discontinuità. Se poi ci riusciamo già dal primo anno, non lo so, ma il percorso è quello, ed è un percorso a mio avviso inevitabile e necessario. Un percorso comunque iniziato molto tempo fa. Ho sempre pensato che Roma doveva essere diversa, non cè spazio per un altro Festival come Venezia, e non c’è un’altra Venezia.

Come Presidente della Fondazione dovrà supervisionare anche il Fiction fest?
Preferisco pensare di essere il coordinatore di un gruppo a cui posso dare delle linee ma che è già in grado di portare avanti il proprio lavoro. Il Fiction Fest mi piace molto perché mi interessa molto la serialità. Non c’è dubbio che il confine tra i due festival sia sempre più labile, viste ad esempio le grandi produzioni seriali internazionali ed italiane ed il loro scambio continuo con il cinema, pertanto credo personalmente che una vicinanza tra questi due eventi sia necessaria. Ma le decisioni più importanti spettano ad Apt e Regione Lazio, che hanno ideato e portano avanti questo progetto, e di cui apprezziamo il ruolo fondamentale. Noi intanto siamo ben lieti di farci carico dell’aspetto organizzativo.

Il mercato è considerato un asset strategico della festa. E’ prevedibile un rafforzamento?

L’intenzione è di farlo crescere, ed anche in questo caso all’insegna della discontinuità, perché sarà il primo mercato che comprende cinema, serie, documentari, videogame. Stiamo cercando tutti insieme di costruire un modello sinergico, globale, progettuale che possa mettere radici e creare possibilità e occasioni per l’industria e per il business.

L’apertura con Truth, un film importante ma già visto al Festival di Toronto, può essere un segnale di rottura rispetto alle anteprime mondiali rincorse in passato?
Veramente è da tempo che abbiamo ridimensionato questo modello, oggi sicuramente molto di più. Io penso che dobbiamo cercare di mantenere, e questo è un discorso condiviso con Antonio, l’anteprima europea. Rincorrere le anteprime mondiali sarebbe una sciocchezza perché ci metterebbe in concorrenza con Toronto e con Venezia, senza dare un servizio al pubblico che è il nostro obiettivo primario. Quello che ci contraddistingue.


* Questo articolo è stato pubblicato sul Giornale dello spettacolo anno 70, [url”n. 6 – Ottobre 2015″]http://giornaledellospettacolo.globalist.it/Detail_News_Display?ID=85462&typeb=0&giornale-dello-spettacolo-speciale-romaff10[/url]

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