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Rising Star: Valeria Perdonò

Secondo appuntamento di maggio con le Gallery di Rising Star dedicate ai nuovi talenti dello spettacolo italiano. E questo è il turno di Valeria Perdonò

Rising Star: Valeria Perdonò
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19 Maggio 2016 - 10.48


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di Nicole Jallin

La incontriamo sul finire di un’ordinaria giornata di frenesia lavorativa, Valeria Perdonò. Ha da poco terminato le riprese di “Nuvolari” di Tonino Zangardi, prodotto dalla Format con, tra gli altri, Alessandro Haber, voce narrante in flashback della storia di Tazio Nuvolari, di cui Valeria interpreta la madre. E lei, Valeria, trentatreenne foggiana d’origine, mantovana-milanese-romana d’adozione – segni particolari: vivace carattere distinto da una sensibilità femminile risoluta ed elegante, in felice complicità con una sana e (molto) accattivante personalità attoriale – s’è anche recentemente vista in numerosi lavori teatrali che includono “Il giardino dei ciliegi” con regia di Corrado d’Elia; “Coefore/Eumenidi” di Eschilo su direzione di Daniele Salvo; “Il Mercante di Venezia” siglato da Alberto Oliva; “Il sogno” di Strindberg diretto da John Alexander Petricich; il pirandelliano “Non si sa come” e “Veronika Voss” di Fassbinder, per doppia regia di Pasquale Marrazzo.

E poi le drammaturgie contemporanee di “Homicide House”, nella spiccata scrittura di Emanuele Aldrovandi e regia di Marco Maccieri; “TestaStorta”, dall’israeliana Nava Semel diretta da Manuel Renga, e “After The End”, del britannico Dennis Kelly, regia di Luca Ligato, che la vedono protagonista accanto ad Alessandro Lussiana, con cui fa ormai (artistica) coppia fissa: «Dunque: ognuno ha le sue croci, io ho Lussiana… E il mio rapporto con Alessandro è così forte e sinceramente fraterno che posso lietamente affermarlo. E forte è pure la sintonia professionale, oltre che umana, che portiamo in scena e sul set ormai da molto tempo: la “ditta Lussiana-Perdonò” ha infatti alle spalle molte collaborazioni, ne ha altre in attivo e altre ancora in cantiere. Tra queste, l’obiettivo di dar vita a uno spettacolo tutto nostro, dalla scrittura all’interpretazione: non è facile occuparsi di tutto, ma, ripeto, c’è una grande confidenza alla base, e questo, assicuro, influisce su una buona metà della resa del lavoro».

Un amore – anzi un’esigenza – quello per la scena, che Valeria ascolta e segue da sempre, e che la porta alla “Silvio d’Amico” e poi in tanti seminari, laboratori e stage anche riconducibili a Carmelo Rifici, Anna Marchesini, Serena Sinigaglia, Sergio Rubini, Daniele Salvo, e Luca Ronconi: «Avrei voluto insistere di più con lui, con Ronconi. Dopo una sua masterclass in Accademia, avrei voluto (e dovuto) ripropormi. Subito. Perché quando l’ho fatto, lui non c’era più. L’ho amato molto, Ronconi, ma purtroppo a distanza. Però sono felice del mio percorso: cercavo una formazione accademica perché ti dà comunque un’impostazione articolata e salda sulla quale costruire una propria autonomia artistica. L’alternativa allora era la Paolo Grassi con il corso di organizzazione teatrale: una strada diversa che m’interessa e che parallelamente percorro». Perché? «Mi piace. Mi piace la relazione con le persone, il lavoro di squadra, la progettazione e la gestione della complessa “macchina” che mette in moto uno spettacolo. E poi credo che oggi sia importante essere consapevoli imprenditori di se stessi, avere quanti più strumenti possibili per realizzare occasioni professionali, e non soltanto aspettarle. È una considerazione concreta la mia, niente retorica: dobbiamo guardarci attorno, creare sinergia con gli altri, lavorare insieme: penso sia una delle poche soluzioni per restare a galla».

Tanto teatro sulla strada di Valeria ma anche pubblicità, televisione e cinema (da “Il grande sogno” di Michele Placido, al docufilm “Madri” di Emanuela Rizzotto; da “Due negli occhi” di Nicola Paolini al “Il primo giorno” di Michelangelo Placido, per citarne alcuni): «La vita mi ha allontanato da Roma perciò non sono ancora riuscita a marcarlo stretto, il cinema. Ma vorrei presto mettermi alla prova con la macchina da presa e le sue difficoltà, che sono diverse rispetto al teatro: perché è difficile, ci sono difficoltà e tecniche molto diverse dalla scena. Diffidate da chi dice che al cinema è tutto più facile. Non è vero».

Intanto, al nord, tra Milano e Mantova, dove risiede tutt’ora – ma sempre con la valigia pronta -, Valeria si dedica anche all’insegnamento nella scuola per non professionisti di “Ars creazione e spettacolo”, e si prepara a nuove messinscena, come “Amorosi assassini”, monologo sulla violenza femminile (tema cui Valeria dedica particolare attenzione) da lei scritto e interpretato: «È uno spettacolo che porto anche nelle scuole, nei centri sociali e antiviolenza. Non voglio giudicare, né elargire risposte, né cadere in pietismi, ma riflettere insieme sulla violenza femminile partendo da fatti di cronaca raccolti nel testo omonimo, che affronto (grazie anche a citazioni letterarie e non solo) con una rispettosa ma anche schietta ironia. Grazie a questo e altri lavori intorno alla condizione femminile ho compreso l’impegno e la responsabilità di essere attrice, e l’importanza del teatro quale mezzo di comunicazione privilegiato capace di vincolare concetti ed emozioni forti, che ti restano dentro. E oggi, all’epoca della velocità 2.0, del teatro risuona ancora di più il suo essere presenza viva. Viva. Perché il teatro non è morto: è vivo. Vivissimo».

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