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Rising Star: Jacopo Venturiero

Sempre più numerosi i giovani talenti della scena italiana che entrano nella Gallery di Rising Star. Questa settimana parliamo di Jacopo Venturiero. [Nicole Jallin]

Rising Star: Jacopo Venturiero
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21 Aprile 2016 - 10.41


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di Nicole Jallin

Inutile girarci attorno: Jacopo Venturiero, trentun anni romano, è uno tra i più poliedrici, seriamente intriganti e scenicamente prestanti nuovi profili attoriali italiani. Diplomato alla Silvio d’Amico, con alle spalle un Master con Anatoli Vassl’ev, importanti stage e seminari condotti da Jean-Paul Denizon, Toni Servillo, Alessandra Niccolini, e studi all’American Conservatory Theatre, Jacopo, che ha recentemente incontrato il pubblico capitolino con due notevoli lavori, “Cock” di Mike Bartlett all’Orologio e “Costellazioni” di Nick Payne al Brancaccino, entrambe regie di Silvio Peroni, è ora alle prese con la sofoclea “Elettra” diretta da Gabriele Lavia, che il 13 maggio aprirà il 52° Ciclo di Rappresentazioni Classiche dell’INDA al Teatro Greco di Siracusa: lì dove, quattro anni fa, recitava sia nel “Prometeo incatenato”, diretto da Claudio Longhi, che nelle “Baccanti” con regia di Antonio Calenda: «Mi alternavo nei due spettacoli, tutti i giorni: bellissimo. Faticoso ma intenso, concentrato, difficile: per un attore, un forte allenamento alla versatilità. Adesso ci aspetta una “Elettra” che Lavia cala in un’atmosfera un po’ gotica, decadente, dove si sviluppa una moderna ricerca su un istinto umano immediato, sfacciato, che s’ispira anche a una certa azione filmica americana. E io sarò un Oreste molto coraggioso e virile, votato alla sua causa, ma anche tanto spaventato: decisamente non eroico. Insomma: uno spettacolo molto interessante».

Un passato lavorativo, il suo, che registra numerose collaborazioni con Antonio Calenda, che lo guida, tra gli altri, nella brechtiana “Vita di Galileo”, in “To Be Or Not To Be” di Maria Letizia Compatangelo, in “Hedda Gabler” di Ibsen, in “Passio Hominis” insieme a Lina Sastri. Ma indelebile è soprattutto la felice intesa con Silvio Peroni, che lo vuole, oltre ai già nominati “Cock” e “Costellazioni” – nuovamente in replica il prossimo autunno -, anche in “Ex Voto” di Xavier Durringer e “Art” di Yasmina Reza: «È un regista che ha saputo trovare una metodologia dell’attore nello studio di un testo, e concentra il suo lavoro sull’interprete, condivide con lui lo sforzo comune e costante volto a migliorare, migliorare sempre per restituire sulla scena la vita dei personaggi, per toccare le loro esigenze reali, le loro urgenze concrete: sono verità che l’attore deve raggiungere. E Silvio sa come condurlo a questo contatto. È un compito arduo ma necessario perché si racconti una storia e lo si faccia bene basandosi sono sul testo, sull’azione, e sulla presenza dell’attore. Perché non serve altro. È un sfida giustamente difficile e impegnativa, che in Italia, purtroppo, si affronta raramente».

Una giovane e intensa carriera scenica quella di Jacopo, menzione speciale Hystrio alla Vocazione nel 2006, che si è già misurata (anche registicamente) con moltissime testualità classiche e scritture contemporanee, interpretazioni originali e riletture dell’attualità: dall’“Odissea” di Walcott, per regia di Vincenzo Manna e Daniele Muratore, al “Dracula. La leggenda” diretto da Jacopo Bezzi su testo di Massimo Roberto Beato; dall’autobiografia reinventata di Marguerite Yourcenar sulle “Memorie di Adriano”, per la regia di Maurizio Scaparro, al “Girotondo” di Schnitzler diretto da Lorenzo Salveti, al “Manto di luna” di Philip Ridley, con regia di Massimiliano Farau: «Gli autori inglesi sanno portare in scena la vita complessa delle persone, la loro autenticità, i loro linguaggi. Noi siamo molto più didascalici: inseriamo monologhi con la funzione prioritaria di spiegare: spiegare tutto, sempre, come spesso accade nelle nostre fiction. Certo, il teatro in italia non dà sufficiente spazio alla drammaturgia contemporanea del nostro paese per poter selezionare, confrontare e giudicare davvero la qualità dei testi. Il motivo? Manca un mercato, manca un pubblico, manca un attivo interlocutore produttivo e commerciale e, dunque, manca un interesse e un’attenzione vitale che consenta di costruire una solida e fondamentale identità teatrale».

Non c’è però solo il palcoscenico nella vita professionale di Jacopo: oltre a donare la sua voce al doppiaggio, speakeraggio, letture, programmi radio, si relaziona già da giovanissimo con lo schermo, piccolo e grande, con serie TV come “Distretto di Polizia 2”, “Il Maresciallo Rocca”, “Nero Wolfe”, Centovetrine”, “Giorni da Leone 2”; e pellicole da “La medaglia” di Sergio Rossi, a “Uomini & donne, amori & bugie” di Eleonora Giorgi; da “Dio c’è” di Alfredo Arciero, al corto scritto e diretto da Carlo Chiaramonte “Tutto da sola”: «Il cinema è stato il mio primo amore ed è ancora un mio sogno. Ma è difficile realizzarlo». Perché? «C’è una generale sfiducia produttiva verso le doti degli interpreti emergenti. Si tende a scegliere – magari a priori – nomi e volti conosciuti, per un minor rischio commerciale. Questo non permette una sana competizione, e spesso chi ha studio e capacità deve confrontarsi con chi è popolare grazie a una buona occasione di visibilità. Purtroppo è più gettonato chi fa parte di lobby, cerchie di eletti o titolati, al di là del talento o del merito, ma io soffrirei molto se venissi scelto per un premio vinto e non per l’abilità. Infatti sono felice di vivere adesso, a Siracusa, quella che per me è la situazione ideale: ho contattato Lavia per fare il provino e mettermi in gioco. Mi ha risposto, l’ho fatto, gli sono piaciuto e ora sono qui. Nessuna raccomandazione. È una serietà importante e commovente che difenderò con grande determinazione».

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