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Maria Roveran, il nuovo canto del cinema italiano

Intervista con un'artista italiana a tutto tondo. Dal cinema, al teatro, dalla tv alla musica: un concentrato esplosivo di talento, simpatia e modestia.

Maria Roveran, il nuovo canto del cinema italiano
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28 Marzo 2015 - 10.50


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di Davide Monastra

Attrice e musicista, Maria Roveran – un concentrato esplosivo di talento, simpatia e modestia – si è fatta conoscere dal pubblico italiano nel 2014, grazie ai film “Piccola Patria” e “La foresta di ghiaccio”, che hanno entusiasmato pubblico e critica, e che l’hanno consacrata definitivamente nel panorama cinematografico italiano. “L’anno appena trascorso è stato per me molto importante – ha sottolineato – . Mi sono successe tante cose a livello recitativo, sia teatrale che cinematografico. Adesso sto cercando di lavorare su me stessa per capire quale direzione dare a tutto questo.”

Maria, che cosa ti aspetti dal 2015?

Guarda da questo 2015 mi aspetto di essere consacrata come apicoltrice (ride, ndr.)! No scherzo. Non so che cosa mi aspetta. Ho qualche progetto in cantiere, che mi auguro di riuscire a portare avanti. Sono tutti progetti che mi richiedono di fare i conti con me stessa, di mettermi alla prova, eventualmente affrontando alcune mie lacune. Però in tutto ciò che faccio ci deve essere un percorso altrimenti non ci vedo un senso.

Sei un’attrice di cinema e di teatro, ma anche una cantante e musicista: come preferisci essere definita?

Una rompiscatole (ride). Come mi devo definire?

Io direi artista, tu?

A me fa paura questa parola. Non ho mai capito bene che cosa voglia dire “artista”. Non è una cosa retorica, proprio non l’ho ancora capito. L’uomo secondo me è un artista di per sé, a tutto tondo. Poi sai: c’è chi la libera di più in certi rami e fa delle cose non prettamente fruibili a livello naturale o commerciale. Io non faccio il pane ad esempio, ma canto, eppure non riesco a definirmi un’artista. Ripeto: l’uomo di per sé è un essere artistico. Posso dire che sono una persona alla ricerca, se però devo definirmi direi che sono una ricercatrice. A me piace più cercare e questo termine è da utilizzare nel senso meno aulico possibile: mi sento una bambina che gioca alla caccia al tesoro. Sono una persona e ovunque vado porto i miei punti di domanda.

In un [url”sondaggio del Giornale dello spettacolo”]http://giornaledellospettacolo.globalist.it/Detail_News_Display?ID=77921&typeb=0&17-12-2014–Marco-Palvetti-e-la-rivelazione-2014-del-cinema-italiano-[/url] sulle promesse del cinema italiano, ti sei classificata al secondo posto e come prima donna: ti saresti mai immaginata di avere così tanto successo quando hai inizato a lavorare come attrice?

Ma no, assolutamente no! Anzi mi aspetto che sia truccato il sondaggio! (pronuncia la frase con una fragorosa e contagiosa risata). Io ho iniziato proprio per caso a fare l’attrice, come potevo immaginarmelo? Io studiavo fisica all’università e non avrei mai sognato di fare tutto ciò. È un percorso che ho iniziato ora. Questo, nonostante sia facile prendere il volo, mi mantiene ancora con i piedi per terra e spero di rimanere così. Sono grata e ringrazio tutti quelli che mi hanno votato. Per me è un grande riconoscimento, perché in Italia ci sono tanti attori giovani di talento che meritano attenzione.

Che cosa ti senti di consigliare ai giovanissimi che hanno voglia di intraprendere la carriera di attore?

Io cerco di fare qualcosa che è difficilissimo. Per fare questo mestiere, la cosa più importante è farlo, pensando che non stai facendo l’attore. Devi sdoppiarti. L’obiettivo per me è quello di mantenersi più semplice possibile. Semplice significa da un lato farsi contaminare da tutto ciò che si incontra, ma dall’altro significa non perdere mai di vista la genuinità che c’è dietro a questo lavoro. Ogni volta che sali sul red carpet, che ti consegnano un premio, ti stanno facendo credere di essere altro che non è. Per me il 2014 è stato un anno stupendo, ma io miro a stare con le persone, a lavorare con le persone. I riconoscimenti sono fondamentali, ma se poi non li condividi nell’atto pratico, alla fine che cosa rimane? Una “Maria Roveran” “riconosciuta” ma che non dice nulla a nessuno. Il cinema, la musica, la performance teatrale è un mezzo per parlare alle persone. Se non avviene questo io mi… innervosisco. Quello che consiglio a tutti è cercare dentro di sé il motivo reale per cui si vuole fare questo lavoro. Magari qualcuno lo può fare per il successo. Ma anche in quel caso devi avere delle fortissime motivazioni: devi dire al mondo perché ti meriti quel successo.

A proposito di contaminazioni, sei stata sul set de “La Foresta di ghiaccio” con un mostro sacro del cinema internazionale come Emir Kusturica, che cosa hai appreso da lui?

Una grande serietà e disciplina nel lavoro. Un grande senso dell’equilibrio della composizione dell’ambiente, dello spazio, dei corpi e del modo in cui questi possono cominciare tra loro anche rimanendo in silenzio. C’è quest’uomo, Emir, di cui tutti proclamano la sua estrema durezza, ma in realtà io ci ho letto ben altro. Sicuramente sono stata fortunata: ha avuto un rapporto speciale con me ne “La foresta di ghiaccio”. Io l’ho trovato umano. Più che imparato, diciamo che ho osservato la sua umanità.

Per quanto riguarda la tua carriera musicale hai pubblicato un cd, “AlleProfondeOriginiDelleRugheProfonde”: come mai hai scelto di dare questo titolo al tuo album?

Mi vuoi chiedere perché deve per forza essere uno scioglilingua? Immagina quelli che alla radio devono dirlo: è scritto pure tutto attaccato, fanno una fatica… (si interrompe per ridere) Quando cerchi di dare un titolo, provi a dare il significato ultimo, più profondo di quello che è stato il tuo lavoro. Sono andata proprio AlleProfondeOriginiDelleRugheProfonde, prendendo come spunto questi “bellissimi” messaggi che danno le pubblicità del botulino e dell’acido ialuronico che parlano sempre della rughe profonde. Quindi mi sono chiesta: “Le rughe sono solo quelle della pelle o stanno anche da qualche altra parte?” Così ho deciso di dare questo titolo al cd e ho scelto come immagine di copertina una signora anziana con il volto segnato dalle rughe. I brani del cd sono quelli che canto nel film “Piccola patria”, la ninna nanna de “La foresta di ghiaccio”, più altre due canzoni inedite e in italiano.

Come mai hai scelto di scrivere canzoni in dialetto?

“Piccola patria” è un film totalmente in dialetto. Quindi mi è stato chiesto di scrivere così. Io non l’avevo mai fatto. Io ho sempre cantato per i fatti, miei perché fino a poco tempo fa ogni volta che mi esibivo, piangevo, perché mi sentivo messa a nudo. In quell’occasione, il regista Alessandro Rossetto mi ha pregato di cantare. Ho iniziato a scrivere e l’ho presa come una sfida, anche perché la prima volta che mi sono esibita davanti alla telecamera ho pianto come una deficiente. Poi però ho detto: “Ne approfitto, vediamo cosa c’è dietro a questa mia malinconia”. E così sono nate le canzoni del cd. Non è detto comunque che il dialetto sarà la mia lingua futura per la scrittura musicale. Ho anche scritto molti brani in italiano, proprio perché vorrei raggiungere il pubblico più vasto possibile.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Il 20 febbraio ho un concerto importante per me al centro Candiani di Mestre e farò altre due comparsate in Romagna. Per quanto riguarda il mio mestiere d’attrice ho alcuni progetti in ballo, ma al momento non posso svelare nulla.

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