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Sotto a chi tocca: l’ennesimo attacco alla Rai e al giornalismo di denuncia

In uno stato autenticamente democratico, in cui vigesse il diritto alla libera informazione, questo atteggiamento non sarebbe tollerato, o quanto meno sarebbe fortemente limitato.

Sotto a chi tocca: l’ennesimo attacco alla Rai e al giornalismo di denuncia
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23 Aprile 2020 - 10.06


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di Giuseppe Costigliola
Come sappiamo, la storia della Rai – e prima ancora della sua antenata, l’Eiar – è costellata da tentativi di colonizzazione, manipolazione e imbavagliamento. La politica, da sempre, cerca di metterci su le mani, per i suoi scopi: orientare, rassicurare, cooptare i cittadini.
In uno stato autenticamente democratico, in cui vigesse il diritto alla libera informazione, questo atteggiamento non sarebbe tollerato, o quanto meno sarebbe fortemente limitato.
In Italia non è mai stato così. Oltre alle perniciose logiche spartitorie che si susseguono all’indomani di ogni elezione politica, europea o persino amministrativa se di una certa rilevanza, si assiste puntualmente ad attacchi mirati a questo o a quel programma, a questo o a quel giornalista – comunque, sempre a quelle voci che si dissociano dall’indegno coro pecoreccio che intona il Te Deum al potente di turno. Gli esempi sono legione, dall’incontrastato potere democristiano degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, all’ingresso vorace dei socialisti, allo scempio dell’era berlusconiana che ha operato la distruzione del servizio pubblico, silurando persino giornalisti del calibro di Enzo Biagi, sino ad anni più recenti, con la longa manus dei renziani e dei salviniani: cambiano attori e comparse, fedi (o pseudo-tali) politiche, ma non la musica (anzi, la cacofonia).
Adesso apprendiamo che i due esponenti della Lega nel Cda hanno presentato un’interrogazione alla Rai, con questa motivazione: “Abbiamo inviato un’interrogazione alla Rai perché chiarisca, con la massima urgenza, chi finanzia i giornalisti cosiddetti freelance, nella preparazione e nella produzione finale dei servizi giornalistici trasmessi da programmi come Report o Indovina chi viene a cena. Appare dunque fondamentale comprendere se i cittadini italiani, attraverso il canone, siano chiamati al finanziamento di queste immancabili perle del giornalismo televisivo, che puntualmente ledono il made in Italy e contribuiscono al boicottaggio dei prodotti nazionali”.
Il comunicato prosegue chiedendo di conoscere le spese sostenute per la realizzazione di questi programmi e i relativi mezzi di finanziamento, poiché ipotizza – e qui siamo davvero nel risibile – la presenza di “gruppi di interesse avversi al made in Italy” interessati a “finanziare la realizzazione di inchieste ad hoc tese a generare danni di immagine alla concorrenza italiana”. E giù accuse contro “chi spara a zero sul nostro Paese”, avallando “scempiaggini o ricostruzioni fantasiose”. A questi attacchi ha replicato il giornalista Sigfrido Ranucci, conduttore di una delle trasmissioni sotto attacco dei leghisti, Report, in particolare la puntata che indagava sul legame tra allevamento intensivo, inquinamento e diffusione del Covid-19, andata in onda il 13 aprile 2020. “È singolare” ha dichiarato “che tali accuse arrivino nella settimana dove Report ha trattato come un’eccellenza il protocollo Ferrari sulla sicurezza dei lavoratori. Dove al centro c’è l’uomo e l’ambiente di lavoro.
Nella convinzione che un prodotto eccellente viene realizzato solo se c’è un ambiente di lavoro eccellente. Un concetto che è nel Dna della Ferrari e che l’ha fatta diventare la vera ambasciatrice nel mondo del made in Italy. Un modello anche manageriale che come ho detto in trasmissione andrebbe esteso nel Paese, a partire dalla scelta dei manager pubblici oltre che privati”. Ranucci cita poi le autorevoli fonti su cui si basa l’inchiesta: “Accusare Report di ledere il made in Italy solo perché ha denunciato lo spandimento irregolare di liquami, come hanno dimostrato le telecamere di Luca Chianca, appare quantomeno singolare. Proprio ieri l’Ispra ha pubblicato un comunicato secondo cui il 78% della produzione di ammoniaca è dovuta agli allevamenti intensivi”.
Cita poi il Cnr, che ha recentemente diramato un comunicato dove descrive come “probabile un legame tra inquinamento e diffusione Covid-19”, e studi dell’Università di Firenze che dimostrano “la coincidenza tra zone a più alta diffusione di contagio e quelle di allevamenti intensivi”. Infine, risponde così all’accusa: “Non c’è alcun finanziatore occulto dietro Report. Le uniche risorse occulte, dietro l’encomiabile lavoro della mia squadra, sono il rigore, la dedizione, la qualità e il coraggio nel continuare a fare il proprio lavoro nel servizio pubblico in condizioni di emergenza e rischio d’incolumità. E soprattutto nel rispetto del pubblico, tutto, che paga il canone”. Ora, appare chiaro che agli estensori di questa interrogazione non interessi di scoprire se delle lucrose attività possano in qualche modo mettere in pericolo la salute pubblica.
Né interessa che la Rai renda un autentico servizio pubblico al cittadino, come da statuto. Le motivazioni che li hanno spinti a investire tempo ed energie preziose su questa interrogazione appaiono francamente pretestuose, da complottismo di bassa lega (appunto!), buono per la materia scadente di un social network. Non passerà inosservato che l’inchiesta era focalizzata su un’area ad alto rischio, il bresciano. Si può quindi facilmente intuire quali interessi siano stati smossi, e i rispettivi referenti politici. Il bene dell’Italia, del made in Italy, appare come uno specchietto per le allodole. Né passerà inosservato che una precedente inchiesta di Report, riguardante i presunti finanziamenti russi alla Lega era entrata nel mirino dei leghisti, con i consiglieri del Cda della Rai indicati da quell’area politica che accusarono la trasmissione di aver violato la par condicio prima delle elezioni umbre.
Un libero cittadino, provvisto di un minimo di senso critico, non potrà non notare che lo stillicidio di attacchi portati da certa politica sono immancabilmente indirizzati a quei nuclei di giornalisti impegnati in prima linea a dissotterrare scandali, corruzioni, comportamenti disonesti: il vero cancro del nostro Paese. In un consesso autenticamente civile e democratico, donne e uomini che rendano un tale servigio alla comunità andrebbero incoraggiati e indicati a modello, e proprio per il bene comune. E invece vengono costantemente attaccati, le loro persone e professionalità infangate, il loro lavoro ostacolato.
I politici sono soliti riempirsi la bocca cianciando della Rai e del suo insostituibile ruolo di servizio pubblico. Bene, il maggior servizio pubblico che essa può rendere è esattamente quello di denunciare ciò che va denunciato, informare i cittadini delle storture, delle malefatte, dei ladrocini che affliggono questo Paese.
È il classico, insostituibile ruolo del giornalismo quale cane da guardia della democrazia. Ma l’impressione è che qui, più che mettere la museruola ai giornalisti coraggiosi che compiono il proprio dovere, certi politici intendano renderli delle inoffensive bestiole da salotto

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