«Vedere Formigoni in giacca blu può curare un attacco di panico come sentire Alfano che parla perfettamente inglese: lo shock sarebbe tale che può essere un’idea». Gene Gnocchi, comico non più giovanissimo e sempre in pista che da settembre introduce Dimartedì di Giovanni Floris in onda su La7, ha sfornato una summa del nostro tempo con un edito da una serissima quanto vivace casa editrice, La nave di Teseo fondata da Elisabetta Sgarbi, e in libreria dal 16 novembre: Il petauro dello zucchero. Dizionario essenziale per non diventare come quello là (12 euro, 126 pagine). Laureato in Giurisprudenza, passato da programmi come Mai dire gol e Striscia la notizia, Eugenio Ghiozzi (così risulta all’anagrafe) aveva firmato l’ultima fatica letteraria nel 2015 con Cosa fare a Faenza quando sei morto.
Gnocchi, cos’è il petauro, visto che qualcuno lo studia «solo per non farsi trovare impreparato in un telequiz», come scrive lei?
È il piccolo animale dello zucchero. È una delle voci di questa enciclopedia. Con Elisabetta volevamo mettere il nome di un lemma e abbiamo pensato che questa scelta possa incuriosire.
Da cosa nasce il libro?
Dall’osservazione della quotidianità e della realtà italiana. Cerco di fotografare questo tempo un po’ difficile. Ci sono accenni alla crisi, alla politica, a quanto ci capita, sono come pennellate.
Non sembra avere molta fiducia nei politici attuali.
Frequentando trasmissioni politiche e venendoci spesso a contatto ho imparato a conoscerli. Prima non li conoscevo. Vedendoli da vicino confermo un giudizio non proprio positivo: è un problema generale di mancanza di spessore, di cultura, di capacità di stabilire relazioni tra aspetti diversi. Il politico in trasmissione ripete tre o quatto frasi fatte e se provi ad andare al di là con un altro ragionamento diventa imbarazzante. Vivendolo ora di persona non posso essere ottimista.
In tv i politici invitati di fronte alle gag di voi comici sembrano quasi tutti sforzarsi di sorridere o ridere. Fingono?
La stragrande maggioranza fa sorrisi di circostanza perché è addestrato a essere auto-ironico ma se non lo sei veramente viene fuori quel sorriso lì. In generale non sono assolutamente persone autoironiche.
Cita spesso Salvini, in tv e nel libro. Come trova un politico che spesso usa parole aggressive?
Fa finta di ridere, quando ti vede fuori dalla telecamera è un filo spazientito verso il questo comico che prende sempre per il culo ma devo riconoscere che sa ridere, sembra quasi si diverta.
E cosa pensa della sinistra? Si frammenta?
Sulla sinistra ho smesso di avere speranze. Anni fa feci campagna elettorale per Bersani: lo ritenevo una persona specchiata. Il problema è che la sinistra è ormai un partito dove impera la ripicca personale, è una faida e non si ha la visione più lunga del proprio naso. In fin dei conti dentro un partito possono esserci tutte le opinioni ma se alle primarie vince Renzi ed è il segretario, va supportato. Ha tante colpe ma non si può partire da subito con la fronda perché non ha mandato te alla commissione europea o ti è antipatico. Mi sono stancato di incazzarmi sulla sinistra, tra poco saranno più politici che elettori, e prevarrà sempre questa vocazione all’autoflagello. E se ci aspettano altri venti anni di Berlusconi mi metto le mani dei capelli
Il ruolo del comico è non risparmiare nessuno? Qual è la sua comicità?
Faccio una comicità un po’ diversa: non è la battuta, la mia è un’osservazione, è un inizio di racconto, un calembour.
Nella sua striscia a Dimartedì poco tempo fa ha fatto i calcoli per la sua pensione: non sembra sperarci molto.
È vero: per avere la pensione dovrò reincarnarmi in una sequoia.
Nel libro scrive di giuslavoristi che ritengono ideale morire alla fine di un contratto di lavoro a tempo determinato «così non si fomenta il malcontento».
È un paradosso ma se ci penso è molto più vicino alla realtà che alla fantasia. Come ho constatato la settimana scorsa da Floris il pensionato è diventato una figura mitologica nei libri di testo come l’ippogrifo.
Tra apericena e altre amenità, noi italiani non ne usciamo tanto bene.
Non è che non usciamo bene, ma il libro è una difesa. Bisogna recuperare un lessico adeguato, la volontà di leggere, di approfondire, di non lasciarsi convincere dalla prima cosa. La cultura da social non credo possa portare buoni frutti. Più del 50% delle persone non va a votare per una totale sfiducia nella classe dirigente e a ragione. L’onorevole che viene eletto deve dimostrare capacità superiori alla mia. Perché eleggere persone che non mi danno nessuna garanzia di serietà? Il libro fotografa questa situazione, la gente è disillusa e ha poche speranze.
Com’è l’esperienza con Floris? Lui legge i suoi testi prima che vadano in onda?
Va benissimo. Aprire Dimartedì dopo Maurizio Crozza non era una sfida facilissima. Funziona, gli ascolti ci premiano, sono contento perché la striscia viene vista. Quanto ai testi, sono molto libero: con Floris ci conosciamo da anni, tutt’al più mi dà qualche dritta a volte su chi viene.