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Ghadan naltaqi (Tomorrow’s hope): la crisi siriana in tv

Ghadan naltaqi racconta la crisi siriana, portando in tv il calvario degli sfollati fuggiti dalla guerra alla ricerca di un posto migliore. [Kaouther Rabhi]

Ghadan naltaqi (Tomorrow’s hope): la crisi siriana in tv
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13 Novembre 2015 - 11.58


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di Kaouther Rabhi

In un vecchio edificio nella periferia della capitale libanese, sono stati condannati a veder scorrere lente e malinconiche le loro giornate, talora con piccole gioie, sorrisi e speranze, talora con disperazione, delusione e lacrime. Ciascuno nella sua camera, un mirocosmo dove sono rimasti costuditi i ricordi di una vita normale passata in patria, di una vita sospesa sotto il cielo di Beirut: oggi si sono trovati a vivere insieme e a condividere la triste realtà di essere dei profughi siriani.

Si tratta di Ourada, Giaber, Mahmoud, Guevara e i suoi amici ballerini e cantanti, Abu Abdou, la moglie e i figli, Khouloud e gli altri, protagonisti di Ghadan Naltaqi (Tomorrow’s hope), la fiction che racconta la crisi siriana e porta sul piccolo schermo il calvario degli sfollati che sono fuggiti dalla guerra in Siria alla ricerca di un posto migliore.

Lasciando un paese immerso in mille guai, si sono incontrati a Beirut, e vivendo nello stesso edificio hanno formato una piccola Siria in cui si sono creati nuovi rapporti umani, una piccola società dove si riflette una nuova quotidianità colma di difficoltà e di interrogativi sulla vita, sull’esistenza, sulla guerra, sulla patria, sulla violenza, sull’amore…

Ouarda (ovvero Fiore) è la protagonista della storia: è una giovane ragazza, spienserata, bella e sorridente che vive tranquillamente nella sua camera. Ogni giorno, tornando dal lavoro (pulisce i corpi dei morti secondo il rito musulmano, un lavoraccio che continua a fare di nascosto, senza parlarne a nessuno) pulisce la camera, prepara da mangiare, canticchia e balla. È la metafora della vita, della speranza e della bellezza.

Ad un certo punto, conosce due fratelli: Giaber, sostenitore del regime siriano, e Mahmoud, oppositore e poeta, di cui si innamora perdutamente, un amore impossibile dato che Mahmoud è sposato. Le cose si complicano quando Giaber si innamora di Ouarda.

Le frequenti liti che scoppiano tra i due fratelli si intensificano. Assai simbolica la rissa avvenuta nella camera di Oaurda, quando i due fratelli che dopo l’ennesima collutazione scatenano un inciendi. La camera brucia senza che i due fratelli se ne rendono conto: è l’immagine della Siria bruciata dalle mani dei propri figli.

Monotone si susseguono le giornate all’esilio. La «Sham », patria ferita, paese lacerato continua ad essere presente nelle anime dei rifugiati siriani a Beirut. C’è chi ne ricorda l’infanzia felice e spensierata, chi il lavoro fisso e la stabilità, chi il popolo oppresso che ha fatto bene di ribellarsi. Per tutti quelli, il Libano non è altro che una tappa, un rifugio dove proteggersi dalle follie di una guerra insulsa, aspettando di tornare in Siria, che un domani tornerà a brillare.

Per altri sfollati, il Libano rappresenta, invece, un paese di transito verso l’Europa, l’idea (ovvero l’ossessione) del tanto desiderato viaggio verso la Svezia per la famiglia di Abu Abdou (un viaggio che non si realizzò) e per la Svizzera (che Guevera riuscì a fare dopo aver ucciso un suo coinquilino assai enigmatico) diventa l’unica cosa che vale in mezzo ad un’esistenza assai assurda. Andare in Europa rappresenta quindi l’ultima speranza per i siriani, un’Europa di dignità, libertà, diritti e lavoro. «Vorrei avere un passaporto europeo che mi dia dignità, vorrei essere rispettato», continua a ripetere Guevara nella fiction.

Le storie si concludono tutte tristemente: Mahmoud il poeta, non riuscendo a sopportare la malattia (sono entrambi diabetici, lui e il fratello) e il tradimento della moglie, si suicida; Giaber muore in un ospedale in Francia, dove è giunto in barca con altri compagni; Abu Abdou viene ucciso da Daesh ad Al-Raqqa, in Siria. Per la protagonista Ouarda, condannata a vivere da sola a Parigi, comincia una nuova tappa: le lezioni di francese, il permesso di soggiorno e tutta una vita da rifare. La serie finisce con le decise parole di Ouarda in lingua francese : «Je m’appelle Ouarda, je suis Syrie, j’ai 37 ans, J’aime les poèmes et la barbe à papa e l’animation et la tabulé et la danse, parole che riflettono la voglia di riprendere il corso normale di una vita incontaminata dagli orrori della guerra.

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