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Margherita, contenitore di vita: Marianella Bargilli racconta la sua Signora delle Camelie

Un'intervista di Eliana Rizzi a Marianella Bargilli, che interpreta La Signora delle Camelie al Teatro Quirino di Roma

Margherita, contenitore di vita: Marianella Bargilli racconta la sua Signora delle Camelie
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19 Febbraio 2018 - 17.11


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La Signora delle Camelie di Alexandre Dumas figlio ha tutte le caratteristiche che ci si aspetta da una storia del 1848: l’amore assoluto e impossibile, lo struggimento, la vendetta, gli antagonisti e il divario fra classi sociali. Eppure la sua protagonista, Margherita, è allo stesso tempo un’eroina moderna che controlla il suo corpo e decide di se stessa. A raccontarla è Marianella Bargilli, che la interpreta al Teatro Quirino dal 27 febbraio all’11 marzo.

La Signora delle Camelie è un classico, una storia immortale. Perché portarla in scena proprio adesso?

Innanzitutto perché volevo realizzare un desiderio, un sogno nel cassetto. Il personaggio di Margherita è stato interpretato da vere signore del cinema e del teatro e, per me, era una sfida.

Inoltre non si faceva da tempo e dal punto di vista “commerciale” era un bellissimo titolo. Per ultimo – ma non ultimo – è una meravigliosa storia d’amore: parlare d’amore fa sempre bene e questo è un testo di grandissima ispirazione.

Dalla sua creazione, il personaggio di Margherita è stato interpretato innumerevoli volte e dalle figure più disparate. Come lavora un attore su un personaggio così noto, così sfruttato?

Non ci penso [ride]. Faccio sempre così quando affronto una cosa più grande di me, e questa lo è: sono una “kamikaze”. Bisogna farlo per crescere, per capire, per mettersi alla prova. Il teatro poi ti spinge sempre in questa direzione. Io, onestamente, faccio in modo di non soffermarmi troppo sulla questione o mi bloccherei. Dopo che nei panni della protagonista ci sono state la Duse, la Bernhardt e Greta Garbo…! Ho l’ambizione di superare le mie aspettative e quelle di chi verrà a vedermi, è una sfida e quando affronti una sfida devi solo pensare a vincerla.

Questo atteggiamento di “tabula rasa”, oltre che per lo studio del personaggio, vale anche per l’adattamento e la messa in scena?

Si ricomincia da zero, lo faccio sempre quando inizio qualcosa di nuovo. Il testo è stato riletto in modo importante e cucito su quattro personaggi, mentre il romanzo ne comprende molti di più. Il regista Matteo Tarasco, che ha anche adattato il testo, ha creato un gioiellino: siamo in quattro sul palco a raccontare una storia, in scena c’è pochissimo, è un teatro di parola. L’importante è ciò che succede sulla scena, lo scorrere della storia d’amore che ha fatto impazzire intere generazioni.

Il libro e la vicenda dietro La Signora delle Camelie hanno più di centocinquant’anni, eppure sulle donne continua ad aleggiare un certo clima di moraleggiante pruderie. Cos’ha da raccontare adesso la storia di Margherita?

Quando un attore affronta tanti personaggi nella propria carriera per poi trovarsene davanti uno della caratura di Margherita, si accorge che c’è veramente tanto. Margherita è un “contenitore di vita”, in lei c’è tutto ciò che una persona può provare su se stessa: sentimenti, emozioni, perversioni… e questa è la sua attualità.

D’altronde stiamo parlando di un personaggio che è realmente esistito, Marie Duplessis, amante di Alexandre Dumas figlio. Lo scrittore racconta una storia vera, accaduta, e infatti come nella vita reale lei poi muore di tubercolosi giovanissima, a 23 anni, essendo la cortigiana più pagata di Parigi. Una donna che aveva trovato una strada, la sua, poi si è innamorata e l’amore è andato sopra ogni cosa. È questo che mi piace raccontare: la storia di una donna libera, una donna forte. Fare Margherita mi dà un gran senso di vita.

Un personaggio così iconico rischia di mangiarsi la scena. Anche sul palco è perno della vicenda o il lavoro è più corale?

Volevo raccontare la storia di Margherita ma non volevo essere l’assoluta protagonista, come poi in realtà è lei. C’è un equilibrio attoriale che io ho desiderato, insieme al regista, perché ci sono quattro personaggi meravigliosi e tutti devono avere il proprio spazio. Armand, Ruben Rigillo, è una figura bellissima, generosa, altruista e soprattutto in grado di accorgersi della solitudine di Margherita: mentre tutti la usano, lui si prende cura di lei. Gli altri amanti di Margherita non andrebbero mai a trovarla quando sta male, solo lui lo fa. Poi c’è Prudence, Silvia Siravo, “amica di scorribande” che vive con “la Signora” questa vita parallela. E infine il padre di Armand, Carlo Greco, che dovrà spezzare l’incantesimo, poiché il suo compito è fermare il figlio. Un obbligo assurdo, certo, ma all’epoca contavano la reputazione, la morale.

Questo è un racconto che facciamo tutti insieme, ed è davvero una bella storia.

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