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Rising Star: Gabriele De Pascali

Primo appuntamento del 2016 Rising Star, la rubrica sui nuovi volti del mondo dello spettacolo. Questa settimana la gallery é dedicata a Gabriele De Pascali.

Rising Star: Gabriele De Pascali
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14 Gennaio 2016 - 10.47


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di Nicole Jallin

È attualmente riconoscibile nel ruolo di Alberto Torre, giovane professore universitario new entry della ormai storica serie Don Matteo, la cui decima stagione è stata inaugurata su Rai 1 lo scorso 7 gennaio. Segni particolari: faccia da bravo ragazzo, sguardo sbarazzino, lineamenti scultorei, Gabriele De Pascali, pugliese, di Lecce, matura istinti artistici già in età scolastica, con temperamento per musica, pittura, scultura, poesia, e teatro.

Sulla scena infatti si presenta appena tredicenne in “Leonce e Lena” di George Buchner, nella regia di Beppe Aurilia (che lo prepara nel corso di recitazione teatrale “Poveri d’Arte Teatro”), cui presto segue una rivisitazione della brechtiana ”L’opera da tre soldi”, per la stessa direzione di Aurilia, prima di misurarsi in prima persona con scrittura drammaturgica e regia nel monologo “Prima del bacio” e “Try: la vita davanti a sé”, in simbiosi creativa con Michela Scolari: «L’arte l’ho incontrata da piccolo attraverso il teatro, più per un fatto di timidezza, in realtà: avevo bisogno di sbloccarmi e il teatro me lo ha permesso. Poi, durante il periodo liceale, ho scoperto la pittura e con essa l’affascinante opportunità di comunicare emozioni attraverso linguaggi diversi. Così ho abbracciato anche le percussioni: un giorno ascoltai questo suono e non sono più riuscito a starne lontano. Iniziai a provare, provare e provare, e comprai il mio primo strumento: e quello in effetti segnò la fine di alcuni rapporti sociali, ma ormai il ritmo faceva parte di me».

Con un passato da modello per importanti brand, cataloghi fotografici e spot pubblicitari, e una formazione all’Actor Studio di Roma, più influssi di materie scenografiche impresse dalla bolognese Accademia di Belle Arti, tra le prime apparizioni di Gabriele su piccolo e grande schermo ci sono videoclip e cortometraggi (come “Sguardo all’amore” di Fabrizio Desideri; ”Fair plus ultra” di Fabrizio Desideri; “Pensami” di Marco Ferrario, e “Monologos” di Ivan La Ragione), cinema indipendente e TV (su tutti “Hope” di Daniele Ciferri; “Una cella in due”, a fianco del duo comico Enzo Salvi e Maurizio Battista, diretto da Nicola Barnaba). E ora la fortunata serie con Terence Hill e Nino Frassica, prodotta da Lux Vide e Rai Fiction: «È stata ed è (perché siamo ancora in fase di riprese) un’esperienza splendida. Si tratta del mio primo importante lavoro in televisione: ho recitato in corti, ho avuto qualche piccolo ruolo in alcuni film, e ho fatto tanto teatro, ma qui mi sono immerso per la prima volta in una “vita da fiction” che non conoscevo. A cominciare dal bel rapporto creato con il resto del cast artistico e tecnico, e questo ha permesso di lavorare insieme con grande serenità, alchimia e sintonia».

Non nasconde una forte attrazione per il cinema, Gabriele. Non nasconde la voglia di stringere sempre di più il legame con l’obiettivo, maturare come attore preventivando anche sortite all’estero per un contatto diretto con espressività creative ed estetiche diverse perché, dice Gabriele: «L’incontro con la diversità di idee e pensieri è una crescita personale innanzitutto, ti aiuta a conoscerti meglio. E, in questo mestiere più che in altri, è fondamentale perché qui lavori attraverso te stesso, con la testa, con lo stomaco e con il cuore».

Una curiosità, una fame di scoperta e indagine artistica la sua che, seppur in un’ipotesi futura certamente stuzzicante, ma ancora incerta, potrebbe rivelarsi anche nell’impegno autoriale di una lettura e una scrittura registica. Però, per il momento, nel suo presente c’è la televisione: «Credo che la fiction in Italia riscuota davvero un grandissimo interesse. Forse più di altri paesi, e forse più del cinema. Lo dicono i numeri: la prima puntata di Don Matteo ha fatto uno share del 35%-37%, che è tantissimo. Credo che il pubblico italiano si appassioni molto alle storie, alle vicende e ai personaggi: c’è una sorta di immedesimazione irresistibile con loro che permette di considerare i personaggi stessi persone reali, di parlare di loro come fossero degli amici. Questo provoca una seguacità sincera, genuina. Al di là dei gusti, siamo un popolo molto passionale. Se poi penso al confronto con i prodotti stranieri, sono dell’idea che ognuno abbia una propria timbrica, con tutti i suoi pregi e difetti, non necessariamente migliore o peggiore di altri, con la quale si raccontano delle storie. Vanno ascoltati critiche e commenti, ma dipendiamo esclusivamente dal giudizio e dalla volontà degli spettatori, che la produzione deve considerare e rispettare. Ciò significa che se gli ascolti sono alti, e se una serie come Don Matteo arriva alla decima stagione, vuol dire che il pubblico lo segue con passione, e vuole continuare a farlo. Questo è quel che conta».

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