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Un re randagio di nome Edipo

Al Teatro Olimpico di Vicenza, il regista Andrej Konchalovsky ha proposto una rilettura attualizzata ma fedele di “Edipo a Colono”.

Un re randagio di nome Edipo
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20 Ottobre 2014 - 15.25


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di Chiara D’Ambros

Sul palcoscenico del Teatro Olimpico di Vicenza il regista Andrej Konchalovsky il 17 e il 18 ottobre scorsi, ha proposto una rilettura attualizzata ma fedele di “Edipo a Colono”. Un allestimento pensato appositamente per il 67° ciclo di Spettacoli Classici del Teatro Olimpico di Vicenza, la cui direzione artistica è stata affidata a Emma Dante.

Come un clochard che non di rado incontriamo oggi per le strade delle nostre città, Edipo entra in scena assieme alla figlia e sorella Antigone, interpretata da Julia Vysotskaya, con un carrello della spesa pieno di vestiti e oggetti quotidiani. La loro casa mobile è uno scatolone di cartone che diventerà alla fine la prigione di Antigone, ma prima di arrivare a quel momento, le peripezie dei due si vestono di tragedia e di farsa, tra atmosfere circensi e toni dell’assurdo, elemento quest’ultimo che desta l’interesse dello stesso Konchalovsky, poiché trova in molti dialoghi assurdi di Sofocle assonanze con Ionesco o Beckett.

Modernità e memoria sembrano costituire un binomio imprescindibile per il regista russo. Come evitare la caduta nell’oblio delle preziose eredità del passato? Una delle sue risposte possibili è: portarle all’attenzione del pubblico, renderle fruibili, accessibili alla comprensione, alla dimensione sensibile ed emotiva di oggi, affinché si possano condividere sentimenti ed emozioni dei protagonisti di ieri. Compito non facile, perché il pubblico contemporaneo è distratto, condizionato dall’informazione martellante, dalle dinamiche della società dei consumi. La sfida diventa “non annoiare”, tenere l’attenzione di tutti e in particolare dei giovani, che a sua sorpresa la sera della prima di questo “Edipo a Colono, Re randagio” erano il 30% del pubblico in sala. Forse anche per questo confessa che, mentre per questa messa in scena ha scelto le musiche di Sergej Prokof’ev, eseguite dal vivo dalla pianista Elena Fedotova, la prossima volta userà l’hard rock; direzione registica forse già nell’aria nel presente allestimento, visto l’impiego di una luce stroboscopica, nel momento del rapimento di Antigone.
Davanti alla scenografia imponente e immobile del Teatro cinquecentesco che rappresenta le vie di Tebe, il disegno luci complessivo contribuisce assieme alla musica a evocare le varie dimensioni emotive dell’opera, tutte riconducibili secondo il regista, alle tre maschere della tragedia: paura, lacrime e riso, le principali emozioni della vita umana esplorate da tutti i grandi drammaturghi, da Sofocle a Cechov, a Shakespeare, a Strindberg. “La vita – dice Konchalovsky – è un circo, è un circo che termina con la morte… gli esseri umani, così come i personaggi delle tragedie, sono clown che finiscono per morire. Penso che senza Edipo non ci sarebbe stato Re Lear. Penso che Re Lear è il nipote di Edipo”.

In questo teatro che lui stesso ha definito un “monumento”, il regista ha accettato la sfida di mettere in scena la stessa opera che nel 1585 aveva inaugurato la sua apertura, una versione di “Edipo a Colono” che – dice lui stesso – nessuno di noi contemporanei può immaginare né potrebbe oggi capire. Allo stesso modo i contemporanei di Andrea Palladio, genio ideatore di questo spazio, e di Vincenzo Scamozzi artefice della scenografia permanente, se fossero stati seduti sulle gradinate di legno assieme ai giovani vestiti con jeans, magliette in microfibra e in tasca l’iphone, non avrebbero compreso l’interpretazione della tragedia andata in scena nei giorni scorsi in cui Edipo diventa un Re randagio, Teseo si sveste della sua tunica per mettersi in giacca e cravatta, Creonte truccato da joker indossa una sorta di uniforme militare moderna, la seconda figlia di Edipo, Ismene, non esiste.

Konchalovsky si è messo in gioco ancora una volta scoprendo nuovi limiti e nuove abilità, sue e delle persone con cui ha lavorato, ancora una volta ha tentato di svelare il mistero dell’essere umano, conscio dell’impossibilità di riuscirci, ma certo di voler continuare a provare.

Questo 67° Ciclo di spettacoli al Teatro Olimpico propone altre due tappe: Verso Medea, regia di Emma Dante in scena il 22 e 23 ottobre e Jesus, di Babilonia Teatri, 25-26 ottobre.

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