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Treno della memoria: la visita ad Auschwitz

Continua il viaggio dei 600 ragazzi partiti da Firenze. Visita al famigerato Blocco 11 del campo di Auschwitz , dove si entrava vivi e non si usciva più.

Treno della memoria: la visita ad Auschwitz
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22 Gennaio 2015 - 10.24


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di Chiara D’Ambros

Auschwitz Uno, da oggi 21 gennaio 2015, come misure antiterrorismo sono in funzione i metal detector all’entrata dell’ex campo di concentramento. La scritta famosa “Arbeit Macht Frei” sotto la quale i prigionieri passavano quotidianamente per uscire dal campo e andare a lavorare accompagnati dai morsi della fame, e dallo sfinimento, è la prima cosa che rapisce l’attenzione assieme ai doppi filari di filo spinato e ai grandi edifici che svettano oltre il cancello con la scritta. Davanti uno di questi edifici vicino all’uscita ogni mattina un’orchestra suonava una marcetta per fare in modo che i prigionieri camminassero a ritmo.

Oggi è previsto un corteo dall’entrata del campo fino al Blocco 11, accanto al quale, in un cortile c’è il “Muro della Morte”. Si cammina in silenzio tra i Blocchi, stabili a due piani dove avvenivano tutte le attività che venivano svolte nel campo: dormire, venir curati o subire esperimenti, venire processati (con processi che duravano un minuto spesso), venire imprigionati e uccisi. Nel famigerato Blocco 11, si entrava vivi e non si usciva più questo era il detto nel campo. Lì le prigioni, di un metro per uno dove venivano fatti entrare a quattro zampe da porticine basse 4 prigionieri segnando la loro condanna a morte.

Tutti i ragazzi sono ora davanti al cortile del Muro della Morte, due di loro vanno a riporre una corona, seguono dei discorsi commemorativi la cui forma istituzionale si deforma forse perché l’aria di questo luogo richiede al politichese di lasciare spazio a parole necessarie. La rappresentante del parlamento degli studenti più di ogni altro ha fatto sentire la necessità di ricordare rivolgendosi direttamente ai suoi coetanei: “Per favore, quando tornate a casa, raccontate e non fate sì che le discriminazioni possano trovare spazio!” …

Dietro di lei il cortile dove i prigionieri dal Blocco11 passavano a fucilazione, alcuni sopravvissuti al passaggio in quel Blocco, polacchi, hanno raccontato che d’inverno a volte quando tutto era coperto di neve, il cortile da bianco diventava tutto rosso, tanti i fucilati, talvolta anche 400 in un giorno. Accanto al cortile dall’altra parte c’è Blocco 10, c’erano invece i laboratori di Mengele faceva gli esperimenti sugli esseri umani dalla sterilizzazione delle donne, alle cose più indicibili. Non entriamo.

Alcuni Blocchi ospitano oggi un memoriale, ce n’è uno per ciascuna delle nazionalità che sono state qui vittime dei Nazisti. Andiamo al Blocco 21, al Memoriale degli italiani deportati nei campi di sterminio nazisti, l’ex dormitorio di Auschwitz trasformato in museo dopo la liberazione. È una grande installazione realizzata nel 1980, un’opera d’arte firmata dallo studio Bbpr di Milano, con Primo Levi, Luigi Nono, Pupino Samonà, voluta dall’Associazione nazionale deportati, tuttora proprietaria. Il memoriale è stato chiuso al pubblico nel 2012 perché ritenuto dai responsabili del museo non rappresentativo, soprattutto della Shoà. Alcuni dicono, ma non sono versioni ufficiali, che sia per la presenza della falce e martello, simbolo proibito oggi in Polonia. È ufficiale che quest’anno verrà trasferito a Firenze. Con questo viaggio del treno della memoria 2015, la Regione Toscana, hanno detto le autorità durante la commemorazione: “È venuta a riprendersi il memoriale, voluto anche da Primo Levi, perché possa essere visto”. Nel Blocco 21 verrà invece costruito un nuovo memoriale sempre dedicato all’Italia, ci sono attualmente vari artisti in gara.

Attraversiamo il padiglione Israeliani che è giusto di fronte a quello italiano. Ti accoglie la dolcezza di una musica e delle immagini di vita quotidiana di ebrei prima dell’inizio delle persecuzioni. Riprese di vita quotidiana, di gite in barca a vela, di bambine che ballano in un prato, di una coppia che si bacia. Si sale un piano e da una fila di schermi esce un altro suono, duro e stentoreo, è la voce dei discorsi di Hitler, si vedono le immagini dei raduni nazisti, del rogo dei libri. Le stanze scorrono, alle pareti immagini, disegni di bambini, video, stanze vuote in cui la riflessione e le emozioni hanno molto spazio.

Ancora due i siti che visitiamo, i cosiddetti “magazzini” in cui sono stati stoccati tutti i beni dei deportatiti e il crematorio. Nei magazzini mucchi di oggetti valigie, occhiali, capelli, scarpe ogni scarpa racconta la stagione di arrivo del deportato, ci sono scarpe comuni o più eleganti, chissà forse perché come mi ha detto un Tiziano Lanzini, vicepresidente dell’Aned chi partiva metteva il vestito buono, il più bello e in valigia le cose più care. Era la prima cosa di cui i deportati venivano privati, poco prima di perdere i loro vestiti, capelli, fino alla perdita del nome e della dignità umana.

Ultima tappa di questa mattina il crematorio. Per arrivare si passa davanti alla villa di Rudofl Hoss, comandante del capo, dove viveva tranquillamente con la famiglia e i figli, si passa accanto anche alla forca dove nel 1947 a seguito del processo è stato giustizio. Arriviamo alle camere a gas con annesso crematorio, il primo che ha visto la sperimentazione e l’utilizzo dello Ziclon B, il gas letale con cui sono stati sterminati milioni di persone tra ebrei, rom e sinti, asociali, dissidenti politici. Non ci sono parole dopo la visione di queste stanze. Mi fermo.

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