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Treno della memoria: l’ultima pagina di diario

E' arrivato il momento di ripartire; il ritorno a casa dei ragazzi che hanno visitato il campo di concentramento di Auschwitz.

Treno della memoria: l’ultima pagina di diario
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26 Gennaio 2015 - 17.35


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di Chiara D’Ambros

E’ arrivato il momento di ripartire, piove e non fa molto freddo. Abbiamo visto Auschwitz senza neve nonostante sia gennaio, ci hanno detto che è una cosa insolita e rara. Non rara ma unica è invece la sensazione con cui tutti i partecipanti a questo viaggio sono risaliti sul treno, direzione casa, direzione Firenze. Prima di ripartire Ugo Caffaz, ideatore del primo treno della memoria saluta i 600 ragazzi presenti, invitandoli ad essere ora, che hanno visto questi luoghi, testimoni a propria volta.

In uno degli incontri di questi giorni lo storico Giovanni Gozzini ha posto agli studenti presenti una domanda: “Perché facciamo questo viaggio? Il motivo è quello per cui facciamo tutti i viaggi, seppure questo sia particolare. Si decide di partire perché il luogo dove ci troviamo non ci basta più. Il non viaggiare implica il chiudersi in piccole comunità di appartenenza, mentre il viaggio apre alla curiosità di conoscere. Compito del sistema educativo è quindi quello di mettervi in viaggio, di mettervi nella condizione di avere dubbi, di interrogarvi”. Sottolinea Gozzini persino Rudolf Hoess, ufficiale tedesco membro delle SS della prima ora e primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz, in una lettera scritta al figlio ha dichiarato di aver sbagliato a credere ciecamente a quello che gli veniva detto e non aver nutrito dubbi su quanto veniva ordinato.

“Lo svolgere un lavoro – prosegue Gozzini – evitando di interrogarsi, significa mettere a tacere la propria coscienza”.

Nel viaggiare la coscienza ha l’opportunità di risvegliarsi. Lo dimostrano le testimonianze dei ragazzi durante il viaggio di ritorno Auschwitz/Firenze che si dicono cambiati nel profondo dopo aver visto e attraversato quei luoghi dell’orrore. “Non sapevo dove mettere i piedi – ha detto una studentessa – per paura di oltraggiare chi ha perso la vita qui, perché la terra è ancora impregnata di cenere”. “Assurdo sentire – ha aggiunto un’altra studentessa – che le anime, che sono state lì negli ultimi istanti di vita abbiano trovato pace nella morte”. “A me ha fatto molta impressione il Muro della Morte – ha detto uno studente – il vedere un muro innocuo, ma pensare che è stata l’ultima immagine che hanno visto molte persone morte lì datanti, fucilate”. Molti ragazzi hanno parlato di come siano stati colpiti da vedere le montagne di capelli, di valige di scarpe, immagini che definiscono “indelebili” e che li spingono a essere a loro volta testimoni, perché non si ripetano più tante atrocità, o dicono alcuni: “per contrastare le tante barbarie e ingiustizie che ancora oggi ci sono nel mondo a partire dalle discriminazioni verso i nostri compagni omosessuali a scuola, verso chi è diverso per strada, o alle atrocità di stermini come quello avvenuto pochi giorni fa in Nigeria”.

Durante questo viaggio è emersa spesso l’importanza di ricordare le discriminazioni all’origine delle deportazioni, simboleggiate da triangoli di differenti colori, che contrassegnavano i deportati: ebrei (doppio trangolo giallo), ebrei Politici (doppio triangolo giallo e rosso), rom e sinti chiamati zingari (marrone), omosessuali (rosa), asociali (nero), studiosi della Bibbia, testimoni di Geova (viola), Politici (triangolo rosso), delinquenti comuni (verde), apolidi e rifugiati (azzurro). L’obiettivo formativo di un viaggio come questo è anche quello di contrastare la presenza dell’ombra di questi triangoli nella nostra testa oggi. Spettri che ancora si aggirano, sebbene sia difficile ammeterlo.

Tutti i sopravvissuti sottolineano come sia fondamentale fare attenzione ai segnali che si insinuano nella società piano piano, di cui le stragi sono un punto d’arrivo, o comunque di culmine. Un’alluvione inizia sempre da qualche goccia di piaggia. Come ricorda la giovane studiosa della memoria Elena Bissaca, “Auschwitz per molti, purtroppo, è una storia di poche ore”. Quindi giusto ricordare questi luoghi della morte ma è importante non solo vedere dove i binari arrivavano ma anche da dove partivano, tra l’indifferenza della popolazione, o peggio le denuncie, l’accettazione delle leggi razziali da una parte e la solidarietà, la resistenza attuata dall’altra, in dell’Italia. Vedere che in Germania l’odio per determinati gruppi e il loro sterminio era iniziato molto prima della nascita dei campi di concentramento, soprattutto ad opera dei reparti speciali tedeschi, delle Einzsatzgruppe, costituiti da uomini della polizia e delle SS che per libera scelta (potevano infatti rifiutarsi di sparare su civili inermi, in quanto una legge prevedeva che non erano punibili) partecipavano a fucilazioni di massa di centinaia e centinaia di potenziali deportati. Si pensi soltanto alla strage di Babij Jar avvenuta tra il 29 e il 30 settembre 1941, dove vennero trucidati a colpi di mitragliatrici 33.771 ebrei.

Un viaggio come questo del Treno della memoria 2015 organizzato dalla Regione Toscana in collaborazione con il museo della deportazione di Prato, come ricorda Elena Bissaca, dà la possibilità di aggiungere tasselli importanti per costruzione una memoria pubblica. Vivendo questa esperienza collettiva, studenti, insegnanti, rappresentanti di associazioni, giornalisti, testimoni e sopravvissuti hanno la possibilità di comprende l’importanza della condivisione di storie e valori. Da queste esperienze concrete si auspica possa nascere un senso di collettività che rifiuti discriminazioni e violenza, una collettività che si accorga di quanto le sta accadendo attorno. Una collettività fatta di singoli non soggetti alla fame di sicurezza e rassicurazione, o stremati dall’ignoranza ma di singoli responsabili e desti; perché, come ha detto Vera Jarach Vigevani agli studenti, sul treno, durante il viaggio di ritorno “ci sono tante brutalità ancora oggi e la violenza sembra ancora dominare ma quello che non è mai accaduto, può accadere” non solo in negativo ma anche e soprattutto – e per questo Vera non ha mai cessato di lottare e pronunciare la frase “Nunca mas el silenzio”, nemmeno di fronte all’attuale Papa – in positivo.

Racconti e materiali audio dell’esperienza del Treno della memoria 2015, organizzato dalla Regione Toscana, si possono riascoltare sul sito di Rai Radio3 [url”www.radio3.rai.it”]www.radio3.rai.it[/url]. Il 27 gennaio Rai Radio3 dedica uno speciale in diretta dal Teatro delle Muse di Ancona con la messa in scena del melologo Sopravvissuti tratto da I cannibali di George Tabori, voce narrante Elio De Capitani.

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