La luce cristallizza impermeabile sul vetro. Opalino è il cielo e l’acqua gela. Mi sveglio nella vasca da bagno, devo aver dormito qui. Mi alzo. Deduco cose che poi non riesco a ricordare. Sistemo le cose che non hanno bisogno di essere sistemate. Sento che questo lunedì ha qualcosa che non va. Forse è un preludio di un attacco d’ansia. Forse è perché sono arrivato già vomitato alla festa di ieri.
Vado in cucina a nutrire questo nido oscuro che ho nel petto. Ansia che amoreggia con l’impellente ma rimandabile, desiderio di fare qualcosa dei miei trent’anni. Eppure un lavoro ce l’ho! Un divano di pelle anche. Un cellulare nuovo. Due trombamiche. Niente cane o gatto. Almeno altri venti anni da campare.
Vorrei sapere cosa faceva Bowie alla mia età.
Probabilmente non sarò mai un artista, ma ho una sensibilità speciale: vivo un malessere incolmabile quando i grandi muoiono. Twitter mi dice che poche ore fa Bowie è trapassato. Ebbi una sbronza epocale anche quando Lou Reed ci lasciò. E proprio come quel giorno Facebook si riempie di immagini devozionali, citazioni sommarie, frasi lette sulla bacheca di un altro e copiate sulla propria. Un rituale che durerà per settimane.
Cerco una frase a effetto, semplice e che sappia colpire anche la più superba delle pollastre: femmine avide di cui amo circondarmi. Femmine che sanno riconoscere da lontano un miglio se un Rolex batte male il tempo. Ci sono brand managers che le chiamano per individuare i falsi fra le Fendi bags in commercio.
Cerco di calmarmi con la mia app di musica in streaming. Accendo la playlist “Caffè del mattino”. Penso che se Bowie fosse nato nel 1985 non si sarebbe mantenuto con i diritti d’autore. Non sarebbe riuscito a sfondare la soglia dei 10k e a registrare in studio. Il solo pensare alla SIAE mi causa piccolissimi vetri aguzzi sotto pelle. Le ossa della cassa toracica tese. Su e giù con il respiro la mia voglia di morire.
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