Lennon, il mitico “Beatle” che ha fatto sognare generazioni intere, era un gran maleducato: divertiva il suo pubblico imitando i gesti di quello che oggi chiameremmo un “diversamente abile”, ma che lui certamente avrebbe chiamato “handicappato”, o peggio ancora “mongoloide”. Semina indignazione e colleziona critiche lo show, riesumato in questi giorni da una trasmissione britannica su Channel4, in cui il cantante inglese si lanciava in un’imitazione che appare irriverente, inopportuna, politicamente scorrettissima. E l’indignazione dei fans e non solo scorre sul filo “elettrico” della rete, dove proliferano commenti velenosi di spettatori delusi e sdegnati.
Indignazione diffusa, sì, ma non unanime, perché non manca chi a questo sdegno non intenda affatto unirsi. Come Gianluca Nicoletti, giornalista e papà di Tommy, che su La Stampa lancia una provocazione, osservando che “l’indignazione che corre sulla rete è quasi sempre mossa da contaminazione emotiva più che da pensiero sedimentato, così persone che magari non si fanno scrupolo di parcheggiare impunemente sulle rampe dei marciapiede, si sentono esplodere dentro la virtù eroica della difesa del disabile e si accodano al cyber corteo di quanti, indivanati con lo smartphone in mano, oggi scrivono che Lennon ha avuto un comportamento vergognoso”. Oltretutto, questa indignazione è anacronistica, quasi anti-storica, perché – scrive ancora Nicoletti – la “sensibilità” su cui si fonda non era propria di quegli anni, ma è una conquista recente. “Come allora i fans di Lennon applaudivano allo show anche noi allora saremmo andati in visibilio per la performance, proprio perché allora non avevamo ancora elaborato gli anticorpi che oggi ci rendono più sensibili e più consapevoli all’inclusione dei disabili come un valore per la società”. In altre parole, non si può giudicare il passato con i canoni e i tribunali del presente.
Ma c’è di più: ed è quell’accenno, contenuto nelle prime righe del commento di Nicoletti: c’è il dubbio che tanto rispetto, di cui oggi ci pregiamo, non sia che “di facciata”, un facile “politicamente corretto”, che però si accontenta di essere postato in rete, ma non corrisponde a un’effettiva pubblica virtù. Chissà infatti che tra i tanti “fans delusi” non ci sia qualche occupatore abusivo di parcheggi riservati. Quello stesso “politicamente corretto” serpeggia in tante trasmissioni televisive, che pure non convincono quando parlano di disabilità.
JOHN LENNON IMITA UN DISABILE:Come quella andata in onda ieri sera, su “Quinta colonna” (Rete 4), interamente dedicata alla disabilità, soprattutto ai primi giorni di scuola, con i problemi del sostegno assente o insufficiente. La parola è stata data a tante mamme e a vari “soliti noti”, politici o giornalisti che siano. Non è piaciuta, però, a tanti che quei problemi li vivono ogni giorno sulla propria pelle: “urlata”, “volgare”, “strillano tutti e non si capisce niente” sono alcuni dei commenti che girano oggi in rete. Tanto che alcune mamme hanno già scritto al conduttore, Paolo Del Debbio, per manifestare la propria insoddisfazione e proporre una nuova puntata, con ospiti più capaci di rappresentare la vera condizione delle persone con disabilità e di chi se ne prende cura.
Di pochi giorni fa è poi la protesta, anche questa piuttosto animosa, del Comitato 16 novembre: in questo caso, i malati di Sla e i loro familiari criticavano un’altra trasmissione televisiva, “La vita in diretta” su Rai Uno il 16 settembre, che aveva dato una rappresentazione “fuorviante” della malattia, mostrandola attraverso “un’ammalata in condizioni molto accettabili”, evidentemente a uno stadio iniziale. Anche in questo caso, disappunto e proteste, insieme alla richiesta di una rappresentazione più veritiera della malattia.
La televisione di oggi, insomma, pur con la nuova sensibilità culturale, non sembra offrire una rappresentazione della disabilità soddisfacente. Negli anni ’60 c’era lo sbeffeggio di John Lennon, forse di cattivo gusto ma almeno senza pretese moralizzanti. Qui c’è la scelta attenta delle parole, forse pure la sensibilità di porre la telecamera all’altezza giusta e la sana abitudine di dare il microfono alle famiglie, prendendo risolutamente le parti di chi soffre: ma ancora troppo spesso tutto si riduce a un volgare gridarsi addosso, o a un vuoto “piagnisteo”, tra frammenti incomprensibili di rivendicazioni senza spessore, in cui i problemi, quelli veri, e le richieste, quelle urgenti, restano fuori dallo studio. E chissà che i disabili non preferiscano, a questo punto, farsi una risata davanti allo show di Lennon. (cl)