O lo si ama o lo si odia Gerard Depardieu. I francesi lo hanno amato per decenni il Principe Nero, così lo chiamavano per il luogo in cui è nato il 27 dicembre el 1948, un paesino nei boschi della Loira devastato nel 1356 da Edoardo duca di Cornovaglia, detto appunto ‘il Principe Nero’. Poi lo hanno odiato quando, nel 2000, l’attore simbolo della Francia più bizzosa e virile è ‘emigrato’ in Russia dall’amico Putin, per sfuggire alla stretta fiscale di Hollande. Un gesto che i francesi, campanilisti per antonomasia, in parte non gli hanno mai perdonato.
Grande e grosso, iracondo ma anche dolce, Depardieu è arrivato alla recitazione quasi per caso, a 22 anni, dopo un passato da calciatore, contrabbandiere e tipografo. Studente ribelle, arriva a Parigi e si iscrive a un corso di recitazione. Sposa la sua insegnante, Elisabeth Guignot, che gli presenta Michel Audiard, regista del prima film in cui recita, Il Grido del Cormorano (1971).
Audiard è il gran maestro del giallo alla francese, il “polar”, e il suo lasciapassare è un vero passaporto per il giovane Gérard che in poco tempo, nonostante la balbuzie e ua segreta timidezza, si fa un nome grazie al fisico atletico, la comunicativa prorompente, la voglia di sperimentarsi. Lavora con Jacques Deray (“Un po’ di sole nell’acqua gelida”), Josè Giovanni (“Il clan dei marsigliesi”) perfino con Marguerite Duras (che sarà sua grande amica) in “Nathalie Granger” (1972). Insieme a José Giovanni, Pierre Tchernia, Betrand Blier e Alain Resnais, sarà proprio Duras a fargli spazio nei salotti del buon cinema parigino, accreditandolo di quel talento che altrimenti rischiava di rimanere prigioniero nel cliché del “duro ma buono”, adatto ai film d’azione e poco più. Il grande successo popolare arriva nel 1974 con il trionfo de “I santissimi” di Bertrand Blier in coppia con il bello e dannato Patrick Dewaere e da lì l’attività si fa frenetica anche per merito dei registi italiani che lo adottano; da Bernardo Bertolucci a Marco Ferreri che lo chiamano nello stesso 1976 per “Novecento” e “L’ultima donna”. Con più di tre film all’anno (quasi sempre successi di critica e pubblico) Depardieu diventa in breve il nuovo astro del cinema europeo.
Non è semplice tracciare un profilo dell’attore distaccandosi dall’uomo, tanto la sua personalità si è fatta prorompente e ha superato la sola dimensione dell’interprete. Che faccia il produttore di vini (eccellenti quelli della sua tenuta in Puglia) o il seduttore (dopo la prima moglie ha avuto numerose storie e due lunghe convivenze, prima con Carole Bouquet e poi con Clementine Igou), il padre di famiglia (tre figli e altrettanti nipoti) o il provocatore politico con atteggiamenti anarchici e controcorrente ogni volta più marcati, Depardieu è sempre uguale a se stesso.
L’attore ha dimostrato invece un’insaziabile volontà di cambiamento e sperimentazione, passando dal realismo tragico al surreale, dalla commedia alla farsa, dal cinema d’autore a quello popolare, senza nessun ritegno. Lo stesso sprezzo di ogni convenzione che più volte lo ha portato alla ribalta della cronaca: reo confesso di turbativa in aereo dove fece pipì nel corridoio durante un volo, accusato di stupro (da cui si è sempre dichiarato innocente) e di molestie, sostenitore di dittatori e rivoluzionario, ogni volta Gérard ha voluto essere protagonista, invadendo la vita reale come fa sullo schermo con la sua voce potente e la figura debordante. Sono tutti segnali di una timidezza mai celata, di un desiderio di mostrarsi che fa a pugni con la paura di non essere all’altezza. Eppure non si può restare indifferenti al fascino di questo gigante che il cinema europeo celebra oggi tra i più grandi.
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