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Lenzi, un mito del cinema che l'Italia ha capito poco e male

Steve Della Casa, celebre critico cinematografico, scrittore e tra i direttori artistici più illuminati, ci racconta chi era il regista scomparso il 19 ottobre. Ricordi dal set, aneddoti e molta malinconia

Lenzi, un mito del cinema che l'Italia ha capito poco e male
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20 Ottobre 2017 - 15.32


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di Steve Della Casa

Siamo nel 1960, sul lago di Garda. Stanno girando I pirati della costa, avventure corsare a basso budget per la regia del veterano Domenico Paolella. Solo che Paolella ha una brutta influenza, nelle due settimane di riprese non si fa quasi mai vedere sul set mandando invece istruzioni al suo giovane aiuto regista. Come era consuetudine dell’epoca, il produttore Fortunato Misiano ogni giorno vede il girato, le scene quindi che sono state realizzate. All’epoca si girava senza registrare il sonoro, che sarebbe stato aggiunto in seguito al doppiaggio. E quelle scene d’azione, peraltro molto riuscite nonostante la penuria di mezzi, le vedeva ascoltando una voce fuori campo dal potente accento toscano che urlava in continuazione, dando ordini molto precisi e rimproverando aspramente chi non faceva quanto indicato. Misiano disse: “Questa non è la voce di Paolella, non ha l’accento pugliese. Chi è questo toscanaccio che urla come un ossesso?”. Gli risposero timorosi: “E’ l’aiuto regista, Umberto Lenzi”. Misiano rimase zitto qualche secondo poi disse: “Mi sembra in gamba. Il prossimo film lo faremo fare a lui. Siccome è giovane, inoltre, ci costerà di meno”.
E così l’anno dopo Umberto Lenzi, diplomato al Centro Sperimentale con un cortometraggio di stile neorealista, esordì alla regia diventando in breve tempo uno dei registi italiani più richiesti per i film d’azione. Univa grandi doti tecniche a una capacità straordinaria di adattamento. Non si tirava indietro neanche quando Misiano (con il quale farà ben otto film) gli propone un titolo che sembra uno scherzo, Zorro contro Maciste: lui lo gira, fa fare a Zorro la figura del cretino mentre è il muscoloso Maciste a essere quello intelligente della compagnia. In compenso, dimostrò buon fiuto per gli attori. Il suo film d’esordio, Le avventure di Mary Read, è anche l’esordio come protagonista per una sconosciuta ma già bellissima Lisa Gastoni. In A008 operazione sterminio, film di spionaggio in James Bond style girato al Cairo, propone ad Alberto Lupo il ruolo dell’agente segreto: l’idea funziona benissimo, Lupo è affascinante e misterioso ma anche qui troviamo la zampata ironica di Lenzi: alla fine del film si scopre che il traditore, la spia russa, è proprio lui.
L’avventura prosegue e Lenzi cambia molto spesso genere. Nel western, per sua stessa ammissione, non eccelle affatto ma nel giallo erotico inventa praticamente un nuovo stile. Prende Carrol Baker, attrice americana bellissima e famosa ma un po’ messa da parte nel mondo hollywoodiano e inizia il trittico formato da Orgasmo, Così dolce così perversa e Paranoia. Tre film gialli ambientati nella buona borghesia che si rivela subito un vero nido di vipere. Lenzi, animo anarchico e decisamente antiborghese, gode tantissimo di quel successo.
Poi viene la stagione dei poliziotteschi, i film che raccontano con grande ritmo e molte scene d’azione la nuova criminalità che scandisce quassi quotidianamente la vita delle grandi città del nord. Milano rovente, ad esempio, racconta rapine, mette in scena travestiti, propone inseguimenti mozzafiato. In Milano odia: la polizia non può sparare incontra Tomas Milian, attore cubano già allievo dell’Actor’s studio e da tempo in Italia dove ha fatto di tutto, dai western ai film d’autore con Visconti. Tutti i registi temono Milian perché ha un caratteraccio, ma Lenzi ha ancora più personalità di lui. Quel film rivela finalmente le grandi capacità del cubano, che deve interpretare un malavitoso violento, drogato, spietato. Lenzi lo valorizza al massimo, ma le strade di Roma risuonano ancora delle mille urla che il regista dovette emettere per fa sì che Milian si piegasse ai suoi voleri. I due continuano a lavorare insieme, ma la loro amicizia di fatto termina quando Milian diventa definitivamente “er Monnezza” e vira verso il comico, scegliendo altri registi e altre situazioni.
Intanto Lenzi lavora anche ad altro. Il suo grande sogno (e i film da lui preferiti tra quelli girati) sono le avventure di guerra. Li gira tra Spagna, America e Italia con attori decisamente importanti (Henry Fonda, John Huston , Stacy Keach, Giuliano Gemma), ottiene un buon successo commerciale ma non diventano dei cult movie come i precedenti. E pensare che Lenzi è anche uno storico sopraffino: negli anni ha collezionato tantissimo materiale sulla guerra civile spagnola, sognando sempre di realizzare un film che non girerà mai. Invece gli propongono molti horror e lui li gira: anche questi con grande professionalità, facendo del sadismo e delle scene estreme il suo nuovo marchio di fabbrica. Ma i budget via via si riducono, e Umberto medita più volte di abbandonare il cinema.
Poi esplode il fenomeno Quentin Tarantino. Il regista di Pulp Fiction rivela al mondo che la sua fonte principale di idee arriva dal cinema popolare italiano, e la Mostra di Venezia diretta da Marco Muller propone un’ampia retrospettiva della nostrana serie B. Ero presente quando Tarantino incontra Lenzi, inginocchiandosi e gridando forte forte: “Maestro! Maestro!”. Lenzi per una volta non urla lui, ma è visibilmente toccato e commosso. L’incontro pubblico tra i due è da antologia di come dovrebbero essere gli incontri di cinema: Tarantino gli fa domande dimostrando di conoscere a fondo tutti i suoi film, Lenzi risponde soddisfatto di poter finalmente parlare con qualcuno che conosce ciò di cui racconta. Insomma, un trionfo. Poi Umberto Lenzi smette davvero di fare film e si tuffa nella letteratura gialla, facendo anche questo a modo suo,. Si inventa un investigatore privato in stile Marlowe che negli anni Quaranta indaga su misteriosi delitti che avvengono sempre sul set di grandi film italiani dell’epoca: Harlem, I miserabili, Cuore e molti altri. Sono avventure mozzafiato che chiedono solo di essere trasportare in immagini. Umberto non ci spera più, e in fatti il miracolo non avviene. Non c’è più spazio per il nostro cinema d’azione che teneva il passo di quello americano: un’epoca si è chiusa per sempre e, pe ricordare Umberto Lenzi, forse la cosa più giusta da dire è che per quell’epoca si prova grande rimpianto.

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