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Alessandro Bergonzoni: oggi Urge un cambio di frequenza

Esce oggi, 3 marzo 2016, nelle sale Urge, film diretto da Riccardo Rodolfi e tratto dall’ultimo spettacolo di Alessandro Bergonzoni [Ivo Mej]

Alessandro Bergonzoni: oggi Urge un cambio di frequenza
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3 Marzo 2016 - 09.57


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di Ivo Mej

Quando uno incontra Alessandro Bergonzoni per intervistarlo è sempre preso da una certa inquietudine: ‘riuscirò a cogliere tutti i nessi?’; ‘capirò al volo i doppi, tripli, quadrupli sensi?”. Il virtuoso della lingua, del segno semantico, dell’ambiguità della favella è là, davanti a te e tu non sai che farci, se non ascoltare qualcosa che somiglia ad un flusso di coscienza.

Alessandro, cos’è che urge oggi in Italia?

Ho una grande paura a parlare di Italia. Qui il problema non è l’Italia, è il cosmo, è l’universo, non è l’America, non è La Siria, non è l’Oriente, non è l’Occidente. Oh, ccidente, oh, riente, sembrano quasi delle invocazioni. Io l’Italia la definisco il mignolo del piede del mondo, non siamo niente di più. Quello che urge oggi è un cambiamento di frequenza, cambiare onda, cambiare luce, cambiare l’energia. Significa anche un cambio sequenziale quantico. Ecco, dovremmo cominciare a parlare di Quantico delle creature, dovremmo avere un altro ritmo, cominciare a parlare di un collegamento diverso tra le persone, non di informazione, non di comunicazione, non su internet, suinternet, questo concetto maiale, suinterenet, come se si dovesse tenere tutto invece va buttato tutto. Io parlo di un’altra rete, noi dovremmo fare una rete, l’uomo da quando nasce a quando rinasce, tesse: tessere o non tessere, questo è il problema.
Manca la coscienza ma non etica, non manca etica, non manca giustizia, ma anche, manca poetica, manca arte. Se tu fossi poetica, caro uomo, non faresti geniocidi. Facciamo geniocidi, non genocidi, uccidiamo le nostre parti più artistiche, poetiche. Il femminicidio è un genocidio, ma prima del genocidio c’è il geniocidio. Uomo, svegliati, la donna è incinta e l’uomo in procinto. Quand’è che l’uomo mette al mondo, che crea? La donna si dà, il bambino può darsi, l’uomo s’è dato. Sedato. Siamo completamente sedati.

Serve rivelazione. Oggi urge rivelazione. Lo spettacolo lo dice, il film lo dice: il granché! Noi diciamo ‘non è un granché’. Questa tv non è un granché, questa politica non è un granché. Ma cos’è il granché? Siamo noi il granché! E’ un cambio di marcia. Non parlo di mele. E’ un cambio di frequenza, di suono, di onda. Ecco, cominciamo a cambiare spartito. Non cambiare partito. Dobbiamo cambiare il DO, da dare, il FA, da fare, il MI, cambiare dentro di noi, cambiare il RE, chi ci comanda ma cambiare anche il SOL, sono sol uno studente, sono sol un regista, sono sol un immigrato. Cambiare questo. E’ una questione di suono, di onde.

Riesci a individuare un politico che giochi con le parole come fai tu?

Spero proprio di no. Spero di non ricordare nessun politico o con il mio fare innalzare o raccontare vite di persone che hanno vizi e tic che secondo me restano gravissimi applicati alla vita politica. Non trovo mai un politico divertente quando esagera o non fa le cose che deve fare. Ci rido pochissimo sopra. Lo può fare Crozza che è bravissimo a farlo.

Il participio passato di Urge, qual è?

Di Urgere? E’ torniamo, torniamo. Noi siamo macerie prime. Il participio passato di urgere è ‘dissento’. Non sentiamo come non sentiamo. E’ dissenteria, andare di corpo e tornare di anima, andare di anima e tornare di corpo. Participio da partecipare. Mi piace parlare di questo concetto. Oggi parlano di dividere e imperare. A me piace invece unire e imparare.

Quindi si parla anche di scuola?

Scuola? Fondamentale! Nel film ‘Urge’ si parla di scuola. Andare nei licei, l’artista deve andare nei licei…No, troppo tardi. Deve andare alle medie…No troppo tardi anche alle medie. Bisogna andare alle elementari…No, è tardi anche alle elementari! Negli asili! L’artista deve andare negli asili: è quello il Governo, il Parlamento dove sono gli uomini di domani. Ma è tardi anche andare negli asili. Bisogna andare durante il rapporto e dire: ‘ascolta!’ a quel bambino che sat passando. Ascolta, che esiste qualcosa, vedrai ragazzo, non è solo quello che si vede, che capisci, che guardi ma esiste anche l’incredibile, l’inaudito, l’impensabile, l’inaccettabile. Devi lavorare su quello, l’incredibile. Non devi aspettare solo che i ragazzi vengano a te, ma sei tu che devi andare da loro. Devi andare dove non ti volgiono. Oggi bisogna andare dove non ti vogliono.

Tra le parole ‘stepchild adoption’, ‘jobs act’ o ‘human technopole’, quale preferisci?

Io preferisco pensare alle unioni. Unini civili, unioni incivili, unioni militari. Preferisco andare altrove, preferisco un salto in altro, un salto inoltre, non mi far parlare dell’Accademia della Crusca, del bambino, della scuola, ti prego! Non mi fare fare il social. Non ho internet e credo che lei non abbia me.

Le parole ci stanno dicendo: ‘ma ci ascoltate?’, ‘ma come ci usate?’. Io, che tutti credono che giochi con le parole, mi faccio giocare dalle parole. Sono le parole che giocano con me. Sono loro che ci insegnano a non perderle e a non perdere tempo con loro. E’ una questione frequenziale, totale. E’ possibile non fare la parodia del politichese, del giovanilese?

Fare un film dal tuo spettacolo serve a rimanere immortale?

Come dice Riccardo Rodolfi che è il regista, il film non deve servire! Non deve rimanere lì fermo. Uno quando ha finito di fare il suo film, ha finito di fare il proprio lavoro. E’ quando finisce il film, la mostra, lo spettacolo, che deve iniziare il mestiere degli altri. Devi fare un film con la tua testa, con il tuo sguardo. Ogni spettatore può fare un film. Quando la sera si chiude in bagno ed è lì a fare le sue abluzioni, deve fare un film sul carcere, deve immaginare che lì ci sono degli spaghetti, che di fianco c’è un letto, che mentre un uomo fa una doccia, un altro mangia, tutto nello spazio di tre metri. Questo è il film che dobbiamo fare, finito il film. Non dobbiamo aspettare che lo facciano altri. Noi abbiamo molte potenzialità. Un’enorme energia che non usiamo.

Come disse Fleinstein, o Floenstein, c’è chi lo chiama Flunstein, insomma lui disse: ‘non mi chiamo così’.

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