È ora nelle sale con “Belli di papà”, commedia scritta da Giovanni Bognetti e Guido Chiesa, che ne cura anche la regia, con produzione della Colorado Film, e presenze interpretative di Diego Abatantuono, Antonio Catania, Francesco Facchinetti, Andrea Pisani, Matilde Gioli, Marco Zingaro, Barbara Tabita, Uccio De Santis, Niccolò Senni.
Lui, Francesco di Raimondo, ventiduenne capitolino, supportato dalla Diberti&C. Srl, sigla il suo esordio sul grande schermo con una pellicola ai primi posti al botteghino dopo il primo week end di programmazione, con un ruolo da coprotagonista vestendo i panni di Andrea, il minore dei tre “figli di papà” Abatantuono, abituati/viziati, almeno per il momento, agli agi e alle ricchezze di famiglia: «È il mio primo film, ed è un’esperienza che resterà indimenticabile. Debutto al cinema con un personaggio che reputo affascinante per l’evoluzione mentale e comportamentale che rivela poco per volta nel corso della storia; un personaggio che ho avuto la fortuna non solo di interpretare sotto la guida delicata di Guido Chiesa, ma anche di scrivere e costruire (perché, inizialmente, Andrea non c’era) in un percorso di comunione collaborativa che mi ha permesso anche di integrarne la personalità con mie dirette esperienze di vita. A tutto ciò si aggiunge poi il privilegio di aver condiviso questo cammino con attori professionalmente bravissimi e umanamente splendidi».
Il primo incontro con la macchina da presa però Francesco lo ricorda prima con la televisione e la fiction trasmessa su Rai 1 “Provaci ancora prof. 5”, accanto a Veronica Pivetti per la regia di Tiziana Aristarco, poi con il cortometraggio “Il tempo è un bastardo” diretto da Enrico Granato che gli affida il ruolo di protagonista, poi selezionato allo Short Film Corner del Festival di Cannes 2015. Dunque, l’attrazione per la recitazione si rivela al giovane attore molto presto, e lui, oggi studente universitario di materie filosofiche, intende conciliare la carriera di attore con la passione per la poesia (oltre venti i suoi componimenti pubblicati per il “Premio di poesia Calamandrei”), per la musica, che attualmente lo ritrae clarinettista al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, e gli impegni, da anni ormai, con l’assistenza alle persone diversamente abili, con la clown-terapia e con il volontariato: «Non nascondo che ultimamente ho avuto qualche difficoltà a mantenere in tutto in equilibrio, ma il trucco è sapersi organizzare bene. Ho il grande vantaggio di riconoscere la filosofia e la musica come due mie grandi passioni, quindi non sento lo studio come un dovere ma come un piacere: certamente è faticoso rispettare tempi e scadenze delle singole attività, però, e questo vale anche per la recitazione, fanno tutte parte della mia vita e non voglio rinunciarvi».
Parlando di recitazione poi, si definisce una vocazione sbocciata con l’ingresso alla Scuola di Teatro “Tutti in scena” diretta da Nicola Di Foggia e Paolo Scotti (a cui si aggiungerà lo stage alla scuola di Teatro “Jean-Laurent Cochet et Pierre Delavene” di Parigi), per i quali porta in scena “Illustrissimo”, “Il sale della terra”, “Chez Raspoutine”, “Il Crogiuolo” di Arthur Miller, “Un ragionevole dubbio” di Reginald Rose, e “L’apparenza inganna” tratta da “Il letto ovale” di Ray Cooney e John Chapman: «Durante un esercizio alla scuola di teatro – racconta Francesco – dovetti interpretare un monologo pirandelliano in totale libertà, senza alcuna indicazione registica, senza restrizioni e senza aiuti. Avevo quattordici anni ed era la mia prima volta sul palcoscenico: ricordo ancora chiaramente che in quei momenti scattò dentro di me un’emozione grande, travolgente, cristallina: avevo capito che quella era la mia strada».
E se l’emozione del teatro prosegue con un progetto che, il prossimo inverno, lo vedrà nel ruolo di protagonista per il noir “I cerchi nell’acqua”, tratto dalla pellicola giapponese “Rashomon” di Akira Kurosawa, Francesco guarda il futuro professionale come palestra dove crescere e maturare la sua potenzialità recitativa: «Vorrei misurarmi con me stesso sperimentando ruoli e generi diversi, perché, soprattutto in ambito cinematografico, in questo paese si tende ad identificare un attore con il personaggio che lo ha consacrato o che lo ha reso in qualche modo “efficace” in una particolare occasione. Mi piacerebbe avere la possibilità di lavorare con diverse autorialità, di mettermi a confronto con molte sfumature caratteriali, con molte psicologie e quindi con molti ruoli sia in televisione che al cinema, così come ho avuto modo di fare finora a teatro. Credo sia una strada concreta e formativa per conoscere e imparare il significato complesso e profondo del mestiere dell’attore».