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L’autore di Io sto con la sposa: cos’altro serve per capire questa tragedia?

Parla Khaled Soliman Al Nassiry, poeta siriano, co-regista del fortunato film sull'esodo dei rifugiati: 'Sono anni che l'Europa chiude la porta a chi scappa dalla guerra'.

L’autore di Io sto con la sposa: cos’altro serve per capire questa tragedia?
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4 Settembre 2015 - 16.18


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In Siria ha parenti e amici. In particolare a Damasco. “Vivono nel terrore, non sanno mai con certezza chi è il nemico. Non c’è solo il dittatore Assad”. Khaled Soliman Al Nassiry, poeta, regista e co-autore del docufilm “Io sto con la sposa”, non riesce a vedere uno spiraglio di speranza per i suoi connazionali. “Ogni volta che li sento mi dicono solo che vogliono lasciare la Siria. È una guerra civile, che sta lasciando ferite profonde nella società. In alcune famiglie ci sono fratelli o parenti che combattono per fazioni opposte. Una tragedia”.

Khaled sta girando l’Italia per presentare “Io sto con la sposa”, pellicola che ha partecipato al Festival del Cinema di Venezia 2014 e che racconta il viaggio di un gruppo di profughi dall’Italia alla Svezia al seguito di un finto corteo nuziale. “La gente rimane colpita, non immagina quale odissea i profughi devono vivere anche in Europa – sottolinea –, però ora mi rendo conto che il film non basta. La gente comune, al di là di qualche gesto di solidarietà, che cosa può fare? Nulla. Il problema è più grande ed è in mano ai governi. È da anni che l’Europa chiude la porta in faccia a chi sta scappando dalla guerra. E ora forse ci si sta rendendo conto anche a livello politico che così non si può andare avanti”.

“Ieri la foto del bambino morto sulla spiaggia turca, nei giorni scorsi i morti sul camion in Austria e poi i naufragi: cosa altro ci vuole per capire che è in corso una tragedia? – chiede Khaled –. Non sono solo i siriani a dover scappare, ma ci sono anche gli iracheni, i pakistani, i somali, gli eritrei… La soluzione non può essere quella di chiudere la porta in faccia a chi fugge. Anch’io non ho dormito dopo aver visto la foto di quel bambino. E ora? Cosa possiamo fare? Oppure aspettiamo che il tempo ci faccia dimenticare? Ma ci saranno altri morti e altre foto. Ecco dobbiamo farci tutti un esame di coscienza”. (dp)

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