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Odio e insulti: le donne sono le più bersagliate nel web. Come fare

Una ricerca segnala la proliferazione dei messaggi: il numero in soli otto mesi è arrivato a 1.102.494, con 28.886 tweet geolocalizzati

Odio e insulti: le donne sono le più bersagliate nel web. Come fare
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Vincenzo Vita Modifica articolo

25 Agosto 2017 - 16.23


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Sulla scelta, condivisibile, della presidente della camera dei deputati Laura Boldrini di denunciare coloro che insultano on line si è già scritto molto. E qui non sono in gioco giudizi politici. Il manifesto ha affrontato il tema generale, con gli articoli di Bia Sarasini e di Guido Viale (18 e 22 agosto). Si pone a questo punto, però, il lato “maledetto” del problema, da tempo in incubazione, oggetto di infiniti dibattiti, e tuttavia poco affrontato in termini davvero operativi. Vale a dire il nodo dei limiti della libertà nella e della Rete. Ovviamente, guai solo a pensare che Internet possa essere imbavagliato, magari con nobili intenzioni. Hanno ragione coloro che sottolineano come la nuova “realtà allargata” valichi i vecchi confini analogici ed esprima zone di conflitto che qualche grida non rimuove. Come le solite proposte di istituire specifiche “autorità” o di estendere i compiti delle attuali istituzioni di garanzia. Ciò non toglie che l’incitamento all’odio (hate speech), attraverso le diverse forme attraverso cui si esprime, configuri una degenerazione inquietante, tale da chiudere anche simbolicamente l’era dell’innocenza del Web.

Un lungo lavoro dell’organizzazione non profit “Vox-Osservatorio italiano sui diritti”, con la partecipazione delle università di Milano, Roma e Bari, mira ad identificare le mappe dove l’intolleranza sui social –Twitter in specifico- è più diffusa. Ne ha parlato domenica scorsa la bella trasmissione di Radio radicale “Media e dintorni”. Si segnala proprio la proliferazione dei messaggi contro le donne: il numero negli otto mesi della ricerca è arrivato a 1.102.494, con 28.886 tweet geolocalizzati. E’ un sintomo di una marea nera, che con la libertà di espressione verosimilmente c’entra ben poco. “Nessuna tolleranza, cioè, va garantita agli intolleranti dei diritti e libertà altrui” ha scritto su “La Stampa” del 22 agosto, a proposito del recente terrorismo, Vladimiro Zagrebelsky. Il nesso è forzato, ma il criterio è omologo.

Sull’argomento il ministro Orlando ha sottolineato che non sempre la risposta penale è l’unica praticabile e si finirebbe per sovraccaricare le procure in modo insostenibile. Del resto, è stato ricordato, la Commissione europea ha stipulato un accordo con i gestori per l’eliminazione dei profili e la rimozione dei contenuti. Considerazioni di buon senso, ma insufficienti nei confronti di qualcosa che sta inficiando credibilità ed autorevolezza della stessa Rete, costruendo le premesse per un clima di opinione negativo e reazionario. Da varie parti, ivi compresi i vecchi media impauriti dalla concorrenza di Internet, non si aspetta altro che l’attimo opportuno per invocare censure e condizionamenti.

Sul lungo periodo l’unica risposta efficace è la forza d’urto di un movimento intellettuale critico e vigile, in grado di determinare l’isolamento e la sconfitta degli hater.

Però, non basta. La Germania ha varato una legge con sanzioni milionarie per i social che non cancellano i post offensivi. Ed esiste una vasta giurisprudenza volta a sancire l’equipollenza tra i reati di diffamazione, siano essi off line ovvero on line. Andrebbe, però, definita una procedura processuale accelerata, propedeutica a provvedimenti immediati. Basta un “comma”, da inserire in uno dei provvedimenti in corso d’opera in materia di giustizia. Sarebbe una risposta precisa e non farisaica. Il “mostro” si nasconde nella cantina, vedi il capolavoro di Hitchcock, e la porta va aperta.

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