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Riccardo Tozzi: al nostro cinema manca la diversificazione

Intervista di Marco Spagnoli al presidente di Anica e Cattleya, Riccardo Tozzi: 'Il punto debole delle produzioni italiane è la mancanza di diversificazione'.

Riccardo Tozzi: al nostro cinema manca la diversificazione
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17 Marzo 2016 - 17.01


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di Marco Spagnoli*

“Produciamo troppi film con meno risorse. Il Box Office degli ultimi anni lo sottolinea chiaramente: i titoli vincenti sono quelli con un maggiore valore di produzione.” Riccardo Tozzi, Presidente di ANICA e della società di produzione Cattleya deroga, per una volta, dall’usuale ottimismo con cui guarda al mercato e, facendo il bilancio di quanto è accaduto l’anno scorso, avverte “La produzione di titoli destinati al cinema fatta in questa maniera non ha alcun senso. Nel 2015 abbiamo prodotto 194 film mentre la Francia ne ha realizzati 170. Il numero di film italiani è aumentato del 25% rispetto al 2012, mentre le risorse sono ancora sempre le stesse: 300 milioni di euro. Non ha senso, perché questa non è una crescita, ma una frammentazione.”

Andando a guardare in controluce i dati, il Presidente Tozzi analizza “Il budget medio per i film italiani oggi è di circa 1,3 milioni di euro, mentre nel 2012 era 2,2 milioni. Pensiamo che ci sia uno stretto legame tra la riduzione del budget medio e la perdita di quote di mercato italiano negli ultimi anni. Il pubblico è interessato alla qualità e dobbiamo agire di conseguenza. In tutti i tipi di film, dai piu’ popolari alle opere prime.“ Su una nota più lieve il produttore aggiunge “Abbiamo ampie possibilità di miglioramento, ma abbiamo bisogno di agire adesso. In caso contrario, senza un serio confronto, si rischia di perdere molto. Gli ultimi cinque anni possono essere considerati una rivoluzione nel modo in cui la gente guarda i film e consuma audiovisivo. Sono entrati sul mercato nuovi player come Netflix e altri potrebbero arrivare nei prossimi mesi. Dobbiamo essere pronti.”

Sul piano qualitativo quali sono le noti dolenti?
Il punto debole delle produzioni italiane di oggi è la mancanza di diversificazione. Abbiamo troppe commedie e film d’autore tradizionali, e non lavoriamo in maniera adeguata sul ‘genere’ destinato a un pubblico ben definito come nel caso dei ragazzi. Tutto questo, ovviamente, cambierà, ma è un processo che per essere messo in moto in maniera virtuosa richiede un po’ di tempo e molti sforzi da parte nostra. In televisione, in compenso, questo già accadendo e – nel nostro caso – stiamo lavorando su diverse serie che sono molto legate al genere come il prossimo Gomorra e come Zero Zero Zero e Suburra. Certo, mentre sul Crime siamo molto avanti, stiamo pensando anche ad altre tipologie come il Western con Django e l’horror con Suspiria.

Come spiega il fatto che questa possibilità di diversificazione, invece, sembra non essere colta dalle produzioni cinematografiche?

Il cinema è, in un certo senso, più difficile e faticoso: per certi aspetti il cinema, rispetto alla nuova serialita’, appare un mezzo meno internazionale.

In che senso?

Mentre i fan delle serie TV non hanno alcun problema a guardare una serie tedesca, italiana, svedese o messicana recitata, peraltro, nella lingua del paese dove viene girata, al cinema le cose sono ancora significativamente differenti.
La mia impressione è che il cinema rischi di rimanere un prodotto domestico come e’ una parte la Televisione generalista. Nessuno guarda all’estero un talk show e succede lo stesso con la grande maggioranza dei film che produciamo. Mentre gli Americani stanno conquistando ancora una volta il mondo theatrical con film di genere basati su progettualità molto forti noi abbiamo ancora difficoltà a fare questo cambiamento.

Il genere offre la possibilità di serializzazione e anche se è vero che ‘il cinema è l’industria dei prototipi’, ogni vera industria che si rispetti crea un prodotto per, poi, ‘serializzarlo’, che non deve equivalere a banalizzarlo, in direzione di un pubblico sempre più ampio. In questo senso apprezzo i colleghi di Indigo che stanno producendo il seguito del Ragazzo invisibile. A Hollywood fanno lo stesso e sono sempre più ossessionati con l’idea di creare valore attraverso le franchise. In Europa siamo forse ancora troppo timidi rispetto a questa possibilità. Peraltro autori di successo come Woody Allen o Nanni Moretti, svulppano uno stile che, nel modo migliore, si spinge ai limiti della serialità. Ovviamente è un lavoro che deve essere fatto in maniera creativa e non puntare su un semplice sfruttamento. Il pubblico ama ritrovare qualcosa che già conosce all’interno dei film che va a vedere.

In televisione, invece, le cose stanno in maniera diversa e c’è una strana libertà che ancora non siamo riusciti a conquistarci nel cinema. Genere, serialità e libertà creativa possono e devono non essere in conttraddizione.

Ovvero?

Penso che abbiamo ancora troppi timori nella produzione di un film: “è troppo femminile? Troppo per i giovani? Abbiamo bisogno di questo attore? Dobbiamo chiamare che attrice? Siamo ancora troppo “convoluti” nel porci delle domande sospese tra creatività e marketing che non fanno bene, di fatto, al prodotto finale.

Una possibile strada maestra?

Nel caso di Cattleya stiamo lavorando nel mescolare attori popolari con autori, ancora nel reame della commedia e sviluppiamo il genere Crime. Ma è solo un inizio per cercare di far saltare gli schemi. Stiamo, tra l’altro, lavorando con il gruppo di Youtuber The Jackal ad un film di fantascienza ambientato a Napoli.


* Questo articolo è stato pubblicato sul [url”Giornale dello spettacolo”]http://giornaledellospettacolo.globalist.it/Detail_News_Display?ID=88984&typeb=0&speciale-matera-sfoglia-il-giornale-dello-spettacolo[/url] anno 72, n.1 del 2016
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