Still Life: lo spettacolo contro la discriminazione identitaria | Giornale dello Spettacolo
Top

Still Life: lo spettacolo contro la discriminazione identitaria

Abbiamo fatto una chiacchierata con Stefano Ricci proprio in occasione delle date cagliaritane.

Still Life: lo spettacolo contro la discriminazione identitaria
Preroll

GdS Modifica articolo

13 Marzo 2017 - 10.47


ATF
Di Margherita Sanna

Al teatro Massimo di Cagliari sabato 11 e domenica 12 Marzo, con lo spettacolo contro la discriminazione identitaria Still Life, il duo Ricci/Forte, porta in scena la verità senza edulcorazioni. Un teatro di rottura, squisitamente contemporaneo, che riesce a veicolare messaggi con estrema chiarezza. Abbiamo fatto una chiacchierata con Stefano Ricci proprio in occasione delle date cagliaritane.

Com’è nata l’idea di questo spettacolo?
È nata dalla celebrazione del ventennale del Garofano Verde, che è una rassegna di teatro lgbt che da vent’anni conduce Rodolfo di Giammarco. È nata appunto per celebrare questo ventennale per cui mi è stato chiesto di creare uno spettacolo a tematica lgbt. Abbiamo cercato di lavorare sul tema del bullismo omofobico, perché era molto presente nel momento in cui lo spettacolo era nato. Non che ora sia passato di moda, anzi, i casi di bullismo omofobico sono all’ordine del giorno. Abbiamo cercato di costruire qualcosa che raccontasse in quel momento (3 anni fa) la morte che era avvenuta di un ragazzo nel Lazio.

Secondo Lei da 3 anni fa ad oggi, quanto è cambiata la situazione riguardo all’omofobia in Italia?
Forse è peggiorata nel senso che comunque c’è un abbattimento culturale, un impoverimento culturale, e quindi c’è sempre questo timore della differenza. Ed è paradossale perché specialmente in un’età come quella dell’adolescenza in cui si dovrebbero celebrare le differenze intese come un valore, in realtà c’è un tentativo stupido di omologazione. Chiunque sia differente, indipendentemente da un gusto squisitamente identitario, semplicemente qualcuno che non rientra nel gruppo, che non rientra negli schemi predisposti, fa paura e si tende a schiacciarlo. Quindi è peggiorata.

Secondo Lei gli italiani sono più omofobi o più razzisti?
Diciamo che io confrontandomi con altre realtà all’estero dove questo tipo di problemi sono meno sentiti, constato che ci sia proprio un problema di timore delle differenze. Che sia omofobia o razzismo, chiunque sia differente, non rientri nei parametri standard della socializzazione, viene allontanato. Non c’è una cultura che educhi a riconoscere la differenza da sé come qualcosa che faccia crescere un Paese.

Beh, si nota quando la tv generalista trasmette qualche scena omosessuale e poi arriva un coro di proteste all’indomani.
Sì, proteste, oppure si tende a rappresentare in qualche modo le differenze come una macchietta o per la persona di un colore differente di pelle, o per i gusti differenti, si cerca di rassicurare il pubblico nazionalpopolare con una macchietta che rientri negli standard. Allora in quel caso diventa accettabile. Altrimenti qualunque altra modalità viene sempre intesa come un’aggressione.
Voi portate in giro il vostro spettacolo dal 2013, com’è stato percepito dal pubblico italiano ed estero?
In realtà la modalità con cui viene trattato l’argomento ha sempre raccolto un grande entusiasmo, una grande partecipazione emotiva e civile, sia in Italia che all’Estero. All’Estero il problema è meno sentito perché c’è una maggiore educazione in questo senso, però anche adesso abbiamo portato lo spettacolo a Barcellona qualche settimana fa, e indipendentemente dal tema trattato, è la modalità con cui viene trattato. Perché è un tipo di lavoro che cerca di celebrare il valore della fantasia, e quindi in questo senso lo spettacolo di per sé, indipendentemente dal diverso modo di sentire, viene comunque preso molto bene dal pubblico. È comunque un viaggio emotivo che si fa e che permette poi a un pubblico italiano o straniero di riconoscersi o riconoscere quelle che erano appunto le scintille primigenie di crescite di un’adolescente, e anche inevitabilmente i sogni che poi vengono infranti con il passar del tempo.

Nei vostri spettacoli c’è sempre un grande spazio dato alla musica. Che rapporto avete con lei?
In realtà la musica è comunque sempre il nostro performer aggiunto. Abbiamo sempre lavorato da anni a cercare di raccontare le esperienze del performer a tutto tondo. E quindi la musica, l’espressione fisica, la parola, assumono tutti ruoli principali. La musica è evocatrice – o per assonanza o per contraddizione – di qualcosa che riguarda fondamentalmente l’esperienza umana. Cerchiamo sempre di lavorare a stretto contatto con lei proprio per cercare di trovare quella musicalità che appartiene all’individuo.

I prossimi progetti?
Il mese prossimo inizieremo uno spettacolo prodotto dal Teatro Biondo di Palermo, uno Shakespeare, che debutterà a Palermo e poi parteciperà al Festival dei Due Mondi di Spoleto. A giugno invece realizzeremo per il Macerata Opera Festival una Turandot di Puccini.

Native

Articoli correlati