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Anagoor, anatomia di un massacro

Chiude il XXI Festival delle Colline Torinesi la prima assoluta di “Socrate il sopravvissuto”, ovvero la condizione giovanile tra scuola, futuro e pistole

Anagoor, anatomia di un massacro
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23 Giugno 2016 - 15.50


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di Nicole Jallin

C’è un’estetica concettuale, uno sfogo sperimentale di questioni attuali, un’ascesa avanguardista di pensiero teatrale sempre ancorato al percepire umano, tra una classicità ancestrale (inafferrabile e mai perduta) e il nostro presente, nei lavori di Anagoor, una tra le realtà più feconde e attive della ricerca contemporanea. E c’è ora, nel “Socrate il sopravvissuto / come le foglie”, presentato in prima assoluta alle Fonderie Limone di Moncalieri per il Festival delle Colline Torinesi (co-produttore insieme a Centrale Fies e alla stessa compagnia), un affondo sottile nel nostro tempo pregno di un male quotidiano sempre più banale, che parla la lingua violenta della morte, che risucchia la tragedia nella cronaca, in storie che accadono e delle quali ci accorgiamo colpevolmente sempre tardi.

È questo il punto di partenza della messinscena complessa e attraente diretta da Simone Derai, in condivisione drammaturgica con Patrizia Vercesi. La strage di una commissione d’esame – si salva solo il docente di storia e filosofia Marescalchi, nella recitazione seria e misurata di Marco Menegoni – per mano armata del maturando Vitaliano Caccia, deriva dalle pagine de “Il Sopravvissuto” di Antonio Scurati (ispirato al massacro della Columbine High School) e immerge la pièce in un reticolo visionario e semiotico di luoghi, epoche, personalità, lemmi. Da una classe liceale del 2001, con nove banchi e otto studenti (i giovanissimi Iohanna Benvegna, Marco Ciccullo, Matteo D’Amore, Piero Ramella, Francesca Scapinello, Margherita Sartor, Massimo Simonetto, Mariagioia Ubaldi), si corre all’indietro, tra il pensiero di Gurdjieff, le valutazioni poetiche di Nooteboom, fino alla morte di Socrate del Fedone platonico.

Al centro, l’educazione: linfa conoscitiva dei cittadini futuri che dovrebbe essere trasmessa dagli insegnati con la condivisione, il dialogo, il rapporto (affettivo, formativo, filiale) maestro-allievo, e che qui spalanca la coscienza – anche nostra – di un prof. Marescalchi che, messo alle strette dal programma ministeriale, si fa voce consapevole e allucinata di una Pubblica Istruzione sinonimo di conformismo meccanico e spersonalizzato di schemi, didattica e tempi da prolungare: meglio rinviare l’ingresso nel mondo (mediocre e disoccupato) ai nuovi prossimi vecchi e mai adulti.

C’è da fare i conti con immagini struggenti, come quella della rallentata caduta degli studenti composti nei loro banchi in un lento strappo dalla vita; con voci evocatrici di un concentrato del XX sec. di genocidi (dall’olocausto al Ruanda, dall’Armenia alla Jugoslavia), per un orrore di recente passato che invade il presente; con filosofici dialoghi sul significato di corpo e anima, di bene e di umanità, nell’antico (con costumi di Derai e Serena Bussolaro) vis à vis (in video), un po’ dilungato, tra Socrate non ancora morente e Alcibiade. E c’è da fare i conti con una gioventù svuotata, con automi che disumani gettano libri in cataste, li infradiciano per strizzarli, e marciano assenti sul posto nelle loro divise (come i “cloni/kids” dei Pink Floyd).

Anagoor c’immerge in uno spaccato scenico fatto di dicotomie tra colpa e innocenza, giusto e ingiusto, proiettili e scuola. E la carneficina (invisibile) di quel figlio che conficca munizioni (con particolari patologo-balistici) in crani e addomi di (ir)responsabili genitori/docenti attoniti, inermi, diventa azione singolare resa folle e apparentemente inspiegabile perché nata dalla normalità, dalla quotidianità, da un tempo e un luogo socialmente e regolarmente connessi alla protezione, alla crescita, all’unione: non si spara in aula, non si uccide a scuola: non è terreno di guerra. E la tragedia odierna sta forse qui: siamo fuori tempo e fuori luogo, capaci di giornalieri eventi di morte, e capaci di abituarci rendendoli follemente normali.

SOCRATE IL SOPRAVVISSUTO

come le foglie

Anagoor

di Simone Derai e Patrizia Vercesi
regia Simone Derai

dal romanzo Il Sopravvissuto di Antonio Scurati
con innesti liberamente ispirati a Platone e a Cees Nooteboom

con Marco Menegoni, Iohanna Benvegna, Marco Ciccullo, Matteo D’Amore, Piero Ramella, Francesca Scapinello, Margherita Sartor, Massimo Simonetto, Mariagioia Ubaldi

maschere Silvia Bragagnolo e Simone Derai
costumi Serena Bussolaro e Simone Derai
musiche e sound design Mauro Martinuz

video Simone Derai e Giulio Favotto

con Domenico Santonicola (Socrate), Piero Ramella (Alcibiade), Francesco Berton, Marco Ciccullo, Saikou Fofana, Giovanni Genovese, Elvis Ljede, Jacopo Molinari, Piermaria Muraro, Massimo Simonetto
riprese aeree Tommy Ilai e Camilla Marcon
concept ed editing Simone Derai e Giulio Favotto
direzione della fotografia e post produzione Giulio Favotto / Otium

produzione Anagoor

co-produzione Festival delle Colline Torinesi, Centrale Fies
progetto realizzato con il sostegno del bando ORA! Linguaggio contemporanei produzioni innovative della Compagina di san Paolo

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