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Il Teatro Valle dimenticato e la cultura del manganello

Il problema di Roma? Non la devastazione urbana, la mafia capitale, l'incapacità di dare accoglienza ai rifugiati, la corruzione: è il Valle Occupato. [Antonio Cipriani]

Il Teatro Valle dimenticato e la cultura del manganello
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13 Giugno 2016 - 13.03


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di Antonio Cipriani

Ingenuotti che non siete altro. Voi pensate che il problema di Roma sia rappresentato dalla deriva incivile, dalla xenofobia, da mafia capitale, dalla corruzione? O forse pensate che siccome è l’unica capitale non in grado di organizzare servizi umani di accoglienza, un po’ risieda nell’incapacità di chi amministra, commissari compresi? Ma no. Era e continua ad essere il Teatro Valle Occupato. Fosse anche occupato per qualche ora. Meglio fatto a pezzi, abbattuto, distrutto dall’incuria, chiuso a doppia mandata e negato alla collettività. Ecco: nell’attesa che il gioiello teatrale e architettonico si trasformi in un supermercato o in una sala giochi della Snai, parliamo della immagine brutta che ci è stata regalata ieri dai poliziotti in tenuta antisommossa che con protervia hanno sgomberato di nuovo il Teatro Valle, simbolicamente riaperto dai cittadini per qualche ora, dopo quasi due anni di chiusura totale e di bugie narrate con altrettanta protervia dalla politica e declinate fedelmente dai media.
Roma, ieri ha visto questi caschi blu in azione contro attori, musicisti, scrittori, cittadini che chiedevano conto di un volgarissimo e scellerato atto di dimenticanza e devastazione culturale: un teatro lasciato chiuso, simbolo della Roma massacrata dal malgoverno e dagli interessi di pochi contro il vantaggio di tutti. I cittadini hanno posto una domanda politica e come risposta sono volate le manganellate e le minacce. In nome di che cosa? Del decoro? Della legalità? Di quella rozza e ottusa visione che vuole la chiusura di ogni luogo vivo, di aggregazione, di cultura non passiva? Evidentemente nelle strade di Mafia capitale e delle declinazioni spettacolari letterarie e cinematografiche, non si deve muovere foglia che il prefetto non voglia. La partecipazione dei cittadini, la voglia di riappropriarsi di un bene comune, devono essere massacrate sul nascere con una brutalità didattica. Come dire: la cultura deve essere chiusa, i cittadini devono restare davanti alla tv ad abbeverarsi dello sciocchezzaio dell’arena mediatica.

Un poliziotto ha urlato: è illegale questa occupazione. Giusto, è illegale. Invece è legale tutto il resto. Sono legali: la malavita che domina ogni angolo della Capitale, la corruzione, la politica degli interessi privati e degli affari delle lobby, il razzismo xenofobo e fascista che imperversa. Quello che potrebbe essere un futuro assessore alla Cultura, Tomaso Montanari, ha scritto: “Ad agosto saranno due anni che il Teatro Valle è chiuso. Nell’agosto 2014, infatti, Matteo Renzi, Dario Franceschini e Ignazio Marino fecero intervenire la forza pubblica per mettere fine al più importante esperimento di autogestione teatrale nell’Italia contemporanea. Dopo tre anni di premi europei, di partecipazione dal basso, di entusiasmo popolare come in un teatro non si era mai visto, arrivò la burocratica, autoritaria decisione di chiudere perché i restauri erano urgentissimi e improcrastinabili. Ma in questi lunghi, ventidue mesi nessun lavoro è iniziato. Anzi, l’Osservatorio per i Restauri del Valle (un organismo autocostituitosi e formato da Paolo Berdini, Massimo Bray, Paolo Maddalena, Maria Rosaria Marella, Ugo Mattei, Gaia Pallottino e dal sottoscritto) non è mai riuscito ad avere una risposta ufficiale sull’andamento di questi fantasmatici lavori di restauro: dei quali non si conosce, ad oggi, nemmeno il progetto. Insomma, si è fatto un deserto e lo si è chiamato legalità”.

Speriamo che la prossima amministrazione riponga i manganelli e avvii un piano serio di riflessione sulla cultura e sugli spazi sociali. Tanto per chiarire la linea tenuta in questi anni, vorrei citare il pezzo scritto a un anno dallo sgombero del Valle, su Globalist.

Ve la ricordate la furia dei legalitari? A Roma, estate 2014, l’unico problema era rappresentato dal Valle Occupato. Mafia Capitale ancora non scoppiava, quindi gli affari e affarucoli tra politica e intrallazzatori, mafiosi e fascisti, erano all’apice. La politica piegata, attraverso potenti forze corruttive, al volere di pochi ricconi ignoranti e senza alcun senso civico. In un sistema in cui non è la politica che decide le strategie, ma chi investe sulla politica e poi batte cassa. Con l’onda mediatica favorevole dei soliti noti. Fanfaroni in doppiopetto, clamorose seghe umane e professionali assurte al ruolo di commentatori e mediatori tra una realtà fasulla e il pubblico sempre più acritico boccalone. Insomma la Roma capitale di un Paese che conosciamo purtroppo bene. Di salotti e salottini, di cene in cui si decidono le sorti di questo o quello, o si pianificano speculazioni, cementificazioni, impoverimento del bene comune a favore dell’arricchimento privato vuoto e misero.

All’apice di questa schifezza hanno deciso di togliere di mezzo il vero problema di Roma: il Valle Occupato. A Palermo il traffico, a Roma il Valle. Una decisione rozza, miope, che ha tolto alla città un luogo di incontro e cultura, restituendo al buio culturale sale vuote e spettrali. E per caso qualcuno dei tromboni che aveva fatto discorsi di legalità è intervenuto? Adesso, dopo Mafia Capitale è l’evidenza che chiama. Un’evidenza che dovrebbe chiamare anche all’azione. Per restituire al senso della comunità quello delle parole che la dovrebbero innervare: legalità, democrazia, etica, giustizia.
Parole che nel tempo sono diventate ridicole parvenze. Legalità mi fa pensare al benpensante ottuso che parlava di decoro per il Valle e oggi lo posiziona sull’aiuola dove il migrante cerca di dormire. Mediaticamente imboccato non vede il sistema marcio, non coglie il paradosso. Pensa che siano i migranti la causa di tutto e non i ladri di futuro che sono a cavallo tra istituzioni e finanza. Che gestiscono i beni pubblici come fossero il giardinetto del loro condominio e costringono gli idioti a blaterare razzismo e decoro, degrado e fascismo.

Che cosa ci insegna la storia del Teatro Valle Occupato? Che il concetto di legalità non è assoluto. Che il conformismo – come l’obbedienza – non è una virtù, e che questa democrazia asimmetrica, che garantisce i valori del neoliberismo, non deve rappresentare un dogma al quale legare a doppio nodo un principio svuotato della sua essenza come quello attuale della legalità. Il punto è proprio questo: di fronte all’ingiustizia sociale e culturale, di fronte alla deriva della distruzione di ogni bene comune a favore della privatizzazione di spazi e saperi, occorre non adeguarsi e smetterla di assecondare con conformismo scelte politiche figlie delle logiche del mercato.

Credo sia in questo conformismo da assuefazione il problema. Chi vuole il Valle senza occupanti e crede alle verità della televisione sul Tav, è lo stesso che accetta la monnezza o le case a schiera a Villa Adriana, o che vede cementificare ogni luogo del suo paese senza battere ciglio; che si lamenta ma subisce, rispetta la legalità della ricchezza che impone decoro ai poveri e lascia la libertà di fare tutto ciò che vuole a chi ha i quattrini. E quando c’è un’alluvione pensa che la colpa sia delle bombe d’acqua e non dell’ingordigia degli speculatori che non rispettano i territori, la loro storia e vocazione.

Legalità è una parola vuota se non è connessa con giustizia sociale, uguaglianza, rispetto dei diritti di tutti. Altrimenti somiglia a un manganello, da usare come e quando fa comodo.

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