La vita coniugale, quella fissata da anni di presenza condivisa, quella adesa al legame amoroso, quella che, assuefatta da se stessa, matura tra attriti e inerzie d’abitudinarie quotidianità diventando tanto indissolubile quanto inevitabile, è la protagonista di questa meditazione teatrale che è la “Danza di morte” (o “Danza macabra”) di August Strindberg: celebre testo – molto dark – scritto dall’autore svedese nel 1900 (con ispirazioni anche autobiografiche) quale sulfureo, tormentato, straniante ritratto della logorante e duratura infelicità sponsale.
Quella firmata da Luca Ronconi, versione con debutto a Spoleto 57, per coproduzione col Metastasio e lo Stabile della Toscana, e ora al Quirino di Roma fino al 22 maggio, basata sulla traduzione e riduzione di Roberto Alonge, è un concentrato estetico di visionarietà gotica, di analitica e linguistica commistione grottesca e drammatica tra consuetudine del campare e propensione all’assurdo beckettiano, al (non)senso dello stare al mondo, alla cosciente (auto)paralisi umana nel tedio vitale e relazionale, in complice attesa di mortale liberazione. Liberazione da un “piccolo inferno” in mezzo al mare che isola dentro ruvide e sulfuree mura domestiche le due controparti esistenziali da nozze d’argento, nonché fonti di nutrito scambio dialogico di affettuosi (ma non troppo) consolidati battibecchi: il Capitano, instabile “demone raffinato” e (megalomane) ufficiale in congedo, e Alice, ex attrice (nostalgica) condotta dal teatro a pacata vita agiata, tra chaise longue dormeuse e sofà neri e antichi, un soppalco d’ottone con seduta, un telegrafo e un piano a muro, che accusano raffiche di venti esterni con scenografici movimenti di ricollocazione (per opera di Marco Rossi, in cromatica sintonia con le tinte scure dei costumi di Maurizio Galante).
Marito e moglie che Ronconi associa all’instancabile coppia (sulla scena e nella realtà) Giorgio Ferrara (attento dosatore d’ironia tra ghigni, atteggiamenti e modulazioni vocali) e Adriana Asti (alla quale si deve la disinvoltura di una sarcastica e diabolica aspirante vedova): a loro affida il compito di essere risonanza interpretativa di un sorprendente, erosivo e perverso umorismo che pervade in profondità il testo intero, ben al di là di superficiali luoghi comuni intorno alla rodata unione matrimoniale.
E Kurt, cugino di lei, ivi giunto causa incarico pubblico, è sussulto d’animo lenitivo del disagio nuziale; è il terzo incomodo presto coinvolto e conteso in un ménage asimmetrico tra virali ed egoistici impulsi predatori sado-vampireschi, ai quali lui, per merito recitativo di Giovanni Crippa, resiste fragile, ossequioso e cortese, posato e progressivamente sconvolto da un moto (anche a carponi) di un’inquietudine imbarazzante e viziosa verso il quale egli, compassionevole, resta corpo estraneo trattenuto e poi rigettato. Ma non prima d’averne succhiato via un po’ di vita: ché, da queste parti, occasioni d’essere umani capitano raramente.
Teatro Quirino Vittorio Gassman, via delle Vergini 7, info 06 6794585, biglietteria@teatroquirino.it
DANZA MACABRA
di August Strindberg
traduzione e adattamento Roberto Alonge
regia Luca Ronconi
con Adriana Asti, Giorgio Ferrara, Giovanni Crippa
scenografia Marco Rossi
costumi Maurizio Galante
luci A. J. Weissbard
suono Hubert Westkemper
produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana / Spoleto57 Festival dei 2Mondi
in collaborazione con Mittelfest 2014