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Teatro Valle Occupato, un anno dopo: la legalità ai tempi di Mafia Capitale

Vi ricordate quando sgomberarono il Valle? Media e politica convinti che il problema di Roma fosse quello. Non Mafia Capitale e la legalità di facciata. [Antonio Cipriani]

Teatro Valle Occupato, un anno dopo: la legalità ai tempi di Mafia Capitale
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13 Agosto 2015 - 17.01


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di Antonio Cipriani

Teatro Valle Occupato, un anno dopo lo sgombero. Ora finalmente restaurato, restituito alla città, è diventato un luogo di cultura e di incontro…

Se non fosse tragico ci sarebbe da ridere. A Roma direbbero “maddeché”. Infatti un anno dopo, quel luogo di incontro bello, di cultura, di idee, riaperto alla città, è chiuso. Sottratto ai cittadini, imboscato. Zero restauri progettati, anzi non si sa neanche se esiste un progetto. E comunque è evidente che non c’era tutta questa fretta. Che lo sgombero si basava su altri interessi. Quali?

Ve la ricordate la furia dei legalitari? A Roma, estate 2014, l’unico problema era rappresentato dal Valle Occupato. Mafia Capitale ancora non scoppiava, quindi gli affari e affarucoli tra politica e intrallazzatori, mafiosi e fascisti, erano all’apice. La politica piegata, attraverso potenti forze corruttive, al volere di pochi ricconi ignoranti e senza alcun senso civico. In un sistema in cui non è la politica che decide le strategie, ma chi investe sulla politica e poi batte cassa. Con l’onda mediatica favorevole dei soliti noti. Fanfaroni in doppiopetto, clamorose seghe umane e professionali assurte al ruolo di commentatori e mediatori tra una realtà fasulla e il pubblico sempre più acritico boccalone. Insomma la Roma capitale di un Paese che conosciamo purtroppo bene. Di salotti e salottini, di cene in cui si decidono le sorti di questo o quello, o si pianificano speculazioni, cementificazioni, impoverimento del bene comune a favore dell’arricchimento privato vuoto e misero.

All’apice di questa schifezza hanno deciso di togliere di mezzo il vero problema di Roma: il Valle Occupato. A Palermo il traffico, a Roma il Valle. Una decisione rozza, miope, che ha tolto alla città un luogo di incontro e cultura, restituendo al buio culturale sale vuote e spettrali. E per caso qualcuno dei tromboni che aveva fatto discorsi di legalità è intervenuto? Adesso, dopo Mafia Capitale è l’evidenza che chiama. Un’evidenza che dovrebbe chiamare anche all’azione. Per restituire al senso della comunità quello delle parole che la dovrebbero innervare: legalità, democrazia, etica, giustizia.

Parole che nel tempo sono diventate ridicole parvenze. Legalità mi fa pensare al benpensante ottuso che parlava di decoro per il Valle e oggi lo posiziona sull’aiuola dove il migrante cerca di dormire. Mediaticamente imboccato non vede il sistema marcio, non coglie il paradosso. Pensa che siano i migranti la causa di tutto e non i ladri di futuro che sono a cavallo tra istituzioni e finanza. Che gestiscono i beni pubblici come fossero il giardinetto del loro condominio e costringono gli idioti a blaterare razzismo e decoro, degrado e fascismo.

Un anno fa, a caldo, avevo scritto su Globalist la storia dello sgombero del Teatro Valle Occupato. E avevo affrontato il problema della legalità finta se non è collegata al concetto di giustizia sociale. Ecco il pezzo per chi vorrà leggerlo.

i>Che cosa ci insegna la storia del Teatro Valle Occupato? Che il concetto di legalità non è assoluto. Che il conformismo – come l’obbedienza – non è una virtù, e che questa democrazia asimmetrica, che garantisce i valori del neoliberismo, non deve rappresentare un dogma al quale legare a doppio nodo un principio svuotato della sua essenza come quello attuale della legalità. Il punto è proprio questo: di fronte all’ingiustizia sociale e culturale, di fronte alla deriva della distruzione di ogni bene comune a favore della privatizzazione di spazi e saperi, occorre non adeguarsi e smetterla di assecondare con conformismo scelte politiche figlie delle logiche del mercato.

Scrivo queste poche righe, sorpreso per il fatto che un’esperienza così importante e interessante, fuori dagli schemi, sia relegata a livello di un vago senso formale di legalità. Ossia, che anche chi dovrebbe ringraziare questi ragazzi per aver salvato un teatro del genere, per averlo aperto alla città, averlo reso luogo di confronto, per averlo difeso dalla barbarie della speculazione, li attacca. O ignora cause e percorsi e ragiona sul fatto che politica e leggi devono essere rispettate ecc. ecc. .

Rispettate al Valle, ma non in Campania dove vengono tolti i presidi istituzionali dai territori ad alta penetrazione mafiosa. Non quando i teatri, i cinema, i luoghi di incontro pubblici, giorno dopo giorno, vengono sottratti ai cittadini e privatizzati. Come se, anche a sinistra, fosse meglio fare due passi in un supermercato realizzato dove c’era un teatro, o in un grattacielo dove era un parco, piuttosto che impegnarsi per evitare queste forme di degrado sociale e culturale.

Credo sia in questo conformismo da assuefazione il problema. Chi vuole il Valle senza occupanti e crede alle verità della televisione sul Tav, è lo stesso che accetta la monnezza o le case a schiera a Villa Adriana, o che vede cementificare ogni luogo del suo paese senza battere ciglio; che si lamenta ma subisce, rispetta la legalità della ricchezza che impone decoro ai poveri e lascia la libertà di fare tutto ciò che vuole a chi ha i quattrini. E quando c’è un’alluvione pensa che la colpa sia delle bombe d’acqua e non dell’ingordigia degli speculatori che non rispettano i territori, la loro storia e vocazione.

Legalità è una parola vuota se non è connessa con giustizia sociale, uguaglianza, rispetto dei diritti di tutti. Altrimenti somiglia a un manganello, da usare come e quando fa comodo. Io, per esempio, preferisco l’illegalità di chi ha riaperto la buca del Teatro Valle, luogo meraviglioso per la lirica, e risistemato i camerini di Eduardo usati fino a tre anni fa come deposito, alla legalità di chi con la potenza economica delle multinazionali e l’appoggio delle istituzioni intendeva passarci sopra con la ruspa. Preferisco i No Tav che portano conoscenza del territorio e illegalità sana, ai soldi delle mafie investiti anche per le grandi opere inutili, che arricchiscono pochi, finanziano campagne elettorali, inquinano quindi le scelte democratiche.

Per me questa democrazia rappresentativa non può bastare. Fallisce nel momento stesso in cui si è incanalata in un unico sistema di valori declinato verso destra o verso sinistra, ma fortemente intrecciato agli interessi del capitale, in una narrazione del Paese, da parte dei media, accondiscendente. Occorre fare altro, per lo meno non spegnere lo spirito critico, restare vigili, partecipare e difendere i diritti di chi non ha voce e non ha potere né rappresentanza. Di chi è chiamato a votare una volta e a obbedire in silenzio tra un voto e l’altro. Di chi è bombardato da una pioggia d’informazioni che disegnano i contorni delle vicende con una precisione chirurgica, in uno stato d’emergenza come regola.

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