Miraggi Migranti: a teatro la grande illusione dell'epoca | Giornale dello Spettacolo
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Miraggi Migranti: a teatro la grande illusione dell'epoca

Dal sogno di un'artista etiope, Alem Teklu, il lavoro di quattro donne per affrontare il tema della migrazione.

Miraggi Migranti: a teatro la grande illusione dell'epoca
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18 Giugno 2015 - 19.01


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Il fenomeno migratorio che si sta osservando in questi anni può senza dubbio definirsi la questione morale del nostro tempo e ciò per più di un motivo. La migrazione attuale ha ben poco a che vedere con quelle che si osservarono fino all’immediato dopoguerra, perché diverse sono le cause. Se pensiamo ad esempio alla storia della migrazione italiana verso il Nord Europa e gli Stati Uniti troviamo alla base grande povertà e desiderio di migliorare la propria vita. Lo stesso sentimento muove spesso anche le migrazioni oggi ma diverso è il contesto: con la fine della Guerra Fredda le frontiere si sono aperte sì, ma ai capitali finanziari e al commercio, molto meno alle persone. In questo modo, l’economia, un tempo affare di Stato anche nei Paesi non socialisti, è diventata un gioco speculativo per grandi interessi internazionali. E’ oggi possibile investire ovunque sfruttando senza alcuna regola le risorse naturali, energetiche e lavorative di quel luogo. Il risultato è la depredazione illimitata di gran parte del globo, senza tener conto delle conseguenze sulle persone che in molti casi non avranno più accesso all’acqua né alla terra perché, non solo sottratta da investitori stranieri che in alcun modo ne ripartiranno i benefici con le popolazioni locali, ma impoverita dalle monocolture verrà in seguito abbandonata perché ormai incoltivabile e contaminata. L’apertura delle frontiere ha rotto gli equilibri geo-politici rendendo il mondo più instabile, i conflitti macro-regionali non hanno fatto che aumentare a dismisura. Alla base è un’errata idea di progresso, che ci riguarda tutti: ancora convinto di poter assistere ad uno sviluppo infinito in un mondo finito, l’azione dell’uomo non fa che lavorare alla progressiva distruzione dell’ambiente in cui vive. Se il maggiore responsabile di questo stato di cose è il cosiddetto primo mondo, nessuno sforzo viene profuso per informare le popolazioni dell’impossibilità di raggiungere il medesimo grado di benessere. Quel benessere che, già goduto dal 20% della popolazione mondiale risulta comunque insostenibile per mantenere un equilibrio da tempo perduto. È così che si costruiscono miraggi atti a coltivare la grande illusione planetaria. Il mondo sembra ignorare gli appelli alla consapevolezza ecologica, abbandonando la Terra a una deriva disintegratrice, fino al punto di non ritorno.

Lo spettacolo

Questo spettacolo vuole portare in scena la grande illusione. Mentre al Nord si accusano i migranti di destabilizzare una società altrimenti perfetta, al Sud si vive nella convinzione che basterebbe varcare il limite di quella frontiera per trovare una sorta di paradiso. L’errore sta da entrambe le parti: se il primo mondo si ostina ad ignorare le reali cause dei suoi problemi, dall’altra parte si è incapaci di comprendere, complici soprattutto i media e la propaganda, che abbandonare il proprio Paese rischiando la vita non porta quei benefici agognati ma, al contrario, positivo sarebbe non smettere di presidiare territori che oggi più che mai necessitano dell’attenzione consapevole della popolazione autoctona.

Da dove siamo partite

Abbiamo cominciato con l’interrogarci a proposito del desiderio di partire che tutti ci portiamo dentro, nella speranza che un altrove possa essere meglio del proprio luogo d’origine.
Dal sogno di lasciare la propria terra, dal viaggio più o meno avventuroso o terribile e poi da quello che si trova. Che in genere non corrisponde ai nostri desideri iniziali, ma è comunque qualcosa, e spesso è tutto ciò che abbiamo.
E questo è ancora più vero se per partire abbiamo dovuto lasciare tutta la nostra vita, abbiamo accumulato debiti, abbiamo creato lacerazioni e speranze.
E questo vale sia nel caso (più raro) in cui nel lungo viaggio abbiamo affrontato pericoli e ci siamo trovati faccia a faccia con la morte, sia nel caso (più frequente di quanto si pensi) in cui siamo arrivati con un permesso di soggiorno temporaneo e poi ci siamo nascosti per mesi lavorando in nero.
Se riusciamo ad ottenere un permesso di soggiorno allora questo luogo sarà comunque per noi l’eldorado, anche se si tratta di vivere per anni in sette in una stanza. E ci diremo che magari all’inizio non è facile, ma che poi andrà sicuramente meglio. E saremo ansiosi di telefonare ai nostri cari per dire loro che tutti gli sforzi che hanno fatto per sostenerci economicamente e psicologicamente adesso sono stati premiati.
E quando, dopo anni di duro lavoro, saremo riusciti a mettere via un po’ di soldi allora sì che torneremo a casa, magari vestiti da gran signori.
E sarà una bella festa, in cui faremo regali a tutti e in cui racconteremo che il viaggio è stato duro ma in fondo si può fare, e noi ne siamo la prova vivente, basta avere perseveranza e un po’ di fortuna…e comunque ne vale la pena, visto che si guadagna abbastanza denaro da avere tutto questo ben di dio….

E così forse il cugino più in gamba di tutti o il fratello che tanto a casa non ha lavoro e dunque niente da perdere penserà che cosa ci sto a fare io qui, se ce l’ha fatta lui allora io che sono più in gamba vedrai che cosa riesco a fare ….e così il giro di giostra ricomincerà.

La sfida è dunque quella di uno spettacolo che racconti al pubblico del nord “perché non se ne stanno a casa propria” e al pubblico del sud “che partire è solo inseguire un miraggio”.
Lavoriamo intorno al trucco dell’autonarrazione dell’emigrante, che pur di non ammettere lo smacco, si finge ricco e felice, contribuendo così, insieme alla disinformazione televisiva, ad innescare un inarrestabile meccanismo di ripetizione…

Alcune precisazioni:

Sappiamo che solo una esigua minoranza di migranti arriva in Europa attraversando il deserto e sfidando il mare: la maggior parte entra con regolari permessi di soggiorno temporanei e poi rimane, foraggiando il mercato nero delle badanti e dei lavori pesanti. L’idea “dell’invasione dal mare” è colpevolmente sostenuta da chi ha interesse nell’alimentare un clima di costante emergenza che permette scelte politiche del tutto discutibili e costruite sulla paura, come quella che legittima lo sperpero di immense risorse economiche per “proteggere” inutilmente le frontiere.
Per questo abbiamo molto riflettuto sulla narrazione da portare in scena: con il nostro lavoro non vorremmo contribuire alla disinformazione che alimenta immagini false e volutamente allarmistiche del fenomeno migratorio ma semplicemente raccontare la storia di un viaggio.

Oltre a ciò la questione migratoria ha anche un risvolto sociologico che si riverbera sia a sud che a nord del mondo che nel nostro percorso drammaturgico sfioriamo ma che ci interessa sottolineare. Se da parte sua, come già detto, il migrante tende a fornire una narrazione ingannevole una volta tornato a casa, parallelamente spesso non viene più riconosciuto di chi è rimasto. È la “doppia assenza” di cui parla efficacemente Abdelmalek Sayad: l’emigrato è al contempo assente sia dalla società d’origine che da quella presso cui risiede; escluso dall’ordine politico e sociale di entrambi i luoghi che ha abitato e che abita, come fosse straniero presso il mondo intero. La società d’origine può infatti accusare l’emigrato di “rinnegamento”, lasciando nell’individuo un senso di colpa inestinguibile. L’immigrato è una “persona fuori luogo”, un soggetto privo di un proprio spazio all’interno della società di destinazione. Egli non è né cittadino né straniero, votato all’eterna contraddizione e alla non-appartenenza.

Infine, in nessun caso questo spettacolo vuole sminuire o ignorare i terribili conflitti che molte volte spingono i popoli a fuggire dalla morte e dalla violenza, o ancora dalla fame; le sue autrici sono assolutamente convinte che applicare le norme riguardanti il diritto d’asilo e la protezione internazionale sia prioritario e necessario. Per questo esprimiamo la nostra solidarietà a tutti i migranti che approdano sulle coste italiane, questo spettacolo è stato pensato anche per loro.

Il progetto:

Il progetto nasce dal sogno di Alem Teklu, scultrice di origine etiope, di far conoscere e valorizzare diverse forme artistiche in Etiopia in primis e in tutta l’Africa poi.
Da qui la ricerca di interazione tra arte figurativa, performativa e musicale: oltre al Alem l’organico è composto, da Soledad Nicolazzi, attrice e regista che da anni si occupa di teatro civile e sociale; Alessandra D’Aietti, musicista, co-ideatrice di molti spettacoli della compagnia; e con la collaborazione di Barbara Monaco giornalista, videomaker e volontaria in ambiti di accoglienza e prima alfabetizzazione per i migranti.

Il progetto vede diverse fasi:

Nella prima parte del lavoro, settembre 2014 – giugno 2015 abbiamo lavorato alla messa in scena di uno studio che ha la durata di 40 minuti, che verrà presentato al festival “Il giardino delle esperidi”, al festival di “Mama Africa”, e in occasione dello sbarco del progetto meeteng the Odyssey a Lampedusa.

Nella seconda parte dell’anno prevediamo una ripresa del lavoro teatrale per arrivare ad una messa in scena di durata di un’ora. Siamo attualmente alla ricerca di una struttura o festival che ospiti il debutto dello spettacolo in Italia.

Il debutto ad Addis Abeba, previsto per il 18 dicembre 2015, giornata internazionale del Migrante sarà la prima tappa di un tour che ci porterà nei villaggi.
La grande sfida è arrivare là dove i ragazzi partono pagandosi con sacrificio il biglietto per l’inferno e prendere spunto dallo spettacolo per parlare insieme della storia del “grande miraggio”.
Tutta l’esperienza sarà filmata e documentata, con l’obiettivo di portare in Italia, nella primavera 2016, sia lo spettacolo sia il filmato, e coinvolgere, allo stesso modo il pubblico e i ragazzi delle scuole superiori.

Il linguaggio:

Il lavoro vede dunque l’incontro tra teatro, arte figurativa e musica ed è in continuità con la ricerca artistica che da anni Stradevarie porta avanti, attraversando trasversalmente diversi generi, dal teatro civile fino al teatro per l’infanzia.

Nello specifico di questo percorso, abbiamo scelto di utilizzare un linguaggio visivo e sonoro, con l’obiettivo di fare uno spettacolo che sia comprensibile da tutti: da chi si trova nella parte dell’emigrante, a chi si trova nei modi più diversi ad accogliere persone che provengono da paesi così lontani e a chi invece resta a casa.
Avremmo potuto raccontare a parole la storia di Alem, o di tante e tanti che abbiamo incontrato in questi anni di lavoro con migranti. Ma ci è sembrato importante cercare una modalità comunicativa universale: un linguaggio semplice, se possibile, ironico. Perché pensiamo che la vita, anche nei momenti più tragici, abbia risvolti comici, che l’autoironia sia l’arma più efficace per affrontare le difficoltà e combattere i luoghi comuni. E perché il registro ironico, antinaturalistico, ci sembra straordinariamente comunicativo. Per questo i personaggi sono irreali, fumettistici.
Il lavoro è artigianale, in tutti i suoi aspetti: nella costruzione e creazione come nell’atto performativo, perché ci interessa giocare insieme allo spettatore, svelarne i trucchi.

Durante lo spettacolo i pupazzi prendono vita dalle mani delle attrici e dalla musica in scena. Lo sfondo di carta nera viene progressivamente dipinto e al termine del lavoro prende la forma di una grande barca, carica di migranti.

I Tempi:

1 fase – ottobre 2014: raccolta di storie di migranti ed elaborazione dell’idea

2 fase – novembre 2014: costruzione dei primi personaggi, di una prima scena e creazione di un linguaggio figurativo e teatrale

3 fase – gennaio/febbraio 2015: composizione della musica e messa in relazione con le scene create.

4 fase – marzo: prove aperte con un pubblico misto di migranti e non.

5 fase – maggio/giugno: messa a punto del lavoro tenendo conto del feedback ricevuto.

6 fase – 21 giugno: apertura al pubblico con uno studio sullo spettacolo al Festival delle Esperidi – Monte Brianza

7 fase – 21 – 25 Luglio: Lampedusa, incontro con il progetto Meeting the Odyssey di Scarlattine teatro, in collaborazione con Arci nazionale.

26 – 31 luglio: Lunigiana – Mama Africa: replica dello studio in collaborazione con Arci Toscana e laboratorio residente con rifugiati.

8 fase – autunno: debutto nazionale dello spettacolo all’interno di una struttura interessata o festival interessati a sostenere il progetto1v
10 fase – dicembre: debutto internazionale dello spettacolo in Etiopia in occasione della “Giornata del migrante” ed eventuali laboratori concordati con le strutture ospitanti. Realizzazione di un filmato di documentazione dell’esperienza.

11 fase – gennaio 2016: repliche in occasione della mostra di Alem in Etiopia.

12 fase- febbraio 2016: montaggio del filmato.

COMPAGNIA STRADEVARIE

E’ una compagnia teatrale indipendente nata nel ’99 che nel 2014 si è unita a Scarlattine Teatro, Albero Blu, Riserva Canini e Piccola Compagnia Dammacco in Campsirago Residenza teatrale (LC).
La produzione si rivolge sia ad un pubblico adulto che all’infanzia e comprende monologhi, teatro civile, di narrazione e di figura.
Gli spettacoli, che possono essere rappresentati anche in spazi non convenzionali, sono il punto d’approdo di un percorso di ricerca, una riscrittura del presente con le sue storie fragili, ironiche e surreali.
Dal 2010 al 2013 ha organizzato, in collaborazione con il Comune di Carrara (MS), “Il gioco dell’arte” festival di Arte e Teatro per bambini in contemporanea con la Biennale di Scultura.
A giugno 2014 presso Il festival Giardino delle Esperidi Festival debutta con “Bandite”, un viaggio nel femminile che attraversa storie contemporanee: Tunisian girls, Pussy Riot e tante altre che da più parti del mondo hanno la forza di infrangere il silenzio.

Premi e riconoscimenti:

“Carta canta”, spettacolo rivolto alla prima infanzia è stato realizzato con il supporto del progetto Small size, big citizens – Widening of the european Network for the diffusion of the -performing arts for early years.
Lo spettacolo “E io non scenderò più”, liberamente tratto dal “Barone rampante” di Calvino è stato presentato in forma di studio alla “Città del teatro di Cascina”, nella tappa di selezione-premio scenario infanzia 2008.
Il progetto “A piazza delle Erbe!7 Luglio 44 la rivolta delle donne” sulla resistenza delle donne di Carrara, cominciato con un laboratorio finanziato dall’unione europea nel 2001 ha avuto la menzione speciale Premio Ustica per il teatro 2007;

Lo spettacolo “Ciclonica, monologo per donna in bicicletta” liberamente ispirato al Don Chisciotte di Cervantes, spettacolo di ecologia urbana, ha vinto il premio Anna Pancirolli 2003 (MI)

La compagnia ha anche un percorso di pedagogia teatrale e organizza corsi, seminari, formazione. Di particolare importanza in questi anni sono state: la collaborazione con l’Organizzazione Internazionale della Migrazione (IOM), in un progetto di formazione teatrale presso l’Università di pedagogia di Pristina (Kosovo); i corsi presso la Falcoltà di Scienze della Formazione dell’Università Bicocca di Milano; i laboratori con il circolo Gianni Bosio di Roma; la collaborazione con l’ETI all’interno del progetto “CTE-lo spettacolo dal vivo come esperienza educativa”; le letture organizzate dalle biblioteche nel progetto “Nati per leggere”.

L’organico di questo spettacolo:

Tutte le componenti del gruppo lavorano da anni attorno al tema dei migranti:
Il lavoro di Alem Teklu è indissolubilmente legato alla sua biografia:
Da piccola le sarebbe piaciuto molto dipingere ma nel suo villaggio per una bambina questo non era previsto. Da giovanissima, inseguendo un sogno di facile ricchezza parte, come molte sue coetanee etiopi per il Bahrain; ingannata passa tre anni come serva, reclusa in una famiglia. Riesce miracolosamente a tornare illesa e con incredibile forza d’animo si iscrive all’Accademia di Belle Arti. La sua tesi di laurea è un fotoromanzo che cerca di spiegare alle ragazze perché non partire che viene pubblicato da IOM e USAID. Ancora di migrazione si occupa per la tesi conclusiva della sua laurea specialistica presso la Facoltà di scultura dell’Accademia di Carrara, affrontando il tema dei tragici sbarchi sulle coste italiane.

Soledad Nicolazzi regista e attrice si laurea con una tesi su Ravenna Teatro e sull’importanza del teatro come mediazione interculturale; lavora per anni in ambito del teatro civile e nel corso del 2013-14 conduce un laboratorio all’interno del centro per rifugiati politici nel progetto “Fiera Medea” del Teatro degli Incontri, diretto da Gigi Gherzi.

Barbara Monaco si laurea alla Facoltà di Filosofia, si occupa da molti anni delle problematiche legate alla questione palestinese, prendendo parte alle attività svolte da più associazioni, nel 2011 fonda l’associazione Arci “In Ogni Luogo – Fikullimakan”, creata per avviare progetti di cooperazione con la provincia marocchina di El Khelaa des Sraghna, dalla quale proviene la maggior parte della popolazione migrante della provincia di Massa-Carrara in cui lei stessa risiede. Lavora come giornalista televisiva e filmaker presso televisioni nella provincia di Massa-Carrara. Attualmente collabora quotidianamente con Arci nel progetto di accoglienza dei richiedenti asilo.

Alessandra D’Aietti musicista e insegnante di filosofia conduce laboratori di musica per adolescenti e giovani e collabora con Stradevarie alla realizzazione di diversi spettacoli.

SCHEDA TECNICA

Spazio scenico minimo: 5×6 m e 3,5 m di altezza
Dimmer 8 canali, due wind-up complete di staffe, 8 PC 1000W con bandiere o se possibile 7 PC e un sagomatore.
Impianto audio completo con mixer e lettore cd montati sul palco, un microfono panoramico e uno direzionale.

Indicazioni relative ai luoghi che potranno ospitare la produzione:

Lo spettacolo è pensato per poter essere ospitato anche in luoghi non tecnicamente attrezzati, quali scuole, biblioteche, sale, o anche all’aperto. La condizione per cui si possa svolgere lo spettacolo è che il luogo sia protetto. Non è necessario il buio, ma è preferibile una situazione di penombra.

Partners e sostenitori:

Partners principali

1. Per la realizzazione dello studio, che avverrà il 21 giugno 2015 al Festival delle Esperidi la compagnia si avvale del sostegno alla produzione di Campsirago Residenza di 2000 euro;

2. Per gli interventi di luglio al festival Mama Africa e a Lampedusa (studio e laboratori) la compagnia fa richiesta all’Arci nazionale di un sostegno economico pari a 2000 euro.

3. Per il debutto nazionale in Italia la compagnia fa una richiesta al teatro o alla struttura interessata un sostegno economico pari a 2000 euro che verranno utilizzate per l’acquisto di materiale scenografico, le prove dello spettacolo, e i materiale di distribuzione (cartoline e locandine).

4. Per il debutto internazionale in Etiopia, che la compagnia propone per il “Giorno internazionale del migrante”, il tour nei villaggi e la realizzazione del filmato di documentazione la compagnia fa richiesta alle strutture interessate a supportare il progetto di un sostegno economico pari a 4000 euro, che verranno utilizzate per il filmato e per il viaggio Italia-Etiopia per 5 persone (tre attrici, un tecnico, una videomaker).

Nei confronti delle strutture che sostengono il progetto la compagnia si rende inoltre disponibile per laboratori di teatro, arte, musica e video (da valutare nello specifico, sia la durata sia gli utenti) in cambio di ospitalità degli enti organizzatori.

Responsabili del progetto:

Compagnia Stradevarie:

Barbara Monaco 327 1482269 nhuba79@yahoo.it

Soledad Nicolazzi 335 1759183 soledadnicolazzi@gmail.com
[url”Stradevarie”]http://www.stradevarie.org/sv/index.php[/url]

Campsirago residenza teatrale: Scarlattine Progetti – Associazione Culturale

Via Cesare Cantù, 4 – 23889 S. Maria Hoè (Lc)

Telefono e fax 039 9276070

P. IVA 02885940136 C.F. 94023440137

www.scarlattinetatro.it info@scarlattineteatro.it

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