Carmen, un misto di volgarità e rime | Giornale dello Spettacolo
Top

Carmen, un misto di volgarità e rime

Intervista all’attrice Iaia Forte, che dopo il debutto di Torino, esordirà il 18 marzo 2015 a Roma con l’opera originale e spiazzante, ideata da Mario Martone.

Carmen, un misto di volgarità e rime
Preroll

GdS Modifica articolo

17 Marzo 2015 - 14.14


ATF
di Chiara D’Ambros

Dopo il debutto torinese, arriva domani mercoledì 18 marzo anche a Roma la Carmen di Mario Martone, nata da una visione sempre originale, curiosa e spiazzante come solo Martone riesce ad avere sui classici del teatro. Per questa operazione Martone ha coinvolto Enzo Moscato e l’orchestra di piazza Vittorio diretta da Mario Tronco. Una Carmen, quindi, che pur affondando le radici nella propria tradizione viene stravolta, ma per tornare alla sua stessa essenza, in una Napoli in cui bellezza, poesia, e incanto convivono con l’oscurità più assoluta e profonda. L’interpretazione di Carmen, Martone l’ha affidata a colei che ha definito in più occasioni “musa”, donna e attrice capace di stare tra tanti crocevia: Iaia Forte che ha raccontato l’esperienza dell’immersione in questo personaggio in questa intervista.

Com’è la sua Carmen?

Prima di tutto è una riscrittura in napoletano di Enzo Moscato quindi prima di tutto c’è una drammaturgia che prende in considerazione Merimet ma ambientata tutto a Napoli e non fa morire Carmen. Questa è la grande diversità rispetto al libretto originale. In questa versione Carmen viene accecata da Josè e lo spettacolo inizia proprio con una Carmen adulta, cieca, proprietaria di bordello che ricorda quel che fu. Quindi ci sono i vari avvenimenti quello che fu con Josè e poi c’è questa particolarità di avere in scena l’Orchestra di Piazza Vittorio che a sua volta traduce la partitura di Bizet, tenendo conto della musica napoletana della Zarzuela, di etnie musicali diverse, infatti il torero è interpretato da un cantante tunisino. Quindi tutto è ambientato a Napoli ma siccome i musicisti un cubano, un tunisino e uno spagnolo sono anche in scena, si ricrea una società multietnica che è molto contemporanea.

Parlando di situazioni contemporanee Carmen stessa essendo una zingara ci riporta ad un tema molto attuale…

In realtà la nostra non è una zingara la nostra Carmen. Dell’essere zingaro incarna un’assoluta libertà e un’assoluta anarchia, rispetto alle categorie che noi applichiamo alle cose. Carmen qui è totalmente e sceglie i suoi uomini non in maniera sentimentale, non si innamora, li sceglie anche proprio come oggetti sessuali, quindi ha un comportamento che noi definiremo di tipo virile, e rivendica fino alla fine la sua identità la sua libertà, la sua anarchia e questa è una cosa interessante. Ed è interessante che non muoia perché un personaggio così viene fatto morire anche perché è molto inquietante per il maschile. Mette in crisi il maschile. Non morendo c’è proprio una rivendicazione della propria identità che va fino in fondo.

La libertà si esprime solo in questa energia in qualche modo virile?

Beh, in quanto il plot lo chiede si esprime in questa libertà sessuale ma anche attraverso un muoversi nella vita con nessun laccio di tipo borghese nell’attraversamento della propria esistenza.

È interessante la scelta della cecità. Storicamente a partire da Omero, chi è cieco vede cose che gli altri non vedono…

Infatti Moscato fa dire a Carmen: “accecandomi mi è stata donata una vista ben più lungimirante”. Poi Tutta la parte del ricordo presenta una Carmen vedente. Lo spettacolo inizia e finisce con una Carmen cieca ma in realtà ripercorre con uno scorrimento temporale in cui i piani si intersecano sempre, e tutta la storia con Josè viene ripercorsa con lei vedente.

Nell’attraversare questo personaggio, per lei come attrice cosa l’ha toccata più profondamente?

A parte il piacere assoluto che un attore prova nel poter ballare, cantare, relazionarsi con i musicisti, non sono giovane e sono, quindi, grata a Martone di avermi dato un ruolo così che in qualche maniera è un’incarnazione seduttiva, in un’età che non è quella che convenzionalmente è un’età della seduzione. Si può essere seduttivi in forme che non sono legate né alla giovinezza, né a un canone di bellezza convenzionale. La seduzione è qualcosa di più misterioso e di più sottile. Quindi quello è interessante, cioè ripercorrersi guardandosi in una forma diversa. Poi, di questo personaggio mi colpisce questa libertà di cui parlavo prima. Noi siamo molto più… o per lo meno io sono molto più legata a delle convenzioni, mentre l’idea di essere cosi profondamente se stessa fino in fondo, fuori da legami familiari, quello mi sembra una cosa interessante e un motivo di riflessione.

Parlava ora di Mario Martone, una conoscenza di lunga data. Com’è lavorare con un regista come lui per l’ennesima volta, cosa consente di esplorare oltre?

Prima di tutto stimo moltissimo Martone e in queste prove ha avuto una capacità di mettere in relazione gli attori, con i cantanti, con l’orchestra, ha mosso le cose in scena con notevole maestria. Poi, io mi sono formata all’interno di Teatri Uniti, all’interno di un “gruppo” teatrale e io credo che il teatro trovi il suo senso più profondo proprio nei gruppi, perché il teatro è un’arte comunitaria. E siccome come attrice non mi interessa tanto prestare la mia professionalità ad un progetto ma mi interessa, e questa è un’esperienza che ho acquisito a Teatri Uniti, lo scambio e la relazione con persone che fanno il mio lavoro e il progetto che c’è dietro a questo lavoro… allora incontrare di nuovo una persona che è un tuo amico, che è un tuo amico anche perché si ha una analoga visione delle cose, e ogni volta che ci si incontra è interessante perché ci si conosce già ma ci si conosce anche un po’ di più, quindi c’è un’intimità che aiuta, e contemporaneamente si va più in profondità nel conoscersi in termini teatrali. Quindi sono sempre occasioni importanti.

Parlando di profondità, c’è un momento dello spettacolo che è un affondo…

Beh sì, quando Carmen dice già accecata: “Io sono un misto di volgarità e rime”. Perché Moscato che ha scritto questa Carmen come Napoli ossia dando a questa figura l’incarnazione di Napoli, di una città anche che come Carmen è profondamente anarchica, anche pericolosa per certi versi soprattutto rispetto all’anima ma allo stesso tempo profondamente vitale com’è Carmen, trovo molto interessante la relazione che Carmen stabilisce in sé tra l’alto e il basso, penso che dovrebbero sempre coesistere, perché solo la volgarità è insopportabile ma anche solo rime è insopportabile, mentre questo equilibrio che lei dichiara in sé tra l’altro, le rime e un sentimento più basso, popolare, è una cosa che mi piace e mi tocca.

Avete debuttato a Torino, come è stato accolto lo spettacolo?

Siamo contentissimi perché ha avuto bellissime recensioni, e poi soprattutto sta andando molto bene con il pubblico a dimostrazione che è uno spettacolo popolare, appunto volgarità e rime, ma che non si tradisce mai, cioè che non abbassa il proprio livello per compiacere. Quindi, appunto è alto e popolare al contempo. E il pubblico anche inconsapevolmente trae tutto il piacere che si può trarre da una musica come quella di Bizet, da una vicenda così e apprezza anche l’operazione che è stata fatta su questa icona assoluta. E, a parte la qualità degli applausi che ormai facendo questo lavoro da tanto tempo riesco a riconoscere, c’è una partecipazione grande del pubblico, il teatro sempre strapieno, e questo dice più di ogni annotazione o parola. È un abbraccio che ci tiene stretti tutte le sere.

In scena al teatro Argentina di Roma e poi in tournée in vari teatri Italiani con Iaia Forte, Roberto De Francesco, Ernesto Mahieux, Giovanni Ludeno, Anna Redi, Francesco Di Leva, Houcine Ataa, Raul Scebba, Viviana Cangiano, Kyung Mi Lee. E l’orchestra di Piazza Vittorio.

Native

Articoli correlati