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Teatro Valle occupato simbolicamente: la lotta continua

Circa 60 ex occupanti hanno tenuto una conferenza stampa nel foyer della sala per denunciare il mancato rispetto degli accordi da parte delle istituzioni.

Teatro Valle occupato simbolicamente: la lotta continua
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27 Novembre 2014 - 16.06


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Una sessantina di ex occupanti del Teatro Valle di Roma hanno tenuto una conferenza stampa nel foyer della storica sala romana, per denunciare “il mancato rispetto degli accordi da parte delle istituzioni”.
Una portavoce ha letto i motivi di questa nuova assemblea spontanea degli ex dipendenti: “I lavori non sono iniziati, il teatro è chiuso e non siamo coinvolti nel percorso di riapertura. Intanto a Roma i teatri chiudono”. Sabato, 29 novembre 2014, i manifestanti hanno annunciato che si svolgerà un’assemblea pubblica, ma non al Teatro Valle, “che non vogliamo rioccupare” hanno detto.

Il Valle è stato sgomberato l’11 agosto 2014, dopo un’occupazione iniziata a giugno del 2011 e nata contro il rischio di una possibile chiusura. Le istituzioni hanno promesso di ristrutturare e riaprire la sala nel 2015. Nei giorni scorsi è anche trapelata la notizia che il primo spettacolo della nuova stagione del teatro sarà “Operetta burlesca” di Emma Dante, piece teatrale che sarebbe dovuta andare in scena nell’altro teatro sfrattato di Roma, l’Eliseo.


Ecco il Comunicato del Valle Occupato.

Il panorama che abbiamo davanti agli occhi è deprimente. La scena culturale a Roma è al collasso. Il Teatro Eliseo è stato chiuso dalla forza pubblica dopo una gestione fallimentare dei privati ma dopo che per anni è stato il teatro privato più finanziato con risorse pubbliche. Modelli in crisi? Il Teatro Palladium non è più sede del RomaEuropaFestival, unica programmazione internazionale di rilievo a Roma, ed è tenuto aperto a stento con un progetto di cui si capisce poco la natura. Al Quirino – un tempo teatro di patrimonio pubblico ETI come lo fu il Valle e regalato ai privati – confusione e poca trasparenza sulla gestione. Teatro India, la scena off della città, luogo naturale della ricerca e delle compagnie emergenti, è stato chiuso per lavori discutibili decisi dall’allora direttore Lavia e rimane – una sala esclusa – un cantiere. Al Teatro dell’Opera altro pasticcio: mancanza di una direzione, di un progetto e di finanziamenti. I lavoratori protestano, per salvare quelli che forse sono anche dei privilegi, ma rientrano firmando un contratto capestro in cui si impegnano a non scioperare. Un precedente pericolosissimo per tutti. Cinema America, sgomberato e punto. Chiudono a decine le sale cinematografiche, chiudono le librerie. I Teatri di cintura a forza di definanziarli, lottizzarli, e ormai monopolizzati da Zetema, stentano a divenire qualcosa: eppure dovrebbero essere i centri propulsivi di azione culturale nei territori, nelle periferie.

Non ci sono idee, non c’è coraggio. Dopo quattro anni di amministrazione fantoccio e destrorsa di Alemanno, ci si aspettava almeno un cambio di clima con la giunta Marino. Ma dove sono le politiche culturali e sociali? Dove gli strumenti per la progettazione partecipata? Quali strumenti per finanziare la cultura, sostenere la formazione, favorire l’inclusione reale e la democrazia partecipativa? Non vediamo niente di tutto questo. I fondi di bilancio destinati alla cultura per i diversi Municipi di Roma fanno cifra tonda: zero. E intanto le periferie sono in stato di abbandono. Il vuoto culturale diventa intolleranza, razzismo. Le vite di diverse generazioni – i ventenni, i trentenni, i quarantenni –, le nostre vite, si fanno sempre più difficili e precarie e nonostante le proteste il Jobs Act continua ad andare avanti. Scelte che paghiamo sulla nostra pelle. Il modello che viene riproposto continuamente nel mondo culturale è quello dell’evento: gran dispendio di finanziamenti per enormi baracconi effimeri, che non generano nè lavoro nè sistema. Come il caso vergognoso dell’Expò, che nonostante gli scandali e le inchieste per corruzione prosegue come se niente fosse. Cercando di convincere migliaia di giovani laureate e laureati che il lavoro volontario è un fatto normale e addirittura cool. Ma non si chiamava sfruttamento?

Ad agosto, sembrava che la prima preoccupazione dell’Assessorato alla Cultura fosse risolvere la “questione Valle”, come se il problema più grave a Roma fosse l’esistenza di un teatro gestito da una comunità di artisti e cittadini che se ne prendeva cura, sperimentava nuove istituzioni culturali, creava una programmazione di qualità e aperta tutti i giorni, intrecciava relazioni con diversi settori sociali, con altre esperienze in Italia e con operatori e artisti in tutta Europa.

Con la scusa di lavori improcrastinabili (n.b. lavori di manutenzione e di conservazione rimandati per anni), che sarebbero dovuti iniziare già ad agosto, il Teatro Valle è stato chiuso: ad oggi non sono ancora iniziati, nè si ha notizia di un progetto di restauro.

E a 4 mesi dall’uscita, il Teatro Valle è ancora chiuso. Sbarrato.
La stagione di spettacoli, laboratori, residenze, produzioni, creazioni, formazione che lo avrebbe animato è stata cancellata per tutta la città. In cambio di NIENTE.

A guardare a distanza ci viene naturale una domanda: quello che veniva definito problema, non era forse una possibile soluzione?

Le istituzioni culturali sono in crisi, i modelli di gestione verticistici non rispondono più ai bisogni di oggi. È arrivato il momento di metterli in discussione e sperimentare altro. Quello che immaginiamo, e che la città si merita, è una sperimentazione reale, molto avanzata: una forma di partneriato tra un’istituzione pubblica e un’istituzione bene comune.

La Convenzione che dovrebbe scriversi tra Fondazione Teatro Valle Bene Comune e Teatro di Roma nasce in continuità con i tre anni di occupazione, di cui le istituzioni hanno riconosciuto la validità dell’esperienza artistica, politica e sociale.

Vogliamo dare vita a un modello di gestione del Teatro Valle partecipato, ispirato ai principi dei beni comuni, che non sia la somma di diversi soggetti, ma la sperimentazione di un processo aperto e democratico.
Vogliamo elaborare un progetto artistico e gestionale del Teatro Valle da presentare alle istituzioni. Una proposta che sia realmente il frutto di un dialogo aperto con artisti, operatori e cittadini e non un tentativo di inciucio.

Chiediamo inoltre che il restauro del Teatro sia reso partecipato e trasparente. La Fondazione Teatro Valle Bene Comune ha istituito un “Osservatorio” composto da esperti che svolga una ruolo di mediazione tra Fondazione e Soprintendenza. Parallelamente in continuità con il percorso di questi tre anni, si intende avviare, con la collaborazione di una rete di università (Roma Tre, La Sapienza, Politecnico di Torino), un progetto di Cantiere Scuola che si pone lo scopo di rendere il restauro un momento di formazione e riflessione aperto agli studenti e a tutta la comunità.

Dopo un periodo di elaborazione e di confronto oggi siamo pronti a rimetterci in movimento confrontandoci con la città.

Invitiamo cittadine e cittadini sabato 29 alle ore 16.00 a Spin Time in via Santa Croce in Gerusalemme a prendere parte all’assemblea pubblica #tristeèlacittà | vogliamo cambiare rotta!. Per discutere insieme come trasformare l’interlocuzione in atto tra Fondazione Teatro Valle Bene Comune e Teatro di Roma in un luogo di confronto reale sulle politiche culturali, per scrivere insieme una proposta di progetto artistico e gestionale che sia realmente una sperimentazione sul piano dei beni comuni, frutto di un dialogo con artisti e operatori del settore e uno strumento di progettazione partecipata.

Lunedì 1 dicembre, alle ore 18.00, presso Spin Time in via Santa Croce in Gerusalemme invitiamo artiste e artisti che hanno preso parte in questi anni all’esperienza del Valle occupato ad un’assemblea che avrà come principale obiettivo quello di immaginare una modalità per rendere la Fondazione Teatro Valle Bene Comune una piattaforma che consenta agli artisti la messa in comune dei saperi e la sperimentazione di pratiche alternative di produzione: uno strumento reale di alternativa alla crisi delle istituzioni culturali, fondato su cooperazione e mutualismo.

Infine, anche in questo difficile momento, le pratiche e l’esperienza del Teatro Valle Occupato continuano in altre forme: il corpo creativo della Fondazione si fa nomade e adesso, fuori dall’edificio Teatro, si diffonde, abita spazi diversi, crea più profonde collaborazioni, proseguendo i propri progetti artistici e culturali. Sarà in residenza in altri spazi occupati, informali o indipendenti, e non solo, rafforzando la rete di complicità e la vocazione europea. Già il 15 e 16 ottobre 2014 presso il Teatro Bozar – Le Palais des Beaux Arts di Bruxelles ha debuttato lo spettacolo Il Macello di Giobbe, la prima produzione teatrale del Teatro Valle Occupato – Fondazione Teatro Valle Bene Comune. Da ieri, 26 novembre, Emanuele Trevi ha iniziato il laboratorio di creazione “Questo non è un corso”, ospitato dall’Angelo Mai. Prossimamente saranno definite le nuove tappe di Crisi e Rabbia, i cantieri di scrittura portati avanti in questi anni con successo rispettivamente da Fausto Paravidino e Cristian Ceresoli. E ancora molte altre collaborazioni nazionali e internazionali prenderanno vita nei prossimi mesi.

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