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2 giugno, giorno memorabile: nasceva la Repubblica e moriva Garibaldi

In un periodo di confronti e scontri politici sui valori democratici e identitari collegare i due eventi ci offre lo spunto per riflettere sul percorso dell’Italia verso l’unità e la sua identità di ieri e di oggi

2 giugno, giorno memorabile: nasceva la Repubblica e moriva Garibaldi
Il voto del 2 giugno 1946 sullo sfondo dell'incontro di Teano fra il Re e Garibaldi
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31 Maggio 2024 - 13.23 Culture


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di Marcello Cecconi

Il 2 giugno è una data che segna profondamente la storia d’Italia soprattutto oggi che la politica continua a confrontarsi con le sfide della democrazia e dell’unità nazionale. Le recenti discussioni su riforme costituzionali, giudiziarie, delle autonomie regionali e dei diritti civili concentrano ancor di più l’attenzione sul valore simbolico di quella data e riflettono la sempre più complicata difficoltà di intendersi su quelli che sono i veri significati di unità e diversità, di autorità centrale e autonomie locali, di mito della personalità e grandi istanze ideologiche, di conservazione e progresso.

Ecco allora che se il 2 giugno è quasi automatico legarlo al 1946, nascita della nostra Repubblica, meno facile è ricordare che nella stesso giorno del 1882, moriva Giuseppe Garibaldi.

Collegare i due eventi offre lo spunto per riflettere sul percorso storico dell’Italia verso l’unità e la democrazia e l’importanza di queste figure e questi momenti nella formazione dell’identità nazionale. Giuseppe Garibaldi era e sarebbe rimasto repubblicano, ma sapeva che fra gli eserciti della penisola quello sardo- piemontese era il solo che potesse tenere testa agli austriaci.

Così il 4 luglio 1848, quando da poco era rientrato dalle Americhe con l’idea di adoperarsi per unificare la penisola e pur sapendo di mettere a repentaglio l’amicizia degli amici repubblicani, non esitò a dichiarare “di non essere repubblicano, ma italiano” e chiedere di essere ricevuto da Carlo Alberto. Era lo stesso Re di Sardegna che nel 1834 l’aveva condannato a morte e costretto all’esilio per la partecipazione ai moti mazziniani ma che da qualche mese aveva dato inizio alla guerra d’Indipendenza contro l’Austria. E questo è quello che contava per Garibaldi.

Fu sufficiente, infatti, l’obiettivo comune a consigliare Garibaldi di mettersi a disposizione dell’esercito reale e presentare la propria strategia che fu snobbata dal severo e presuntuoso Carlo Alberto. Da quell’incontro, il Re di Sardegna mise in fila una serie di errori diplomatici e strategici tali da mettere a repentaglio il percorso d’indipendenza italiano tanto da dover abdicare, poco dopo, a favore del figlio Vittorio Emanuele II con il quale, per Garibaldi, fu molto più facile trovare empatia.

Ed è fortemente simbolico che la data del referendum che abolì la stessa monarchia sabauda coincida con la morte a Caprera di colui che da repubblicano convinto consegnò a Teano, a quella stessa monarchia, il grande lavoro di taglia e cuci che aveva appena terminato nel Mezzogiorno con le sue camicie rosse al grido “O si fa l’Italia o si muore”. Insomma per Garibaldi prima la sostanza e poi la forma.

La sua lotta per l’unità e l’indipendenza lo rese un simbolo di libertà e coraggio determinante nella costruzione dell’unità e identità del nostro Paese che usciva dalle morse austriache, borboniche e papaline con l’unico aiuto possibile, quello della monarchia Sabauda. Lo stesso simbolo di libertà e coraggio rappresentato dal referendum del 2 giugno 1946 figlio legittimo della lotta partigiana che con l’aiuto degli Alleati ci liberò dalla morsa del fascismo e nazismo tedesco. Una morsa della quale era stato responsabile proprio il regnante debole e indeciso, erede di colui che fece l’Unità d’Italia, quando quel 22 ottobre del 1922 facilitò gli obiettivi eversivi nemmeno troppo nascosti della Marcia su Roma.

Dunque quando il 2 giugno festeggeremo quella pagina di coraggio e libertà scritta da uomini, e per la prima volta anche da donne, nel 1946, facciamo un salto all’indietro fino alle pagine di coraggio e libertà che l’uomo morto a Caprera in quella stessa giorno di 64 anni prima aveva contribuito a disegnare.

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