di Manuela Ballo
Antonio Tabucchi, con una sua opera, è di nuovo nelle librerie italiane. Da qualche giorno, è uscita una nuova raccolta di racconti, che oltre alle opere già conosciute, contiene anche un prezioso inedito. La pubblicazione, a cura di Paolo di Paolo ed edita Feltrinelli, si intitola “Che ore sono da voi?” (pgg. 256, euro 17)
Su questa scelta editoriale, ne abbiamo parlato con Maria José de Lancastre, nota studiosa di letteratura portoghese e, cosa non marginale, moglie di Antonio Tabucchi. La raggiungiamo a Lisbona nella sua casa che, come dirà nel corso dell’intervista, è anche una sorta di grande e riservato archivio degli scritti tabucchiani.
La prima domanda muove proprio dal cercare di capire il perché di questa operazione: perché e come avete scelto i racconti da pubblicare?
R. L’idea è di Paolo di Paolo, da parecchi anni mi stava tormentando per fare un’antologia dei racconti di Antonio. In genere Antonio preferiva pubblicare raccolte di racconti che obbedivano tutte a un determinato tema e seguivano una determinata idea. Seguendo questo criterio, mi opponevo alla pubblicazione, in quanto ritenevo che non avesse senso smembrare quelle raccolte. Lui ha molto insistito fin quando non mi sono ammorbidita anche vedendo il successo che in America aveva avuto la pubblicazione di un’antologia dei suoi racconti. Quindi mi son chiesta, perché non farlo anche in Italia?
È stata solo questa l’argomentazione che l’ha convinta, oppure c’è anche un ulteriore motivo?
R. Decisiva è stata la considerazione che Paolo di Paolo mi ha fatto circa la conoscenza degli scritti di Antonio in Italia, soprattutto da parte dei giovani che, come ha ripetuto Paolo, conoscono il più delle volte solo “Sostiene Pereira”, in quanto viene fatto leggere anche a scuola.
Sappiamo che molte opere e inediti di Antonio Tabucchi compresa una gran mole di corrispondenze e la documentazione relativa alle molteplici iniziative culturali sono raccolte presso il centro parigino a lui dedicato.
R. In verità gli archivi delle opere di Antonio sono due, uno si trova alla Bibliothèque Nationale de France, l’altro è a casa mia. Al Fondo ho dato i manoscritti dei romanzi principali e una settantina di quaderni dove c’erano molti racconti oltre ad altri materiali come un dossier di cinema e uno di teatro, ma a casa mia ho un materiale ancor più grande, di quaderni ne ho infatti altri cento e pian piano, raccogliendo tutti i materiali dispersi tra Italia, Francia e Portogallo, ho completato a casa mia l’archivio.
In Francia il materiale è senz’altro protetto, inoltre dà la possibilità di poter studiare quelle fonti, è anche certo, però, che nessuno è in grado come me di mettere in ordine questo materiale, in modo tale che gli studiosi e i ricercatori possano lavorare meglio.
Sarà un impegno molto gravoso, allora?
R. Si, ma in realtà è soprattutto un piacere, facendo questo lavoro sono ancora molto vicina ad Antonio e, per di più, essendo il mio mestiere, è un’attività molto positiva per me, in quanto mi tiene legata alle discipline che ho insegnato e studiato.
Quale sensazione ha avuto nel trovarsi a trascrivere un testo scritto a mano su fogli protocollo e con una grafia minuta com’ era quella di Antonio ?
R. Non è la prima volta che mi trovo di fronte a testi così di Antonio: ho avuto molte di queste sorprese e felicità, in particolare ricordo che 4 anni fa avevo preso un quaderno di Antonio, sull’ aereo avevo letto un racconto “E finalmente arrivò il settembre”. Anche se incompleto, era talmente bello che non ho trovato pace finché non è uscito, prima in Italia sulla rivista Internazionale, poi in Francia dove è stato pubblicato in italiano, in francese e nella mia traduzione portoghese, ora Paolo lo ha inserito anche in questo libro di racconti.
Perché questa passione di Tabucchi per gli orologi e il tempo a cui dedicava gran parte della sua attenzione come in questo inedito che ora viene pubblicato?
R. Era un argomento su cui rifletteva molto, un mistero, uno dei temi che più lo interessavano. Lo ha infatti scelto per un’infinità di racconti. Quello in cui forse è più presente, è il racconto “Lettera a un orologiaio svizzero”. È un testo che è stato pubblicato nel volume postumo “Di tutto resta un poco” ed era uscito ancor prima di questa pubblicazione su alcune testate tra le quali Repubblica. In ogni caso, in quasi tutti i suoi libri c’è il mistero del tempo. Come l’orologio presente nel suo racconto, che da oggetto solido e concreto diventa poi simbolo del tempo e di cosa ne hanno fatto gli uomini.
Trova che anche in quest’ultimo racconto che è stato in questi giorni pubblicato ci sia un richiamo all’ impegno civile che ha connotato molte azioni della sua vita e tante delle sue opere?
R. Sì, se vogliamo forzare un po’, è un racconto su una determinata epoca, ma che può servire da esempio. Quella è l’epoca in cui l’uomo ha raggiunto l’orrore più grande, in cui una famiglia perché di razza ebrea viene portata nei campi di concentramento. La bambina, che è la protagonista del racconto, si salva per caso, diventando così il testimone di quell’orrore. Così facendo, in questo racconto, Antonio ha voluto ricordare che non bisogna mai dimenticare ciò che è accaduto.