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Di Umberto Eco è stato ricordato tutto, ma due aspetti importanti sono stati quasi ignorati

Meno nota al grande pubblico la sua attività universitaria: la fondazione della disciplina della semiotica e il suo ruolo per scienza della comunicazione

Di Umberto Eco è stato ricordato tutto, ma due aspetti importanti sono stati quasi ignorati
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14 Gennaio 2022 - 17.49 Globalist.it


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di Giovanni Manetti 

È da pochi giorni passato il 6 di gennaio. Data che in sé non avrebbe niente di memorabile, se non fosse che in essa cadeva il genetliaco di Umberto Eco, il quale quest’anno avrebbe compiuto i novanta anni. Naturalmente i media (giornali e televisione soprattutto) hanno dato ampio risalto a questo fatto, con articoli e servizi, a onor del vero, anche piuttosto approfonditi. Si tratta infatti dell’intellettuale – non c’è bisogno di dirlo – forse più rappresentativo della cultura italiana della seconda metà del secolo breve e dei primi due decenni di questo. Quello che è stato messo in risalto, tuttavia, non copre la rotondità intellettuale del personaggio. I media hanno premuto l’acceleratore soprattutto sulla sua attività di romanziere. E certamente a ragione. Hanno poi posto l’accento sulla sua attività di pubblicista per diversi giornali e periodici (ha scritto sul Manifesto con lo pseudonimo di Dedalus negli anni della sua gioventù, ha tenuto per decenni la rubrica settimanale La bustina di minerva su L’Espresso, è intervenuto frequentemente su varie testate a proposito di tematiche politiche e culturali). Ma Eco non è stato solo quello.

Infatti è meno nota al grande pubblico la sua attività universitaria. Molti lo sanno, ma vale sicuramente la pena di ribadirne i particolari, che Eco è – insieme ad altri intellettuali di varie nazioni – il fondatore tra gli anni sessanta e gli anni settanta di una disciplina, allora nuova, la Semiotica, che (per semplificare al massimo) trae le fondamenta da un paragrafo del celebre Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure del 1916. Eco era entrato in contatto con questo testo attraverso la mediazione di Luciano Berio, che gliene aveva passato una copia quando entrambi collaboravano al Centro sperimentale di fonologia della Rai di Milano, negli anni sessanta. La natura vulcanica di Eco non ci aveva messo molto a far germogliare quel seme, collegandosi a una serie di studiosi che da varie parti del mondo si stavano ponendo sulla stessa linea. Così nell’agosto 1968 aveva partecipato al memorabile Simposio Internazionale di Semiologia, svoltosi a Varsavia (presentando una relazione dal titolo “Lignes d’une récherche sémiologique sur le message télévisuelle”); proprio in questo convegno Émile Benveniste (grande linguista francese e colonna dello strutturalismo) era stato incaricato di formare una Commissione in vista della costituzione della Associazione Internazionale di Studi Semiotici (IASS – AIS), che avrebbe visto la nascita l’anno seguente, precisamente il 21 gennaio 1969. Eco, per parte sua, si sarebbe attivamente adoperato per la costituzione della sezione italiana (AISS) di quell’Associazione, il 13 marzo 1970, alla presidenza della quale sarebbe stato eletto Giacomo Devoto (onorando le origini linguistiche della semiologia) e alla vice-presidenza Eco stesso. 

Il consolidamento del progetto di creazione della nuova disciplina sarebbe stato scandito da due importanti eventi.  Uno è rappresentato dall’organizzazione del primo Congresso internazionale di Semiotica (questa seconda espressione è equivalente a Semiologia e l’identità viene ufficialmente ratificata durante il congresso stesso), svoltosi a Milano nel 1974 e organizzato dallo stesso Eco. L’altro evento è l’uscita nel 1975 (contemporaneamente in Italia e negli Stati Uniti), di un testo che dal titolo già denunciava la volontà di dare sistematicità al campo di studi da poco inaugurato: è il Trattato di semiotica generale, che non a caso è diviso in due parti, Teoria dei codici e Teoria della produzione segnica, le quali ammiccano alla distinzione saussuriana tra langue e parole. Punto di originalità di quel testo, e marcatura della cifra specifica della semiotica di Eco, è la fusione tra la prospettiva linguistica saussuriana e quella filosofica di Charles Sanders Peirce. Da lì sarebbe partito un lungo cammino, le cui innumerevoli e multiformi tappe sarebbe impossibile descrivere dettagliatamente. Qui vorrei ricordare soltanto due aspetti dell’attività di Eco, passati un po’ sotto silenzio nelle celebrazioni attuali. 

Il primo riguarda l’interesse di Eco ad accentuare l’aspetto filosofico della semiotica, che la configura come uno strumento di lettura del reale, in cui la dimensione critica è predominante. Tanto la cultura alta, quanto la cosiddetta cultura bassa (fumetti, letteratura di consumo, pubblicità, ecc.) cadono in uguale misura sotto il suo raggio di indagine, così come il discorso politico, quello di costume e tutti i fenomeni di comunicazione in generale. Basti ricordare, ad esempio, i brevi, ma fulminanti pamphlet Fenomenologia di Mike Bongiorno e Elogio di Franti. D’altra parte, è la stessa concezione filosofica della semiotica che spinge poi Eco – a differenza di tanti altri studiosi della disciplina – a interrogarsi sulla sua storia pre-novecentesca, o almeno su un paradigma che ponga al centro una riflessione sul segno inteso come strumento di conoscenza indiretta. 

Nascono così le indagini sui grandi filosofi del Medioevo (Bacone e Ockam, solo per fare dei nomi), e dell’Antichità classica (Aristotele, gli Stoici, Agostino) che avevano valorizzato la ricerca sui modi di conoscenza attraverso i segni e sul ruolo del linguaggio, nel suo rapporto con la dimensione mentale e con quella della realtà. Eco così, con questo scavo che non è inappropriato definire foucaultianamente “archeologico”, riporta in luce un panorama che era rimasto in gran parte sepolto o relegato in un secondo piano. Di questo filone si ricordano soprattutto gli studi raccolti nei due volumi dedicati rispettivamente all’antichità classica, Dall’albero al labirinto. Studi storici sul segno e l’interpretazione, e al Medioevo, Scritti sul pensiero medievale; anche se non si possono passare sotto silenzio in questo ambito il volume dedicato Alla ricerca della lingua perfetta, che contiene conclusioni illuminanti anche sul problema attuale del multilinguismo, e Arte e bellezza nell’estetica medievale, rielaborazione di alcuni studi nati intorno ed in conseguenza della sua tesi di laurea svolta sotto la supervisione di Luigi Pareyson (1956).

Il secondo aspetto dell’attività di Eco che è passato totalmente sotto silenzio nelle attuali rievocazioni è quello che riguarda il suo impegno istituzionale a favore della creazione del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione. Nato nel 1992, questo Corso si presentava assolutamente moderno, nuovo ed inedito sino a quel momento non solo nel panorama italiano; inizialmente molto selettivo, il Ministero ne aveva permesso l’istituzione in soli cinque Atenei italiani (Torino, Bologna, Siena, Roma, Salerno). Eco aveva lavorato allo Statuto che lo avrebbe dovuto innervare insieme ad un gruppo di intellettuali italiani, tra cui il Rettore dell’Università di Siena, Luigi Berlinguer, uno dei primi ad averne avuta un’intuizione. Si trattava in effetti di un esperimento in qualche maniera epocale, che intendeva fondere insieme la dimensione umanistica e quella scientifica intorno al concetto di “comunicazione”, una nozione paradigmatica emersa prepotentemente proprio nel corso del Novecento, in seguito allo sviluppo vertiginoso e alla grande potenza sociale dei media vecchi e nuovi.

Ma, a proposito di cose che non sono state ancora dette, molte sorprese ci riserva infine la donazione integrale della biblioteca moderna di Eco all’Università di Bologna, città nella quale ha insegnato per circa quaranta anni e dove ha sede in Via Marsala un Centro di studi a lui intitolato. È previsto che gli oltre 32.000 volumi vengano organizzati nello stesso ordine che avevano nell’abitazione privata e come tali resi fruibili al pubblico degli studiosi. Ma le sorprese non sono finite perché alla sua biblioteca sarà affiancato nel corso del 2022 l’intero archivio dei documenti appartenuti allo studioso (scambi epistolari con intellettuali di tutto il mondo, lettere di invito a convegni, documenti relativi alle numerose Lauree honoris causa conferitegli negli atenei di tutto il mondo, ecc.) e di quelli  da lui elaborati nel corso della sua intera vita intellettuale. E questo non è un fatto da poco, se si immagina di ricostruire la rete di relazioni che attraverso Eco legano la cultura italiana a quella mondiale.

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