di Marco Buttafuoco
Il virus colpisce anche la comunità del jazz che ha perso, in questi giorni, tre protagonisti: il pianista Ellis Marsalis, il chitarrista Bucky Pizzarelli e il trombettista Wallace Roney. I primi due facevano parte di quella generazione nata e cresciuta fra New Orleans e il be bop e rimasta sempre a cavallo fra il jazz più tradizionale e quello più innovativo.
Proprio a New Orleans era nato Ellis Marsalis, il 14 novembre del 1934, e a New Orleans erano nati i suoi sei figli, due dei quali. Winton e Bradford, sarebbero diventati due star del jazz internazionale (anche altri due, Delfeayo e Jason, sono buoni jazzmen). Qualcuno arriva ad affermare che sia stata proprio la fama dei due a dare al padre una visibilità e una notorietà che avrebbe meritato ben prima. Nel suo pianismo, molto lirico e molto ricco, si era stratificata tutta la memoria del suono e degli stili afro-americani, da Jelly Roll Morton a Ornette Coleman; una “concezione” classica del jazz che ha probabilmente molto influenzato il pensiero di Winton, il teorico di un jazz accademico e un po’ chiuso in se stesso, identitario. D’altronde, come ricorda oggi giustamente Umbria Jazz: “Ellis Marsalis ha sempre vissuto la musica come sistema educativo, da quando negli anni ’50 iniziò il suo lavoro di musicista e didatta prima a Los Angeles, poi a New Orleans.“
John Paul “Bucky” Pizzarelli era invece nato a Paterson, nel New Jersey, il 9 gennaio del 1926. La sua carriera si svolse quasi tutta nell’ambito delle grandi orchestre swing (suonò anche con Benny Goodman negli anni settanta). La sua fu anche un’epoca nella quale il jazz cominciò ad avvicinarsi alla chitarra elettrica, in cerca di nuove sonorità e sfide nuove. Buck fu fra i primi a suonare una chitarra a sette corde. Il suo swing e la sua eleganza furono molto stimati nell’ambito del jazz statunitense.
Secondo Enrico Merlin chitarrista italiano, uno dei massimi biografi di Miles Davis, Buck fu convocato, nel 1968, dal trombettista per una prova d’incisione di “Miles In The Sky” uno dei dischi antesignani di quella che sarebbe stata chiamata “fusion”. Leader e chitarrista non trovarono tuttavia un terreno comune e fu George Benson a suonare in quel disco. La traccia di quella prova, il brano Fun, è documentata in un disco del 1981, Directions, che riprendeva incisioni inedite di Miles, anche se il nome di Pizzarelli è apparso solo nelle ultime riedizioni. Bucky si era esibito negli ultimi anni, con buon successo, in un duo chitarristico con il figlio John .
Wallace Roney è stato definito, impropriamente, l’erede di Miles Davis. È inutile, in un’arte, come il jazz, in continuo mutamento focalizzarsi su eredi o scuole. Roney era semplicemente un ottimo musicista. Certo, suonò al posto di Davis in una serata di commemorazione del maestro che si tenne a Umbria Jazz nel 1992, insieme alla sua ultima grande band (Herbie Hancock, Wayne Shorter, Ron Carter e Tony Williams) e Miles lo stimò molto.
Roney tuttavia, che aveva solo 59 anni essendo nato a Filadelfia il 25 maggio del 1950, andrebbe ascoltato anche al di fuori di questi rimandi a una figura tanto ingombrante come quella di Davis. Non a caso aveva suonato con gruppi di primo piano come quello di Tony Williams e, soprattutto, con Art Blakey, quei Jazz Messenger che furono la palestra e la pedana di lancio per tanti grandi jazzisti. Aveva un suo stile essenziale, un suo suono elegante.