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Pasquale Innarella: insegno jazz nelle borgate romane dove la sinistra è sparita

Il jazzista ha formato la Rustica X Band alla Rustica e al Quarticciolo. “Penso alla lezione di don Milani. Qui i ragazzi sono lasciati a se stessi”

Pasquale Innarella: insegno jazz nelle borgate romane dove la sinistra è sparita
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24 Giugno 2019 - 19.29


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Marco Buttafuoco

Per i jazzofili italiani Pasquale Innarella è un nome noto. Ottimo polistrumentista e compositore si aggira da decenni nei territori del jazz di ricerca. Presto usciranno due dischi a suo nome, entrambi per l’etichetta tedesca Out Records. Il primo in quartetto con Paolo Cintio al pianoforte, Leonardo De Rose al contrabbasso e Giampiero Silvestri alla batteria, esplora e omaggia l’immenso Dexter Gordon, musicista a cavallo fra l’avanguardia e la tradizione bop (noto al grande pubblico come attore protagonista in Round Midnight di Bertrand Tavernier). Il secondo, con Danilo Gallo al basso ed Ermanno Baron alla batteria, si avventura nelle lande infuocate della musica di Albert Ayler, segnate dal free più radicale e dal richiamo alle radici più profonde dell’afro-americanità.
Qui parliamo però di un altro aspetto dell’impegno artistico del sassofonista irpino. Innarella crede nel valore sociale dell’arte e della musica e non solo a livello teorico; nella sua storia c’è anche, quindi, una pratica d’intervento (come si diceva negli anni ’70), che l’ha portato a creare e dirigere una jazz band formata da bambini e ragazzini de La Rustica e del Quarticciolo, borgate difficili della periferia romana.

“Io penso che, a un certo punto della vita, un artista non debba solo pensare a esprimersi o a creare. Deve anche costruire qualcosa, piantare un albero, disegnare una strada, lasciare una traccia. Io adoro il jazz da quando avevo undici anni, e oggi ne ho sessanta. Lo suono e lo insegno, ma volevo fare qualcosa di più. Questa musica non è per me solo una forma d’arte elaborata e raffinatissima. Tanto meno è una musica di sottofondo da ascoltare nel salotto di casa bevendo con gli amici. Per me è memoria di strada, di vite difficili, di socialità. È il senso della libertà trasmesso dalla diaspora dei jazzisti sudafricani, è la battaglia di Malcom X negli anni sessanta. Per questo già nel 1999 ho messo in piedi La Rustica X Band, una scuola musicale di jazz per giovanissimi di quel quartiere romano. Un’arma in più per combattere il degrado. In zone come quelle, contrassegnate dall’abbandono scolastico, dalla vita precoce di strada, dalla micro violenza diffusa mi sembrava utile portare un’arte tanto socializzante e divertente quanto il jazz. Quando la cooperativa Nuove Risposte, una delle Coop che ancora opera nelle borgate, mi chiese di elaborare un progetto, non ebbi esitazioni nel propormi come insegnante di jazz. Insegnare è uno degli aspetti più belli del mio lavoro, e ho sempre tenuto presente la lezione di Don Milani”.

Degrado, miseria economica e culturale. Crede che la situazione sia cambiata in questi vent’anni di attività?
“Sì, purtroppo in peggio. All’inizio della mia attività si poteva ancora dire a un ragazzo “studia, perché questo ti può assicurare un futuro migliore”. Oggi una frase del genere ti può solo procurare sarcasmo o derisione. Il cosiddetto ascensore sociale si è fermato, in borgata, forse irreversibilmente. O forse può solo scendere. La crisi economica, l’assenza della politica, lo stesso diradarsi del volontariato sta uccidendo ogni speranza. Un adolescente di borgata ha oggi davanti a sé ben poche possibilità di crearsi una vita migliore. Se gli andrà bene, potrà diventare un bravo artigiano, un abile muratore. Spesso l’unico esempio di ascesa è dato dal trafficante di droghe. Nelle borgate girano molte auto di gamma alta, enormi e prestigiose e chiunque sa da dove vengano i soldi per acquistarle. Queste ostentazioni di ricchezza possono essere una triste sirena in zone nelle quali gli autobus passano ogni quaranta minuti e anche raggiungere una struttura sanitaria per una visita è un’impresa. Oltretutto non ci sono più centri di aggregazione. A La Rustica operava una sezione del Pd, molto attiva, che organizzava una piccola e partecipata Festa de L’Unità. Un cittadino in difficoltà poteva rivolgersi a loro per l’espletamento di una pratica, per un consiglio; oggi è chiusa.

Che risultati pensa di aver ottenuto in quest’attività?
In vent’anni siamo riusciti a insegnare la musica a circa 400 ragazzi. Undici di loro oggi sono musicisti di professione, altri sono rimasti legati alla musica e sono sempre felice di incontrarli ai concerti. Abbiamo dato loro la possibilità di frequentare un ambiente diverso, di appassionarsi a uno strumento musicale, di stare insieme suonando. La Rustica X è oramai una big band con trenta elementi fissi e altri che si aggiungono. Suoniamo nelle piazze. Nei giorni scorsi ci siamo esibiti in un Festival delle bande di strada alla Garbatella. Abbiamo inciso un disco e partecipato a iniziative musicali all’estero (Budapest e Bordeaux). L’età dei suonatori è compresa fra gli otto e i quattordici anni. In certe manifestazioni che prevedono luoghi diversi di esibizione gli spostamenti erano problematici. C’era il rischio di perdere per strada qualche ragazzino. Così ora ci muoviamo suonando When The Saints Go Marchin In. Io li dirigo e loro sono obbligati a guardarmi. Così non ne perdo nessuno. Cerco di spiegare loro quello che suonano, racconto aneddoti sui grandi del jazz e li invito ad approfondire sul loro pc tutti gli aspetti della nostra musica. Cerco di far avvertire loro la bellezza della conoscenza.

Le famiglie la aiutano in questo lavoro, incoraggiano i ragazzi a venire a lezione?
Alcune sì, e alcuni genitori danno anche una mano per la quotidianità. Altre invece, e qui è il problema, tendono a lasciare ai figli la più totale autonomia di scelta, in ogni campo. Ci sono giovanissimi che non frequentano la scuola, senza che i genitori tentino di orientarli. Non parlo della nostra scuola di jazz, ma di quella dell’obbligo. A dieci, dodici anni, se non prima, sono lasciati “liberi” di studiare o no, di vivere per strada o meno, di orientare la vita a loro piacimento. È un fenomeno assai diffuso. In borgata il tessuto familiare è spesso stracciato. Ci sono molti genitori “difficili” da quelle parti. È difficile fare esempi. Se proprio insiste posso dire di un mio allievo che vorrei tanto far arrivare almeno al liceo musicale. Ha un grande talento, ma sua madre deve badare, da sola, ai figli. A lui è stata lasciata solo la libertà di andare a scuola o meno. Anni fa scoprii un piccolo clarinettista rom, un piccolo genio. Avrebbe potuto fare tanta strada, ma il padre lo portò con sé in Romania, per farlo suonare ai matrimoni.

Si sente dire spesso che la sinistra ha abbondonato i quartieri poveri. È diventato quasi un meme. Come giudica, dal campo di battaglia, questa affermazione?
Purtroppo è vera. La voce dei progressisti, in questi quartieri si è fatta flebile e il vuoto è colmato, per ora in parte, dai neofascisti. Ho un bel dire ai miei ragazzi e alle loro famiglie che non bisogna dialogare con loro, che non si devono fidare. “Quelli ci aiutano” è la risposta tipica. Li aiutano a compilare i documenti, li accompagnano alle visite mediche, distribuiscono pacchi di pasta. Non hanno risposte concrete da dare, ma ci sono. Più che dire che la sinistra sta sparendo dalle zone povere, forse stenta a capire il linguaggio del disagio, della frantumazione sociale, dell’impoverimento continuo. Proprio da qui nascono gli episodi di intolleranza verso gli immigrati. Gli stranieri che arrivano si riversano nelle zone povere acuendo i problemi. Chi si sentiva abbandonato ora ha la prospettiva di dividere le proprie scarse risorse con persone ancora più disperate. Salvini ha giocato molto abilmente su questo disagio. È stato anti meridionale fino a ieri e oggi fa il difensore dei diritti degli italiani. Ieri agitava lo spettro dell’invasione meridionale (sono irpino e vengo da un paese svuotato dall’emigrazione) oggi quello della calata dei barbari. Ma i problemi delle periferie esistono, e sono molto gravi. E dai quartieri bene, purtroppo, questo disagio non viene avvertito.

Come vede il futuro?
La band vive con il contributo della Cooperativa che destina a noi il cinque per mille. Qualche bando lo vinciamo e andiamo avanti, così come va avanti Nuove Risposte nel tentativo di garantire ai cittadini poveri quel minimo d’assistenza di cui hanno bisogno. Queste organizzazioni, sempre più in difficoltà, anche per vicende di cui non hanno colpa, svolgono un lavoro faticoso e dedito alle persone che hanno meno, e tengono in vita servizi molto impegnativi,. Se dovessero cedere, il loro posto potrebbe essere occupato da altri, quelli di cui abbiamo parlato poco fa. Ci sarebbe bisogno di risorse, non solo economiche. Oggi operiamo da soli, senza più un’area politica di riferimento; ho incontrato spesso Mario Borghezio a La Rustica ed a Tor Sapienza.

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