Ozzy Ousborne, voce potente e cavernosa, leader carismatico e voce dell’hard rock con i suoi Black Sabbath e una musica dalle aspirazioni infernali nell’Inghilterra anni ’70, a dispetto di una vita al limite il 3 dicembre arriva ai 70 anni.
John Michael Osbourne il nome all’anagrafe, “Ozzy” il soprannome, passato dal subire i bulli per la sua dislessia, il carcere minorile, la scuola non oltre i 15 anni, il lavoro in fabbrica, è uno di quei casi in cui, come dicono i rocker, il rock ha salvato la vita. Ma la scienza si è interrogata su di lui e il suo corpo: per quel che ha vissuto, dovrebbe essere morto e sepolto da un pezzo. Perciò, come gli scienziati hanno studiato Keith Richard dei Rolling Stones vivo e in forma a dispetto di quanto ha ingerito il suo corpo, così gli scienziati hanno studiato Ozzy Ousborne.
Ne scrive Tristan Free sulla rivista, autorevole, “Future Science”. Dove ricorda che nel 2010 due aziende di biotecnologia hanno studiato la sequenza del genoma del Dna del cantante e hanno scoperto che è un caso unico: hanno trovato un gene particolare, perciò l’artista è sopravvissuto a quanto ha ingerito.
“Molti aspetti della vita di Osbourne sono eccezionali al punto di essere quasi incredibili – scrive Free – Osbourne non ha solo retto a 40 anni di abusi forti di droghe e alcool; è sopravvissuto a un incidente su un Atv (veicolo piccolo a quattro o più ruote per ogni tipo di terreno), che lo ha fatto ‘resuscitare’ due volte e lo ha lasciato in coma per otto giorni; è sopravvissuto allo scontro tra un aeroplano e il pullmann durante un suo tour e altri incidenti e colpi poco meno che credibili”. Anche se le ricerche degli analisti hanno accertato che di davvero incredibile sono le sue capacità musicali, il tremore dovuto al Parkinson e al rapporto con le droghe, gli è davvero capitato di tutto. Le agenzie riferiscono che l’ultimo guaio è stata una infezione, molto grave, provocata da una manicure. È finito in ospedale. L’artista nato in una famiglia povera di Birmingham nel 1948 ce l’ha fatta ancora questa volta.
Il link all’articolo su Future Science