Lando Fiorini, l'ultimo Rugantino | Giornale dello Spettacolo
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Lando Fiorini, l'ultimo Rugantino

Ha portato la canzone romana al successo, da Trastevere a Broadway. Attore al Puff ha lanciato tanti grandi dello spettacolo. Domani i funerali nella sua Trastevere

Lando Fiorini, l'ultimo Rugantino
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Francesco Troncarelli Modifica articolo

10 Dicembre 2017 - 17.15


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C’è una vecchia foto di scena del “Rugantino”, la commedia musicale capolavoro realizzata da Garinei e Giovannini, che ritrae un gruppo di artisti entrati nella storia dello spettacolo che parla più di qualsiasi articolo. Il boia Mastro Titta-Aldo Fabrizi, Eusebia-Bice Valori, Rugantino-Nino Manfredi e Rosetta-Lea Massari sono seduti intorno a un tavolo, alle loro spalle, il simpatico Carlo Delle Piane, i grandi Tony Ucci e Fausto Tozzi e, ciuffo pronunciato e sorriso sincero, un giovane Lando Fiorini.
Ecco da questa immagine ingiallita dal tempo, si capisce chi è stato l’artista romano scomparso alla soglia delle 80 primavere, quale sia stata la sua formazione, il percorso compiuto per arrivare ad essere un grande cantante, capace di regalare emozioni e toccare le corde dei sentimenti del pubblico con le sue interpretazioni di brani storici della tradizione capitolina ed un altrettanto grande intrattenitore, elegante, ironico e irresistibile attore di un cabaret a misura di divertimento genuino scevro da volgarità gratuita.
Insomma lui per diventare Lando Fiorini, aveva fatto una gavetta unica e particolare, iniziando le primarie alla scuola della strada e le superiori con i più grandi maestri dello spettacolo romano e italiano risultando così promosso a pieni voti dal pubblico, unico giudice inappellabile quando si parla di artisti.
E se lo meritava tutto il successo che in più di cinquant’anni di carriera si era guadagnato con la sua bravura e solarità che lo facevano un signore vero, un successo conquistato brano dopo brano che aveva eseguito, programma dopo programma radiofonico o televisivo a cui aveva partecipato, spettacolo dopo spettacolo che aveva interpretato nel suo regno, il “Puff” di via dei Salumi.
Il locale comprato a cambiali e con tanti sacrifici dove prima c’era un laboratorio di un fabbro e trasformato in salotto buono e confortevole con uso e consumo di pasta e fagioli, dove s’era inventato un cabaret in romanesco, quello piacevole e sornione di Trilussa, che prendeva in giro tutti a cominciare dai papaveri della politica e i soliti noti di ogni ordine e grado, denunciando altresì la mala gestione della cosa pubblica e il caos della quotidianeità.
Umile, grande lavoratore (aveva fatto cento mestieri: barbiere, riparatore di biciclette, facchino ai Mercati generali) e talent scout dal grande fiuto (Montesano, Lino Banfi, Gianfranco D’Angelo, Maurizio Mattioli per citare alcuni dei suoi compagni di avventura al “Puff” ingaggiati ai loro esordi), Fiorini era però principalmente una gran voce della romanità, un cesellatore sopraffino che s’inseriva nella tradizione dei grandi interpreti guidata da Sergio Centi, il maestro Del Pelo, Giorgio Onorato e il primo Claudio Villa.
Un cantante che nell’enfasi interpretativa, riusciva a dare il meglio di sé, si pensi alla sua esecuzione vibrante del classico di Romolo Balzani “Barcarolo romano” con cui sbancò ad una memorabile edizione di “Canzonissima”, o alla melodrammatica “Pupo biondo” (“Noi c’avremo ‘na casetta cor geranio e le panzè, tu sarai la regginetta io m’empegno a fa da re…), o a “Ponte mollo” o a “Cento campane” sigla dello sceneggiato televisivo “Il Segno del Comando” con Ugo Pagliai e Carla Gravina, che nella sua versione è diventata un long seller della canzone italiana.
O si pensi soprattutto alle splendide “Ciumachella de Trastevere” e “Tirollallero” che Lando ebbe la soddisfazione di cantare a Broadway quando il musical delle “due G” sbarcò per una tournèe trionfale in America. Aveva 26 anni l’ex povero ma bello di vicolo del Cinque, una vita davanti a sé e tanta voglia di sfondare, ed essere lì insieme a quei giganti del palcoscenico era per lui un sogno. Un sogno meritatissimo da vivere e che nel tempo è diventato grazie alla sua passione e professionalità, una splendida ed apprezzata realtà.
Quella di un cantore di Roma e dei suoi miti, riti e tipi che aveva fatto suoi e reso celebri, quella di un divulgatore di romanesco autentico e popolare che dispensava bonomia e sberleffo senza guardare in faccia a nessuno, quella di una persona perbene e dal cuore grande che amava la sua città e i suoi abitanti. Quella dell’ultimo Rugantino di una Roma sparita e in bianco e nero ma in cui si viveva a colori di cui si sente tanto la mancanza. Come di lui, che se n’è appena andato e già manca. Ciao Lando….     

      

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