Cinque anni fa se ne andava Lucio Dalla. All’alba del primo marzo, il piccolo grande uomo della musica italiana, veniva stroncato da un infarto in una camera dell’albergo Ritz a Montreux, la cittadina svizzera dove la sera prima si era esibito nella prima tappa del nuovo tour e pochi giorni prima del suo 69esimo compleanno, il quattro marzo (1943), data fondamentale per la memoria musicale del nostro Paese
Una morte avvenuta nella città che ospita uno dei festival jazz più importanti del mondo, quasi a voler chiudere idealmente e poeticamente il cerchio di una vita e di un’avventura artistica, iniziata col suo primo amore, il jazz. Una morte improvvisa che venne diffusa via twitter, prima dei lanci ufficiali delle agenzie, dai frati della basilica di San Francesco d’Assisi, amici da sempre del cantante bolognese, sconcertati da quella triste notizia, che diffusasi rapidamente, gettò nello sconforto la platea sterminata dei suoi fan.
E non sarebbe potuto essere altrimenti perché Lucio Dalla è stato uno dei grandi protagonisti della nostra musica, un artista nel vero senso della parola, un autore importante che con la sua produzione sempre qualitativamente alta, ha lasciato dei capolavori apprezzati da tutti e che sono diventati patrimonio comune non solo di chi lo ha seguito e amato da sempre, ma anche di chi ha voluto e vuole tuttora solamente rifugiarsi nell’ascolto di brani che a dei testi che fanno riflettere offrono anche una musica che colpisce e suscita emozioni.
“Piazza grande”, “4/3/1943”, “L’ultima luna”, “Cara”, “Nuvolari”, “Futura”, “Ma come fanno i marinai”, “Cosa sarà”, “L’anno che verrà”, “Anna e Marco”, “Se io fossi un angelo”, “Caruso” (dopo “Volare” la canzone più conosciuta e diffusa nel mondo come certificano i bollettini della SIAE), per citare a braccio alcuni dei suoi brani più famosi, sino al suggestivo “Le rondini” di cui esiste filmata con un telefonino, l’ultima esecuzione sul palco dell’auditorium di Montreux quella sera di cinque anni fa, in cui Lucio con la sua voce unica e inconfondibile gorgheggia: “Vorrei entrare dentro i fili di una radio, e volare sopra i tetti delle città, incontrare le espressioni dialettali, mescolarmi con l’odore del caffè, fermarmi sul naso dei vecchi mentre leggono i giornali, e con la polvere dei sogni volare e volare al fresco delle stelle, anche più in là…”.
Jazzista, clarinettista, funambolo della voce, anticonformista, antidivo, autoironico, amante dello sport e della vita, Lucio Dalla a distanza di cinque anni ha lasciato un grande vuoto nel panorama culturale del Belpaese, sempre più incanalato verso talent e prodotti a largo consumo con l’aggravante dell’ usa e getta. La domanda allora è inevitabile, cosa avrebbe scritto e cantato oggi uno come lui, quale metafora avrebbe usato per raccontare un momento difficile come quello che stiamo attraversando. Nessuno può dirlo, l’unica certezza che resta comunque a consolarci è la sua poesia in musica sempre attuale e sempre emozionante. Come quando era con noi.