Nel 1998 è tra i soci promotori della rivista Falaut, nello stesso periodo, assecondando il suo spiccato interesse per l’analisi e la valorizzazione del suono, fonda la VD music srl, di cui è tuttora amministratore unico.
Come sei diventato un produttore di musica classica?
Tutto è iniziato dalla passione per la musica in generale che mi ha portato da bambino a iscrivermi al conservatorio. Negli anni poi si è trasformata in amore per la composizione anche di musica elettronica. Creavo brani ex novo attraverso la fusione di musica preregistrata e brani suonati dal vivo. Così è nata l’idea di mettere su un piccolo studio di registrazione per uso personale. Da lì ho iniziato a registrare singoli strumenti per poi creare successivamente delle nuove composizioni. In seguito alcuni colleghi sono venuti a registrare e a chiedermi se potevo produrre per loro conto le loro opere come un vero e proprio “regista del suono”. Con il passa parola il giro si è allargato e alla fine mi sono trasformato in un producer.
Qual è il pubblico che oggi ascolta musica classica?
Noi italiani scontiamo una sorta di peccato originale, la musica non è contemplata a scuola, quindi cresciamo generazioni che non hanno le conoscenze musicali di base e ignorano un intero settore artistico. In tanti non hanno nessuna nozione musicale e nonostante questo la musica classica e quella jazz mantengono un importante pubblico.
La musica dunque in Italia è ancora “un affare di famiglia”? Diciamo che in famiglia i più giovani costruiscono la loro prima conoscenza musicale di base, se i genitori suonano uno strumento è più facile che i figli si avvicinino allo studio dello spartito. Non è sempre così, ma certamente il merito non è della scuola statale che non aiuta affinché un numero sempre più grande di giovanissimi scoprano di avere un talento o semplicemente di allenare l’ascolto.
Un esempio fra tutti è lo studio del flauto alle medie, ha fatto più danni che altro, facendo spesso odiare ai giovani lo studio di un’arte così affascinante. Autonomamente però nel nostro Paese ci sono una marea di iniziative di privati, pensiamo alle tante scuole o alle innumerevoli orchestre giovanili che si esibiscono nei teatri frequentati da tutte le fasce di età, che riescono ad avvicinare un pubblico nuovo. Pensiamo ai concerti di musica da film che riescono a far appassionare chi ha già la passione per il cinema. Se uno vuole riesce a trovare gli stimoli giusti per crearsi una minima cultura musicale, aldilà del familismo.
In parole povere potresti spiegare come lavori con la musica? Si pensa che la parte tecnologica faccia parte del processo artistico (scusate il gioco di parole) solo per alcuni generi musicali come quello rock per esempio. Ma la musica classica, anche se forse è meno evidente, può essere ugualmente “trasformata”, in meglio o in peggio, attraverso la rimodulazione per esempio di un timbro vocale o dell’acustica della sala, che magari rendono completamente diversa un’opera da come l’aveva pensata l’autore stesso. Oppure lavorando si possono approfondire dei profili nella lettura della registrazione che portano alla luce un tipo di suono che offre un’interpretazione differente a quella del suono dal vivo.
Parliamo dei Grammy della musica, so che alcuni tuoi lavori sono entrati nella lista per le nomination. Sì, abbiamo recentemente saputo due cd registrati da noi della Vdm Records sono nella ‘short list’ del 59esimo Grammy Awards (in categorie diverse) e che concorriamo nella Classical Producer section. Una bella soddisfazione visto che siamo l’unica etichetta indipendente completamente italiana a essere entrata in lista. Parlo di Schonberg Cajkovkij del Sestetto Stradivari dell’Accademia di Santa Cecilia e del disco Sideways del gruppo Sonic Rade