Al via la decima edizione di MiTo che fino al 22 settembre poterà a Milano e Torino 160 concerti. Assoluta ed esclusiva protagonista di quest’anno: la Musica Classica, presentata e valorizzata in modo innovativo, come sottolinea il nuovo direttore artistico del Festival Nicola Campogrande, compositore, noto al pubblico musicale oltre che per la sua musica anche per la sua presenza in contesti di divulgazione. E’ uno dei conduttori di Rai Radio3 e collabora come esperto con TV e giornali.
Com’è stato affrontare per la prima volta la programmazione di MiTo, un Festival che ha una sua storia. Da dove è partito per immaginare la programmazione di questa edizione?Ho costruito di questa edizione del festival tenendo conto della sua storia, anche perché io sono torinese, quindi ascoltavo i concerti di settembre musica da quando ero bambino. Ho proceduto tenendo conto anche del fatto che il festival aveva bisogno di un momento di evoluzione. Quindi ci sono diverse novità in questa edizione 2016, che in un certo senso provengono davvero da una declinazione dei fermenti del passato da un’idea di passato che ho condotto, però, verso territori in parte nuovi. È evidente il fatto che MITO ora è completamente dedicata alla musica classica, mentre fino all’edizione dello scorso anno facevano parte della programmazione anche altri generi musicali: il jazz, la musica etnica, la canzone d’autore, la musica elettronica. Io penso, invece, che la musica classica sia davvero ad un momento cardine della proprio lunghissima storia.- nel senso che è un ingrediente fondamentale della nostra cultura ma è anche una fonte di godimento e di piacere che non ha tanti eguali nel mondo che ci circonda. Bisogno però trovare delle modalità per avvicinarsi alla musica classica che tornino a farcela sentire vicina e indispensabile e in questo senso altre novità che ho previsto vorrebbero vogliono aiutare a moltiplicare il piacere dell’ascolto. Una è quella di organizzate tutto il festival in modo tematico, cioè esiste un tema che quest’anno è “Padri e figli” e ognuno dei circa 90 programma diversi lo declina a proprio modo. Esistono dei presentatori che in 4 minuti danno il senso della serata, introducono allo spirito della serata, al mood, allo spirito con il quale abbiamo concepito assieme agli artisti i programmi. I programmi sono tutti programmi originali. Ci sono 160 concerti e con 3-4 eccezioni di tipo tecnico, sono tutti programmi pensati apposta per Mito. Quindi ogni serata è pensata come una vera esperienza in cui tu entri in sala da concerto e poi ne esci dopo aver fatto qualcosa che ti può davvero segnare. La costruzione del concerto, il menù potremmo dire in termini gastronomici, è davvero determinante. Per cui soprattutto in due città come Torino e Milano un festival si deve segnalare per una caratteristica originale, e questi programmi ad hoc sono pensati per far sì che il piacere all’ascolto della musica classica sia costantemente rinnovato. Mi viene in mente un altro elemento che aiuta il pubblico a godersela di più, che è l’utilizzo dei sopratitoli per alcuni concerti, una guida all’ascolto, in modo da avere un supporto, perché la musica classica è vitale e meravigliosa. E’ una musica suonata e ascoltata da giovani di tutto il mondo e non solo dagli anziani, come qualcuno a volte dice, ma è anche una musica che vive nel nostro tempo digitale. Quindi usare anche un po’ di tecnologia per accompagnare passo, passo l’ascolto di un concerto a me sembra importante.
Sembra una scelta innovativa e al contempo coraggiosa al giorno d’oggi parlare solo di musica classica, pur essendo stata sempre una componete prevalente anche nelle precedenti edizioni ..Io sono stato nominato dai due sindaci di Milano e Torino, i precedenti rispetto a quelli eletti lo scorso giugno, sulla base di un progetto che mi è stato chiesto di elaborare. E avevo suggerito di trasformare MITO in questa direzione. In termini numerici è considerato il più grande festival di musica classica in Italia a questo punto. Ho l’impressione che questo sia un gesto che ha una doppia valenza. Da un lato sicuramente è un investimento a lungo termine, perché l’ascolto della musica classica è un qualche cosa che riempie talmente l’esistenza , i pensieri, è un tale stimolo verso la vitalità e l’intelligenza, anche il senso di partecipazione, non a caso ho previsto due serate di open singing, dove si canta tutti assieme in piazza del Duomo a Milano e in piazza San Carlo a Torino, ma insomma mi sembra contribuisca all’essere cittadini e al pensarsi tutti assieme. L’idea stessa, la pratica stessa di stare in una sala da concerto per un’ora e mezza zitti con il telefono spento ad ascoltare tutti assieme ciò che accade, è ormai una pratica rarissima. Quindi ho un po’ un’impressione di virtuosità della musica classica. Ci sono poche cose così sensuali e scatenanti e affascinanti nella musica classica, quindi per me è un divertirsi più e più. Ho proposto di prendere la musica classica più seriamente, perché io ho sempre avuto l’impressione che le contaminazioni da Zucchero a Pavarotti a operazioni simili, non aiutassero, non hanno aiutato, la musica classica non è quello. La musica classica ha un suo linguaggio, una sua struttura, una sua sintassi, ha dei rituali che possono essere aggiornati, ha delle modalità di approccio che si possono probabilmente rivedere e migliorare. Si pensi ai mesi che i compositori impiegano a scrivere una partitura, che magari è vecchia di 500 anni che poi viene stampata, tramandata con energie e intelligenze che permettono di farla arrivare ad un interprete ogni che la studia, che magari la prova con i suoi colleghi, con un direttore, poi la porta in una sala da concerto e poi hai il pubblico che ascolta con quel piacere e quella gioia anche analitica di ascoltare istante per istante ciò che accade. Forse non ci si rende conto di quanta energia ci sai dietro quell’oretta in sala da concerto. E’ energia viva vitale , non è un film, tu pubblico determini l’esecuzione. Quindi, credo che concentrarsi sulla musica classica sia una scelta certamente ambiziosa ma anche di estremo edonismo e di scorpacciata di piacere.
Parli di divertimento dei bambini e piacere per tutti e si arriva inevitabilmente alla domanda sulla scelta del tema “Padri e Figli”..Il precedente direttore artistico Enzo Restagno che ho sempre ammirato tantissimo, si è occupato prima di settembre musica , poi di Mito per oltre 30 anni. Io sono un po’ un figlio della precedente direzione artistica, del precedente festival. Per prima cosa quindi per me si tratta quasi di un omaggio implicito, ma d’altra parte in questa edizione è il festival stesso che si rinnova, non è certo un festival che rinnega il suo passato, solo lo declina in modo diverso. Penso che proprio una riflessione sulla musica classica, sulla sua posizione oggi, e sul fatto che viviamo in una società esperienziale, non più di possesso, almeno ci si sta dirigendo in questa direzione. Quindi trascorrere un’ora e mezzo molto bene, oggi, abbiamo capito che vale più che comprarsi un nuovo gadget elettronico o di farsi un pomeriggio di shopping. Una cena preparata con cura, una conversazione fatta con cura, l’ascolto di un concerto sono davvero la cosa più preziosa nel mondo di oggi, e questa è una riflessione che ha un passato, ma naturalmente ha bisogno anche di un presente. Quindi, l’ascolto della musica classica che arriva molto da lontano, declinato nel presente è un po’ un gioco di figli che riconoscono il valore dei padri naturalmente, ma insieme a loro vanno verso il presente e forse verso il futuro.
La musica non ha confini. Tu hai avuto anche delle esperienze all’estero, quanto hanno influenzato la tua visione originale sul come rinnovare la proposta musicale?Ci sono delle esperienze nella direzione della divulgazione all’estero più sviluppate che in Italia perché in generale le risorse destinate alla musica sono maggiori, e come tutte le cose anche per la musica certo ci vogliono i soldi, ma il sentimento, la sensazione , lo spirito con il quale si fa musica classica, e penso per esempio alle orchestre giovanili, o ai giovani interpreti con i quali io da sempre ho una relazione, perché mi divertono in particolare quelle sono davvero globali, non c’è differenza. UN’orchestra tedesca, francese italiana o spagnola, penso alle ultime che ho incontrato, davvero sono fatte da persone che hanno gli stessi occhi le stesse orecchie lo stesso desidero , piacere, gusto nel suonare assieme, nell’inventare, provare musica nuova, il che mi fa pensare che ci sia proprio un DNA nella società occidentale nella quale la musica classica ha ormai trovato il proprio posto, c’è un’attrazione tale , se ci si avvicina senza pregiudizi, che i bambini quando incontrano un violoncello, un clarinetto.. rimangono con la bocca spalancata. Dall’altra parte c’è una società che non sempre è in grado di accorgersi che quella è una cosa molto bella e che non è nemmeno così complicato preservarla e portarla avanti con cura determinazione e dedizione come per tutte le cose. Ma questo è internazionale. Cambia l’aspetto finanziario, ma io ho vissuto dei tempi di vacche magre, budget ridotti, sempre tagliati, credo che le cose si possono fare anche se magari con un po’ più di fatica.
MiTo inizia in un momento dell’anno in cui tutto in qualche modo si rimette in moto, il ritmo frenetico della città riprende, cosa consigli alle persone, come venire ai concerti dopo la giornata affollata di impegni e rumore.A me piace molto il momento in cui si entra in una sala da concerto, in cui c’è un foyer in cui c’è ancora un po’ di rumore esterno, ma poi i motori a poco a poco si allontanano e prevalgono le voci e poi si entra in sala e a poco a poco, si va verso il silenzio e quel silenzio che va verso l’esecuzione che è speciale e un po’ magico, come quello che separa i movimenti di un quartetto, di una sonata o di una sinfonia. Ho l’impressione che preservare il rito del concerto significhi anche preservare questo aspetto acustico in cui l’elemento caotico della nostra vita non entra. Mi sembra che questi concerti siano una sorta di isole autoreggenti , ci si trova facilmente a contatto con un mondo diverso che ci fa bene, che ci fa stare bene, non credo che serva una preparazione. Credo si possa arrivare trafelati, all’ultimo in una sala da concerto e in un attimo entri nel mondo che descrivevo prima. Credo che la musica classica abbia questo potere, e noi ne abbiamo molto bisogno. Conosco forse migliaia di persone che mi hanno raccontato la loro esperienza in questo senso e anche da questo nasce il mio ottimismo nel pensare alla musica classica. E’un’esperienza che fa stare bene, sempre!