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"I 20enni dovrebbero odiarci". A tu per tu con Alessandro Spedicati

Intervista al Diablo, leader dei Sikitikis.

"I 20enni dovrebbero odiarci". A tu per tu con Alessandro Spedicati
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6 Agosto 2016 - 19.35


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di Margherita Sanna Domenica sarà a Cagliari al chiosco del Corto Maltese con i suoi Sikitikis, Alessandro Spedicati, conosciuto da tutti come il Diablo. Classe 1974, la voce e leader dello storico gruppo sardo si racconta ai nostri microfoni senza timidezze.

Come mai la vostra unica data a Cagliari è proprio al Corto Maltese?

Perché sono i trent’anni del Corto Maltese quest’anno, ed è un luogo a cui siamo molto legati sia emotivamente che professionalmente, un po’ perché è il posto che ha rappresentato la scena live a Cagliari nel momento in cui i Sikitikis stavano più che nascendo, venendo fuori. E poi perché è il primo luogo in cui noi ci siamo resi conto che quello che stava succedendo intorno a noi aveva una dimensione che andava oltre la band locale. È stato il primo concerto in cui, proprio dieci anni fa, nel 2006, ci siamo trovati di fronte a diverse migliaia di persone che cantavano le nostre canzoni e noi non eravamo abituati a questa cosa. Poi nel tempo la nostra produzione live è cresciuta, e il Corto Maltese non aveva più lo spazio, le risorse, poi è successo quello che è successo ai chioschetti del Poetto, son stati chiusi per tanto tempo, e quindi è da tanto, dal 2007, che non suoniamo più lì. Quando quest’anno Cenzo, il gestore, ci ha chiamato per fare questa cosa qui, abbiamo accolto la cosa con entusiasmo, ci sembrava un bel modo di festeggiare insieme la riapertura anche di un nuovo Poetto, di uno nuovo spazio per la città.

Ti piace questo nuovo Poetto?

È un po’ più pettinato, a me piaceva anche la dimensione diciamo da Chiringuito, meno legale, chiamiamola così, sicuramente aveva il suo fascino. Adesso è un lungomare esteticamente gradevole, e molto vivibile dalle famiglie, e la grande bellezza è che c’è la pedonalizzazione.

Voi non appoggiavate nessuno in politica, finché non avete dichiarato la vostra adesione alla lista d’indipendenza, e poi al sindaco Massimo Zedda. Come mai avete scelto di appoggiarlo?

Purtroppo quando si entra nelle fasi calde della politica ci si deve un po’ guardare intorno e capire che cosa possono offrire i candidati. Siccome la politica locale secondo me è l’unica politica che veramente può incidere nella vita delle persone, molto più della politica ministeriale per intenderci, ci sembra che le comunali siano delle elezioni su cui bisogna avere sempre un occhio di riguardo. Quando c’è stata la prima candidatura di Zedda ci è sembrato che fosse l’alternativa migliore in quel momento fra i candidati sindaci, e che ci fosse davvero la possibilità di un cambiamento – più che di un cambiamento politico reale perché sempre stiamo parlando di qualcosa che deve sottostare alle leggi di partito – però sicuramente per togliere il centrodestra da Cagliari, mi viene da dire da 60 anni ma diciamo forse da sempre. Ci sembrava una buona occasione per vedere una politica che avesse un approccio differente rispetto alla politica dell’edilizia che si è vista, della massoneria, quella che si vede normalmente nelle piccole città di provincia. Contento tutto sommato, tracciando le somme di quello che ha fatto Massimo in questo quinquennio, abbiamo riappoggiato di nuovo la sua candidatura quest’anno. Io resto indipendentista, mi piacciono un sacco i percorsi di coscienza. Credo che l’indipendentismo debba passare molto prima attraverso la coscienza che dalla politica, quindi faccio un po’ il cazzo che mi pare.

Hai anche militato da ragazzo?

Ero già adulto. Sono stato il responsabile della comunicazione di IRS per Cagliari e ho inventato il claim Sardinia is my nation.

Voi non producete più un album dal 2015, anno di uscita di “Abbiamo perso”, che avevi definito “il più ignorante fra i miei dischi”, tirando le somme ora, com’è andato quell’album?

La figata di “Abbiamo perso” è che è un disco talmente intenso per noi che non ci siamo accontentati di farlo uscire, lo facciamo riuscire. Praticamente lo abbiamo riaperto, fatto rimixare da un produttore straordinario del pop italiano che è Alex Trecarichi, uscirà una versione alpha.

Quando?

In autunno. E poi la versione beta, quella che è uscita nel 2015, uscirà solo in vinile.

Questa versione alpha invece come la fate uscire?

Avrà le normali distribuzioni digitali e poi ci sarà una stampa di cd, a questo giro volevamo fare i tradizionalisti, vedremo poi per il futuro.

Con quale etichetta discografica uscirà?

Non lo sappiamo. Sappiamo perfettamente che uscirà per MIS, che è la realtà che ci segue managerialmente come prodotto, poi di etichette discografiche ne stiamo vagliando diverse. Ormai le etichette discografiche fanno un servizio, quindi non hanno più potere contrattuale, tu scegli con chi uscire, loro ti stampano il disco e ti fanno un po’ di comunicazione in cambio di qualche punto editoriale. Potrebbe venire licenziato anche da una major, dalla Sony, dalla Warner.

Quanto ha influito la tua sarditudine nel vostro lavoro? Nonostante voi siate conosciuti a livello nazionale e anche all’estero, nella vostra produzione si sente molto la vostra sardità pur non facendo niente di etnico.

Quanto può influire la provenienza di un autore in quello che produce? Molto, però non te lo saprei quantificare. Perché per esempio quanto ha influito il fatto che io abbia fatto le scuole dell’obbligo a Parma? Quanto ha influito il fatto che mio padre sia salentino? Quanto ha influito il fatto che il padre di mia madre sia di origini napoletane? Sicuramente il luogo in cui cresci, e parlo non solo di luogo geografico ma anche di contesto sociale, influisce enormemente. Anzi, forse direi che il 90% di quello che facciamo in termini di espressività viene da questi due contesti: quello geografico e quello sociale. Poi il resto sono abbellimenti.

E non è mai stato un limite il fatto di stare qua, di provenire da qua?

Mah, poi noi lo abbiamo anche superato. Il percorso che i Sikitikis hanno fatto lo hanno anche potuto fare perché nel 2004 si sono trasferiti a Torino per cinque anni. È normale. Se uno vive a Parigi e vuole sapere come si fa il pecorino deve venire qua. Ci sono luoghi in cui certe cose si possono imparare perché c’è una tradizione, perché c’è una scuola, e qui non c’era né la tradizione, né la scuola della musica pop. Noi ci siamo trasferiti dove c’era una di quelle tradizioni, che è quella torinese. Noi siamo cresciuti discograficamente a Torino, portando Cagliari a Torino, e poi portando Torino a Cagliari in termini di formazione.

Senti il peso del ruolo di riferimento che hai per le band isolane, visto che ormai i Sikitikis sono un nome affermato?

Io mi auguro di non avere nessun ruolo e di non essere nessun tipo di riferimento. La cosa sana sarebbe che i ragazzini di vent’anni oggi mi odiassero, odiassero i Sikitikis e dicessero che facciamo solo merda! Perché se non succede questo vuol dire che c’è qualcosa che non va. Noi siamo un gruppo di quarantenni, facciamo il nostro con grande onestà, ma quello che sta succedendo oggi nella musica ai ragazzi di vent’anni è già un’altra roba, e di quello che facciamo noi non gliene frega niente, te lo posso garantire. Mi fa piacere quando qualcuno mi chiede come si fa a fare questo di mestiere, questa è la cosa più difficile, quello vale per tutti a prescindere dalle generazioni. Per fare questo mestiere bisogna non mettersi in piano b. Basta. Questa è l’unica cosa che si deve fare. E mi piace sempre parlare di quest’argomento con i miei colleghi più giovani.

A questo proposito in un’intervista avevi citato una frase di Pina Bausch “Non è come ti muovi, ma cosa ti muove”.

Quella frase è straordinaria. La mia ex moglie, la madre di mio figlio, è una coreografa di danza classica, ed è stata una ballerina della Scala, ed è lei che mi ha fatto conoscere Pina Bausch. Pina Bausch poteva fare qualsiasi cosa, essere qualsiasi cosa, essere una grande scrittrice, una grande musicista, qualsiasi cosa avrebbe scelto per esprimere la sua urgenza di raccontarsi sarebbe stata grandiosa. Devo dire che quella frase è reale come poche cose al mondo, vale per tutto assolutamente.

Oltre ai concerti, l’impegno della riedizione di “Abbiamo perso”, in che cosa sei impegnato adesso?

Sto collaborando con autori molto giovani sia in Sardegna che in Italia per sperimentare nuovi linguaggi di scrittura musicale, nuovi progetti, nuovi suoni, e questo mi porterà ad avere un 2017 estremamente impegnato sotto il profilo di autore e anche come produttore di basi, di beat. Sto entrando in un mondo che mi affascina molto, che è quello del moonbathoon, un genere musicale che mette insieme l’elettronica alla matrice jamaicana, i suoni etnici indiani e africani, la cumbia colombiana con il sitar, una cosa molto moderna e che ho iniziato ad apprezzare perché sono innamorato fisicamente proprio di un’artista straordinaria che si chiama Mia Mathangi, è una delle cento donne più influenti al mondo dello Sri Lanka. Fa video da cento milioni di visualizzazioni ed è un punto di riferimento anche per questo genere musicale. Sono attratto da lei sia dal punto di vista professionale, sia sono un suo fan da poster di Cioè in camera, è la donna della mia vita. (ride) Poi ho imparato ad ascoltare questa roba, che è figlia degli ascolti degli ultimi dieci anni, adesso sto incominciando a sintetizzare il mio modo di pensarlo.

Voi siete una band che sta insieme da un sacco d’anni, com’è la sinergia dopo tanto tempo, avete avuto difficoltà a restare uniti o ci sono stati conflitti?

Certo che sì. È come un matrimonio dove anziché convivere un uomo e una donna, ci sono quattro donne. Siamo insieme da 16 anni, con Jimmy da quasi venti perché avevamo un gruppo assieme prima, i Canidarapina, abbiamo vissuto anche nella stessa casa, in più abbiamo fatto trecento mila km in un furgone, che è un ambiente di 2 m4. Trecentomila km sono circa la media di trentacinque mila ore passate insieme, sono tante. In più le ore che abbiamo passato insieme fuori dal furgone. Questo porta inevitabilmente a scontri di natura pratica, di convivenza, dallo spazzolino messo dove non deve stare al bagno sporco, ai piatti da fare. In più ovviamente ci sono i confronti a volte molto aspri artistici. La realizzazione di una opera artigianale come un disco presenta molti aspetti anche di fatica fisica, anche di esaurimento mentale, e a volte si è arrivati anche alle mani.

Beh, però siete tutti sani e salvi!

Sì sì, e non solo, ci vogliamo anche molto bene. Forse Nietzsche diceva “più che nemici fratelli”, i nemici più nemici di tutti sono i fratelli.


Tu hai variato fra tanti ambiti differenti: radio, teatro, cinema… qual è quello in cui ti trovi meglio a parte il tuo proprio?

Non so, quello che mi fa pagare l’affitto più velocemente. A parte gli scherzi, che sono scherzi fino ad un certo punto, perché io ho fatto molte cose perché oggi devi diversificare il più possibile proprio per poter creare indotto da più parti visto che i dischi non si vendono, che fare grandi numeri di live comporta per noi che dobbiamo andare in Italia molte spese. La nostra è un’azienda costosa. Non è che puoi prendere a mani basse da quello che entra nella cassa dei Sikitikis, quindi bisogna fare anche altre cose che oltre che darti una soddisfazione e un introito economico, ti danno anche la possibilità di crescere e di confrontarti. Io mi sono divertito molto a fare teatro, a fare cinema, ma forse la cosa che mi ha dato più soddisfazione in assoluto è la radio, che ti dà una libertà assoluta. Se la prendi con un approccio informale è veramente divertente, il tempo in radio vola, ed è una figata questa cosa qua. Quest’anno sono fermo con la radio, ho fatto due stagioni di radio, poi ho capito che dovevo fermarmi per tutta una serie di impegni, doveva uscire “Abbiamo perso”, ecc… Mi sono preso un anno sabatico dalla radio, ma credo che diventeranno almeno due.

Dopo la data del Corto Maltese, dove andrete?

Faremo un po’ di giri in Sardegna, andremo anche a Neoneli, Villacidro.. in giro per la Sardegna fino ad Ottobre. Quest’inverno poi avremo un po’ di cose in Italia, non troppe perché è costoso, cercheremo di fare delle cose mirate, belle, che ci diano soddisfazione e non siano troppo scomode o faticose. E poi inizieremo a lavorare anche su materiale nuovo

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