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Pokémon Go, quando il rimbambimento diventa mania

Cerchiamo di capire come funziona questa applicazione che sta ossessionando i giovani di oggi.

Pokémon Go, quando il rimbambimento diventa mania
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20 Luglio 2016 - 18.10


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di Claudia Sarritzu

Per capire cosa è stato scaricato da metà popolazione mondiale che possiede uno smartphone, la famosa app “Pokémon go”, dobbiamo partire da una definizione importante che ci permette di capire di cosa stiamo parlando concretamente. Mi rivolgo soprattutto ai genitori di molti adolescenti, increduli nel vedere i propri figli camminare per le strade con la faccia attaccata al telefono spinti da non si sa quale impulso a cercare esserini detti Pokémon senza preoccuparsi più di come si attraversa una strada.
Mi riferisco alla Realtà aumentata (o realtà mediata dall’elaboratore in inglese augmented reality, abbreviato “AR”). In poche parole semplici, l’arricchimento della percezione sensoriale umana mediante informazioni manipolate elettronicamente, che non sarebbero percepibili con i cinque sensi.
Ma cerchiamo di essere più chiari: avete presente quando uscirono nel mercato gli occhiali di Google? I cosiddetti google glasses che proiettano nella lente dell’occhiale: sms, video, e altre informazione. In pratica uno schermo trasparente in cui vedere un mondo attraverso didascalie. Parliamo di un mezzo che poteva essere sfruttato per esaltare le esperienze fruibili per esempio in un museo. Guardare un quadro e leggere le informazioni sovrapposte alla realtà: curiosità sull’autore o la lettura iconografica, tutto questo direttamente dalle lenti degli occhiali che “aumentano” la vostra esperienza dal vivo.
Tutto è partito alcuni anni fa da Ingress un videogioco di realtà aumentata creato sempre Niantic, per Android e per iOS.
La dinamica del gioco però era molto più semplice di quella di Pokémon go.
I giocatori erano “agenti” che usavano un radar sul proprio dispositivo mobile. La mappa del radar riproduceva fedelmente le strade e gli edifici, ma si trattava di luoghi specifici da raggiungere come monumenti o luoghi di aggregazione. Nel caso attuale invece si inseguono esserini ovunque, anche in mezzo alla strada, creando situazioni pericolose, come incidenti di ogni genere e magari anche rapine.
Il gioco Ingress non ebbe molto successo. Un successo grandioso che oggi nel 2016 invece ha avuto Pokémon go, una versione diciamo più ossessiva compulsiva del precedente Ingress.
Mentre con Ingress il piano di gioco era una mappa stile google map, quindi lo scopo era trovarsi fisicamente nel luogo indicato nella mappa ma interagendo da fermi, con Pokémon go il giocatore oltre che trovarsi fisicamente nel luogo indicato deve esplorarlo attraverso la videocamera del telefono.
Quindi immaginate di fare un semplice video con lo smartphone ma di vedere anche dei mostriciattoli che svolazzano appunto “nella realtà aumentata”.
A questo punto per capire cosa succede nella testa di chi gioca con una certa “passione” maniacale ricordate la famosa fiaba del pifferaio di Hamelin, o più comunemente Il pifferaio magico. I bimbi in quel caso seguivano senza curarsi di dove e come, uno sconosciuto cacciatore di topi. Questa volta però non è una bella musica suadente a rimbarbirli ma dei Pokémon, animali magici creati nel 1996 da Satoshi Tajiri che ebbero nella versione animata televisiva un successo esagerato. A questo punto dobbiamo solo sperare che questo gioco venga usato in modo coscienzioso. Vietarlo non è utile, mettere al corrente dei rischi sì.
Per fortuna non siamo lArabia Saudita che ha rinnovato la “fatwa” contro i Pokémon. Secondo le autorità religiose islamiche del paese, il Pokemon promuove il gioco d’azzardo, utilizza simboli massonici, e promuove “immagini proibite.”
Nel caso del mondo democratico, laico e libero basta riprendere quei vecchi insegnamenti della nonna, come guardare a destra e sinistra quando si attraversa e stare attenti agli sconosciuti (che potrebbero portarsi via il nostro portafoglio mentre acchiappiamo un Pokémon).

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