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Michela Giraud, Demi Lovato: una polemica social racconta come le destre sfruttano la nostra rabbia

Partendo da una polemica social che riguarda l'attrice e comica Michela Giraud, un'analisi di come il dibattito sia del tutto inesistente e la polarizzazione faccia il gioco delle destre più estreme

Michela Giraud, Demi Lovato: una polemica social racconta come le destre sfruttano la nostra rabbia

Giuseppe Cassarà Modifica articolo

20 Maggio 2021 - 16.25


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La cantante e attrice statunitense Demi Lovato ha annunciato su Twitter di essere una persona non binaria e che, da questo momento, preferisce che nei suoi confronti si utilizzino i pronomi ‘they/them’. Potrà stupire, ma l’inglese è una lingua diversa dall’italiano, ha le sue regole ed è effettivamente possibile utilizzare il pronome they/them in forma singolare. L’italiano non funziona allo stesso modo, quindi la traduzione più vicina sarebbe ‘loro’, il che potrebbe lasciare pensare, a chi non perde cinque minuti per informarsi, che Demi Lovato abbia chiesto che ci si rivolgesse alla sua persona usando una sorta di pluralia maiestatis. Non è così, quindi il dibattito in Italia prende le redini da un presupposto falso.

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Ma veniamo a noi: la comica e attrice Michela Giraud ha commentato con una battuta questo annuncio di Demi Lovato, scrivendo in un tweet – poi cancellato, per i motivi che vedremo – che sta chiedendo di essere chiamata ‘loro’, ‘come il Mago Otelma’. La reazione di Twitter è stata spietata.

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‘Pagliaccia’; ‘transfobica’; ‘ridicola’; ‘buffona’. E questi sono solo i tweet ripetibili. Non sono mancate le vere e proprie minacce e gli insulti. E poi, quando Giraud ha cancellato il tweet – peraltro ammettendo di avere ancora da studiare sull’argomento – è partita invece la rappresaglia dei soliti ‘non si può più dire nulla’.

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Insomma, l’ennesima baracconata social, in cui alla fine la gara è a chi grida più forte. Ma in questo episodio mi permetto di intravedere un riflesso di qualcosa di molto più inquietante, che ha anche a che fare con l’ascesa praticamente incontrastata di certa destra nei sondaggi. Vediamo come:

La destra nazionalista italiana ha fatto scuola dell’insulto social. Matteo Salvini ha costruito il suo consenso tramite la Bestia, un sistema di gogna mediatica e sistematica per chiunque criticasse il supremo leader della Lega. L’idea parte da lontano: sfrutta i meccanismi di aggregazione social (le cosiddette ‘bolle’), l’anonimato della maggior parte degli utenti e la quasi impunità che aleggia sul web. La Bestia, insomma, ha capito che il dialogo tra le varie bolle è praticamente impossibile e che i gatekeeper delle varie roccaforti social lo scoraggiano attivamente. Tanto è vero che Salvini, come moltissimi politici, ha il blocco molto facile verso chiunque vada a incrinare l’integrità della sua bolla. Ma questo meccanismo non è ad appannaggio esclusivo delle destre.

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Le bolle sono luoghi confortevoli: per molti utenti, specie all’interno di comunità di minoranza come la comunità Lgbtqi+, rappresentano delle isole felici in un oceano di scarsa rappresentanza quando non di vera e propria esclusione. Ma i meccanismi di ‘difesa’ dell’integrità di una bolla sono sempre uguali e rispondono a dinamiche umane e social, non politiche. In altre parole, a nessuno piace avere ospiti sgraditi in casa propria. E quindi, le reazioni sono perlopiù due: il blocco, che impedisce l’accesso e quindi la discussione, oppure l’insulto libero. E nessuna delle due è una soluzione accettabile, specie su temi così complessi.

Questo perché la violenza verbale fa sempre male al dibattito. E il dibattito, per sua stessa natura, prevede la presenza di tesi contrapposte. È la linfa della democrazia, in fondo: presupporre che la verità assoluta non sia in mano a nessuno ma che ciò a cui si può (e si deve) anelare è un compromesso, quanto più vicino possibile alla totale inclusività di ogni opinione e sensibilità.

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Sparare a zero su Michela Giraud, come è stato fatto in queste ore, crea un ecosistema dove proliferano i peggiori di tutti, ossia – per rifarci a un altro caso che ha tenuto banco in Italia nelle scorse settimane – quelli d’accordo con Pio e Amedeo e il ‘non si può più dire nulla’. Sono coloro che poi diventano bersaglio di ‘operazioni simpatia’ come quella che è sfacciatamente in corso a favore di Giorgia Meloni e della destra più estrema, che finge apertura mentale e inclusività ma nella pratica difende il ‘diritto’ di insulto nei confronti delle categorie più deboli. D’altronde, lo ha scritto la stessa Meloni nel suo libro: da piccola mi bullizzavano perché grassa ma quei bulli li ringrazierò per sempre perché mi hanno resa più forte. Si legittima l’insulto perché l’Italia non è un paese di mammolette, o di vittime. Dietro un ragionamento del genere si nasconde la precisa volontà di arginare tutti coloro che chiedono nient’altro che rispetto, negato sistematicamente dalle categorie privilegiate.

Michela Giraud e il suo tweet su Demi Lovato sono solo la punta dell’iceberg: la tendenza a ‘cancellare’ o attaccare alla cieca qualunque personalità, che sia famosa o meno, che scriva o dica qualcosa non conforme alle regole di una bolla o di un’altra è prassi quotidiana sui social.

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Ma qual è la soluzione? Non dobbiamo esagerare con le nostre richieste o le nostre battaglie perché altrimenti la maggioranza eterosessuale si indispone? Diritti sì, ma ben attenti a non pestare i piedi della classe dominante?

Questo è esattamente quello che l’estrema destra vorrebbe: ridurre le istanze sui diritti civili e sul rispetto a mere regole di una qualche comunità di paria sociali, che – per dirla in modo semplice – se la cantano e se la suonano tra loro. Chi invoca più morigeratezza e chi, dall’interno della comunità, chiede di non esagerare con le richieste (‘pretese’) sta riconoscendo che il mondo appartiene a una maggioranza che ne detta le regole. Questo è un paradigma dettato dalla società eteropatriarcale, la stessa che si sta cercando di sovvertire.

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Ma il blocco, l’insulto, la gogna, tutti questi sono strumenti che rientrano in questo stesso paradigma. Chi ne abusa non è diverso dalla Bestia salviniana, a prescindere dalle ragioni e motivazioni di fondo: non tollerare l’errore, attaccare la mancanza, insultare chi non rispetta regole che non sono convenzioni secolari, ma principi figli di questo tempo e come tali non ancora assorbiti completamente da tutta la popolazione, significa fare il gioco delle destre. Significa creare le condizioni per cui quella parte d’Italia, che sappiamo essere la maggioranza e che rifiuta categoricamente di approfondire ciò che ancora non conosce, si identifichi politicamente con chi dà loro ragione.

La ‘terza via’ che andrebbe percorsa è il dialogo, con chi ovviamente è intenzionato a dialogare. Riconoscere l’errore, ammettere la propria ignoranza su un tema, è il vero grimaldello che rompe questo meccanismo e che apre a un dibattito. Ma è un avvicinamento che va compiuto da entrambe le parti e che deve tenere conto di un fattore spesso dimenticato: siamo umani. E l’errore, quando in buona fede, non può essere bersaglio della nostra rabbia, seppur giustificata. La sensibilità non è innata ma va allenata, costantemente. Magari, anche fuori da Twitter.

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