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Detto Mariano: un altro pezzo d’Italia che se ne va per il Coronavirus

Ha resistito quindici giorni, Detto Mariano, prima di arrendersi, a 82 anni in un ospedale di Milano.

Detto Mariano: un altro pezzo d’Italia che se ne va per il Coronavirus
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25 Marzo 2020 - 22.59


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di Giuseppe Costigliola 
Il virus che ha messo in ginocchio il mondo ha sferrato l’ennesima micidiale zampata. Ha resistito quindici giorni, Detto Mariano, prima di arrendersi, a 82 anni in un ospedale di Milano.

A ripercorrere la vicenda biografica di quest’uomo dal talento poliedrico (compositore, arrangiatore, paroliere, pianista, produttore discografico, editore musicale) viene il magone. Hai la sensazione di una lunga cavalcata in un’Italia ormai scomparsa, fatta di artisti e personaggi di grande spessore, gente che faceva della creatività un banco di prova soprattutto umano, che sperimentava l’alterità giocando col proprio talento, e così tracciava solchi, innovava e creava tradizioni.

Questo prodotto della provincia marchigiana (era nato il 27 luglio 1937 a Monte Urano) era figlio di un organista dilettante, che gli trasmise la passione per la musica mettendogli le mani su una tastiera sin dalla prima infanzia, al tempo in cui in questo Paese la tradizione musicale ad ogni livello era ancora tramandata, come una preghiera o un piatto memorabile. Il talento non gli mancava certo, se è vero quel che si narra: a soli sei anni si esibì per la prima volta in pubblico, in una pastorale, durante la messa di Natale del 1943, in piena guerra.

Nel 1946 la famiglia si trasferisce a Torino, occupando una soffitta in via Carlo Alberto. Il piccolo Mariano aiuta il padre, calzolaio, accompagnando la madre nel mercato rionale per piazzare un po’ di scarpe. In quelle dure circostanze il rischio di perdere la musica è grande, ma il caso sa essere un galantuomo, talvolta, e a 14 anni, durante una gita, a Mariano capita di suonare per la prima volta un pianoforte, non già un semplice harmonium, come sino ad allora aveva fatto. E stringe un patto col papà: gli avrebbe affittato un piano (di più non si poteva), e lui si sarebbe preso il suo bel diploma di ragioneria. E così andò, ma la musica, quella cosa che aveva nell’anima, non la abbandonò mai più.

A vent’anni comincia ad accompagnare al piano un cantante torinese, Rudy Anselmo, col quale si mette a scribacchiare dei testi, affinando quella difficile arte, perché le parole, Mariano lo scopre subito, hanno una loro musica.

Nel 1960 la patria chiama (eh, sì, era proprio un’altra Italia: questo però non lo rimpiangiamo), e il giovane trascorre la naia nella caserma del 7° artiglieri di Torino. Ed ecco, di nuovo il caso galantuomo. Mariano incontra una recluta, già noto come cantante: i due si trovano, stringono amicizia. Quella recluta è Adriano Celentano, un volpone dal fiuto infallibile: subito propone al novello amico di entrare nel suo gruppo, I Ribelli, come tastierista.

È solo l’inizio: Mariano comincia a fare esperienza con l’arrangiamento, e quando il Molleggiato crea l’etichetta Clan Celentano, ne diviene l’arrangiatore ufficiale. Il suo primo lavoro, Sei rimasta sola ottiene un gran successo, ma Mariano ormai scrive anche canzoni: sua è Ciao amore, portata al successo dall’amico Adriano.

La strada è ormai tracciata: dall’aprile 1962 al dicembre 1967 è l’arrangiatore di tutte le incisioni degli artisti del Clan: Ricky Gianco, Don Backy, Gino Santercole, cura gli arrangiamenti di tutte le manifestazioni musicali dell’epoca (Festival di Sanremo, Festivalbar, Un disco per l’estate ed altre), e arrangia anche i dischi di altri artisti, come l’emergente Al Bano (Nel sole) e la divina Mina (Insieme, Viva lei).

E non solo: nel 1963 aveva composto la prima delle oltre trenta colonne sonore di cui è accreditato, per il film Uno strano tipo. Soprattutto, lega il suo nome per oltre un decennio (1961-1973) a Don Backy: dal fruttuoso sodalizio nascono grandi successi come L’immensità, Canzone, Casa bianca, Un sorriso e numerose altre. Purtroppo per entrambi, anni dopo l’amicizia sfocerà in una causa che Don Backy gli intentò, rivendicando la paternità di quelle canzoni. La storia è rimasta negli annali, e non sapremo mai com’è andata. Nel 2009 la Corte di Cassazione diede ragione a Mariano, mentre Aldo Caponi, alias Don Backy, ancora oggi in un post su Facebook, pur piangendo l’antico amico, conferma quanto sempre da lui dichiarato.

Logoratosi il rapporto con Don Backy e con Celentano, nel 1968 Mariano lascia il Clan e presta la sua opera per le più grandi etichette discografiche dell’epoca: EMI, CBS, Dischi Ricordi. Il suo talento non poteva non incrociare quello del grande cantautore reatino, Lucio Battisti, del quale cura le incisioni sino al passaggio di quest’ultimo alla Numero Uno. Tanto per citarne alcune in cui lascia il segno: Mi ritorni in mente, Acqua azzurra, acqua chiara, Fiori di rosa, fiori di pesco.

Ma sono in tanti gli artisti e i gruppi che si avvalgono del talento di Mariano: Bobby Solo, l’Equipe 84 (Tutta mia la città), i Camaleonti, l’esordiente Edoardo Bennato (per un 45 giri oggi da collezione: Marylou/La fine del mondo).

Negli anni ’70 riallaccia i rapporti con il Clan Celentano, e arrangia il grande successo Prisencòlinensinàinciùsol (tra l’altro è ancora in corso una causa con Celentano, in quanto Mariano ne rivendicava la paternità per la parte musicale), oltre a scrivere la colonna sonora del già citato Yuppi du.

Mariano lascia traccia anche nel teatro, scrivendo con Renato Rascel (del quale aveva arrangiato la canzone Sì, buonasera) e Dino Verde la commedia musicale In bocca all’ufo, rappresentata nei teatri italiani con buon successo nella stagione 1979-1980.

Il suo marchio di fabbrica Mariano lo lasciò anche in una forma musicale allora in voga, quella delle sigle di cartoni animati, remunerativa attività iniziata nel 1979: tra le tante, Mazinga, Gundam, Astroganga, Lo strano mondo di Minù.

I tempi sono ormai maturi, e in quello stesso periodo Mariano fonda una propria etichetta discografica, la CLS. Sempre negli anni ’80, a dimostrazione della spiccata capacità di saper captare le novità del variegato mondo dello spettacolo, compone colonne sonore per spettacoli televisivi, tra cui il celeberrimo Drive In, ed altre per lungometraggi: il rutilante esordio di Maurizio Nichetti, Ratataplan, i successi di pubblico Qua la mano, Il bisbetico domato, Spaghetti a mezzanotte.

Negli anni Duemila si dà per lo più alle edizioni musicali, e nel 2006 viene insignito del “Leone d’oro alla carriera” insieme ad altri artisti: Tony Renis, Al Bano, Edoardo Vianello. Nel 2011 diventa cittadino onorario di Poggio Bustone, il paese natale del suo grande amico, Lucio Battisti. Mariano verrà anche ricordato per la battaglia portata avanti per il riconoscimento di un ruolo spesso negletto, quello dell’arrangiatore: “Sono convinto che un buon arrangiatore, quando fa bene il suo lavoro, è anche autore di un brano e il suo nome dovrebbe comparire accanto a quelli dell’autore del testo e dell’autore della musica”. Grazie al suo impegno, nel 2010 la SIAE ha riconosciuto questo diritto per gli arrangiatori, nei casi in cui questi, “in sede di stesura definitiva di un’opera originale, abbiano apportato un intervento creativo e compositivo”. Com’è stato appunto per gli inconfondibili arrangiamenti di Detto Mariano.

Piangiamo dunque un’ennesima perdita, umana e d’artista. E con lui, la perdita d’un pezzo d’Italia.

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