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Dune, dal capolavoro di Herbert all'opera (in)compiuta di Villeneuve: quando lo sci-fi diventa cinema d'autore
Dopo un passato burrascoso, il romanzo di Frank Herbert degli anni 60’ ha finalmente una nuova trasposizione cinematografica. Ma che tipo di film bisogna aspettarsi?
Siamo nel 1965 e Frank Herbert concepisce l’opera che più ha ispirato la fantascienza contemporanea: Dune. La serie di romanzi, divenuti capisaldi dello scorso secolo, ha influito su opere come Star Wars e Game of Thrones inserendosi in temi quali la politica, l’ecologia, la religione e la tecnologia, dipingendo un mondo unico e straordinario.
Tutti i registi che negli anni ne hanno tentato una trasposizione in pellicola hanno fallito miseramente. Il leggendario adattamento di Jodorowsky, pensato negli anni ’70, non fu mai realizzato, sia a causa della sua durata proibitiva (10 ore di film), sia per la riluttanza da parte dei produttori hollywoodiani ad assegnargli la regia di un tale colossal fantascientifico. Divenne così un cult incompiuto, come riportato nel documentario “Jodorowsky’s Dune” del 2013, che nelle idee del regista avrebbe vantato la collaborazione di Orson Welles, Gloria Swanson, Alain Delon, Udo Kier, Mick Jagger e addirittura Salvador Dalì. Per la colonna sonora i Pink Floyd; Moebius agli storyboard; H.R. Giger (l’illustratore che avrebbe poi concepito Alien) per la cura del design ed infine agli effetti visivi gli esperti di Guerre Stellari.
Persino Ridley Scott, fresco del successo di “Alien”, considerò il progetto troppo ambizioso. Dopo la morte del fratello per infarto temette che, in quella lavorazione che intravedeva come insormontabile, anche il suo cuore avrebbe potuto cedere. Quindi lasciò perdere e si dedicò a Blade Runner.
La patata bollente passò così a David Lynch: nel 1984, a distanza di quasi vent’anni dall’uscita del romanzo, il produttore De Laurentiis fiutò l’imponenza del lavoro e la necessità di dover realizzare almeno una trilogia. Tuttavia, non convinto del progetto a lungo termine, ammaliò il regista, reduce dal successo planetario di “The Elephant Man”, e lo convinse a realizzare un’unica, quanto frettolosa, pellicola che tutt’ora lo stesso regista statunitense rinnega. E chissà che negli anni non abbia avuto qualche piccolo rimpianto dal momento in cui preferì girare Dune rifiutando l’offerta di George Lucas per “Star Wars: Il Ritorno Dello Jedi”.
Nei primi anni 2000 toccò al piccolo schermo: le serie tv “Dune: il destino dell’universo” e “I Figli di Dune” non ebbero una risonanza meritevole e finirono ben presto nel dimenticatoio nonostante fossero molto fedeli ai libri. Il potpourri fantascientifico fece scadere i telefilm in una moltitudine ludica di effetti speciali fini a se stessi, facendogli perdere di vista la vera essenza dell’intera opera: l’interiorità e la crescita dei personaggi. Si ebbe così la sensazione che una trasposizione in pellicola fosse a questo punto impossibile. A distanza di quasi vent’anni è stato affidato a Denis Villeneuve l’arduo compito di rendere giustizia al romanzo padre della fantascienza.
Trama
In un futuro tendente all’anno 10.000 in cui l’umanità ha subito dei considerevoli cambiamenti, evolvendosi sotto l’aspetto scientifico e spirituale, l’inospitale pianeta di Arrakis (una letterale distesa di sabbia) viene sfruttato per anni dalla casata Harkonnen per raccogliere la ‘Spezia’, una sostanza preziosissima particolarmente utile per i viaggi interstellari tra le galassie. Durante la colonizzazione del pianeta, la famiglia è costretta a combattere contro le insidie dei nativi, i Fremen. Gli Atreides, invece, sono una casata in ascesa: gli Harkonnen, sentendosi minacciati da loro, gli offrono strategicamente il controllo di Arrakis e la responsabilità di rifornire l’Impero di Spezie. La famiglia Atreides accetta l’irrifiutabile offerta “padriniana” e si trasferisce sul pianeta cercando di cambiare i rapporti tra i nativi e i coloni per raggiungere uno “status quo” con i Fremen. Tuttavia si scoprirà ben presto che la loro offerta è un ‘cul-de-sac’ e che è quindi tutta una trappola per porre fine all’ascesa degli Atreides.
Dune di Villeneuve è un film maturo, adulto, serio e serioso, dallo scorrimento scandito ma non troppo lento: è compiuto nella sua incompiutezza dal momento in cui è la rappresentazione fedelissima di una sola parte del primo romanzo di Herbert, e che mantiene i tratti poetici, e la riconoscibilità artistica, del regista canadese.
I meriti, oltre che di Villeneuve, sono anche del compositore della colonna sonora, Hans Zimmer, per aver vestito l’intera pellicola con atmosfere scandite e da “mille e una notte”, e di Greig Fraser, per la cura maniacale della fotografia, calda, che esalta i paesaggi desertici restituendo il senso di ‘fantastica’ desolazione di un ambiente tanto ostile quanto seducente, che ha reso ogni singola inquadratura meravigliosa come un quadro di Caravaggio. Senza tralasciare le splendide interpretazioni di un cast corale che ruota attorno ad un ottimo Timothée Chalamet nei panni di Paul Atreides, il protagonista della pellicola: l’attore compie un lavoro su se stesso impagabile riuscendo a restituire l’orgoglio e il tormento del ragazzo atterrito e angosciato dalla paura di un domani sempre più incerto, il coraggio e l’incoscienza di chi non si arrende e il timore di chi sta scoprendo passo passo quel che c’è da sapere.
Ma se tutto il cast è stato a dir poco formidabile, è Arrakis il vero protagonista del film, con i suoi paesaggi, le sue creature e la sua distesa di sabbia sconfinata. Non nuovo alla maestria nel creare suggestive atmosfere, Villeneuve con Dune si è decisamente superato: campi lunghi da incorniciare, scorci di pianeti e galassie sconosciute che portano il pubblico in sala ad apprezzare la semplicistica bellezza di un mondo nuovo. Le inquadrature trasmettono un senso di grandezza e di profondità che raramente si sono viste sul grande schermo: merito ancora una volta della fotografia di Fraser e degli effetti speciali di Gerd Nefzer e Paul Lambert.
Mai sopra le righe e riflessivo fino al midollo, mostra una crescita esponenziale dei suoi personaggi ma prendendosi il suo tempo. Il Dune di Villeneuve ridisegna la concezione della fantascienza fin troppo relegata nell’immaginario collettivo ai blockbuster Marveliani. L’action è centellinato e lascia il posto al dialogo, alla riflessione ed alle sottotrame religioso-politiche. Non c’è spazio per gli “spiegoni”, piuttosto tutto quello che c’è da sapere viene mostrato con espedienti e maestria da parte di un regista in grado di far vedere un universo nuovo, padre della migliore fantascienza di questo e dell’altro secolo e, soprattutto, figlio del suo tempo.
Villeneuve rispetta l’opera senza snaturarsi e senza denaturarla facendola propria. E’ tutto in contrasto: la monumentalità e la sacralità; la spiritualità e la tecnologia. E’ un film che parla di predestinazione strizzando un occhio al sacro e l’altro al profano: Paul Atreides è un eletto, un messia, ma la profezia è ottenuta da una tecnologia (fanta)scientifica, talmente tanto evoluta da potersi considerare magia pura.
Il film parla in qualche modo di noi, nulla è lasciato al caso, l’uso di tecnologie avanzatissime è basato su un retaggio antico: quello della nostra civiltà. Dune parla del mondo di oggi mascherandolo con il migliore sci-fi conosciuto ma senza che nulla venga mai completamente palesato. Parla della nostra storia, ambientata in un futuro anteriore nel quale la stirpe umana ha colonizzato tutti i pianeti della galassia, portandosi dietro rimasugli atavici della vecchia cultura terrestre.
I parallelismi con la contemporaneità vengono da sé: la situazione mediorientale; l’analogia tra petrolio e spezia; la colonizzazione per ottenerlo/a; i soldi che annullano la bellezza della natura e così via.
I paragoni con altre saghe, come Game of Thrones e Star Wars, sono naturali dal momento in cui entrambe hanno attinto molto dall’opera di Herbert pur essendo ad ogni modo di una pasta differente. Paragonato molto spesso anche al Signore degli Anelli per via dell’intricato universo in cui i personaggi si districano, condivide con la trilogia il baluardo di “adattamento impossibile”. Così come Dune, anche il Signore degli Anelli aveva visto numerosi registi fallire nel tentativo di rappresentare l’opera di Tolkien al cinema fino ai primi anni 2000, quando un ispiratissimo Peter Jackson consegnò all’eternità un adattamento cinematografico (letteralmente) da Oscar. La difficoltà della trasposizione dell’opera mette Villeneuve in un’elite registica di cui pochissimi fanno parte (Steven Spielberg, Stanley Kubrick e Peter Jackson, giusto per citarne qualcuno).
Il film non presenta apparentemente sbavature, è vero, ma ha comunque un immenso errore di fondo: ciò che non viene mai detto durante la promozione è che il vero titolo del film è “Dune – Parte 1” e che questo “è solo l’inizio”: è tutto un grande trampolino di lancio.
Una storia che non ha paura di prendersi il suo tempo per presentare meglio luoghi e persone e costruire il famoso antefatto indispensabile per ciò che poi sarà. Entrare nel merito della lotta tra le diverse casate risulta difficile perché non esistono ‘spiegoni’ e i ruoli e le alleanze e le motivazioni sono lasciati alla tenacia di uno spettatore attento.
Nonostante le mille difficoltà dettate dai ritardi causati dal Covid potrebbe sembrare che Villeneuve non sia caduto in nessuno tranello e che sia scampato alle sfortune dei colleghi che lo hanno preceduto. Ma è presto per cantare vittoria: il destino del sequel dipenderà unicamente dagli incassi di questo primo capitolo e dalla sua performance sulla piattaforma statunitense HBO Max.
Dopo anni di predominio Marvel, il cinema del 2021 merita anche opere sci-fi del genere: il film riesce ad essere spettacolare in un senso diverso, imprigionando lo spettatore nel suo mondo desolato. Certi autori meritano di essere supportati, senza aver paura di mostrare se stessi e senza dover scendere al compromesso di una fantascienza tutta azione ed effetti speciali. Tuttavia, dopo il flop di Blade Runner 2049, si potrebbe pensare che i lavori di Villeneuve non siano abbastanza efficaci e abbiano poca presa sullo spettatore, non giustificando, così, i budget eccessivamente elevati. Ma dopotutto, come ci insegna stesso il film, “la paura uccide la mente” ed il cinema ha estremo bisogno di questa qualità e di questa sostanza: è fondamentale che lo sforzo e l’attesa degli spettatori più audaci venga ripagata con il secondo capitolo di questa saga con l’augurio che, magari, Dune possa rappresentare per la generazione Z ciò che il Signore degli Anelli o Harry Potter hanno rappresentato per i Millennials.