di Chiara Zanini
Tra i film in programma a Venezia per le Giornate degli autori c’è il cileno Tengo miedo torero di Rodrigo Sepúlveda, adattamento del libro omonimo (“Ho paura torero“, edito in Italia da Marcos y Marcos) dello scrittore Pedro Lemebel, morto nel 2015. Sepúlveda ha diretto numerosi episodi di serie televisive e i suoi film attenti ai temi sociali sono stati selezionati nei più importanti festival internazionali. Lemebel è stato un autore “camp” e provocatorio, comunista, sovversivo e innovativo, simbolo della controcultura, che per importanza, tematiche e fama può essere avvicinato in Italia a Pasolini o a Tondelli, ma con una dose maggiore di performatività. Va sottolineato che fino al 1999 l’omosessualità in Cile era un crimine. L’unico romanzo di Lemebel è ambientato nel 1986 in Cile, nei giorni che precedono l’attentato al dittatore Pinochet che aveva comandato per 17 anni. Lemebel aiutò gli organizzatori dell’attentato a nascondere le armi.
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Il travestito protagonista del suo film, la Loca del Frente, è interpretato da Alfredo Castro, protagonista di molti film di Pablo Larraín (oltre a È stato il figlio di Daniele Ciprì). Ha scelto Castro per l’interesse che ha dimostrato per il cinema politico?
Ho scelto Castro per tre motivi: il primo è perché è il miglior attore per questo ruolo. Alfredo, nel corso della sua carriera, ha avuto ruoli difficili e irruenti, esponendosi con il corpo, con la voce, con il silenzio. Il secondo motivo è che questo attore ha lavorato in teatro qui in Cile in diverse produzioni dove il tema centrale è stato il travestitismo e le questioni di genere. E infine, il terzo motivo è che Pedro Lemebel, l’autore del romanzo Tengo Miedo Torero, su cui si basa la sceneggiatura, prima di morire chiese ad Alfredo di interpretare il personaggio della Loca qualora fosse stato girato l’adattamento cinematografico della sua opera teatrale.
Come è possibile portare al cinema oggi la lotta di classe?
Il Cile è uno dei paesi con più disuguaglianze nel suo continente. Stiamo vivendo una crisi politica di grandi dimensioni perché i cittadini chiedono che il modello di sviluppo del Paese venga cambiato con un modello più inclusivo. Infatti quando è iniziata la pandemia la gente era in strada, partecipava a manifestazioni di massa. Il 25 ottobre c’è stata una manifestazione di circa 1.200mila persone che hanno chiesto giustizia sociale, e la figura di Pedro Lemebel era presente, ad esempio, come vero emblema delle istanze sociali. In questo scenario, questo film che mostra un Cile oppresso da una feroce dittatura è un ritorno alla memoria di cosa è stata l’oppressione del popolo. Significa mettere in discussione non solo la lotta di classe, ma anche rilevare la persecuzione e l’esclusione di genere che in quegli anni era anch’essa feroce.
Oggi ci sono molte occasioni per conoscere l’opera di Lemebel: oltre al suo film, lo scorso anno è uscito anche un documentario omonimo di Joanna Reposi ed è ripreso lo spettacolo teatrale “La ciudad sin ti”. Quali sono secondo Lei le ragioni principali che portano il pubblico ad interessarsi all’opera di questo autore oggi come in passato? Qual è la sua eredità?
Pedro Lemebel, con Tengo Miedo Torero, espone tutte le marginalità che vivevamo nel nostro Paese. La povertà, la miseria, il rifiuto dell’omosessualità, la disuguaglianza in generale e anche in termini di identità delle persone. Tutte le marginalità ci sono, in questo profondo romanzo. Ma non è tutto. Come attivista, scrittore e performer, Lemebel ha esposto il suo corpo e la sua vita sotto la dittatura. Possiamo dire che è stato un precursore della liberazione culturale, sociale e sessuale di questo Paese.
Nelle manifestazioni dello scorso ottobre in Cile ci sono stati morti e feriti. Quali sono le istanze sociali per Lei più urgenti oggi nel suo paese? Possiamo dire che i cileni combattono ancora contro il modello descritto da Lemebel, fatto di neoliberismo, privatizzazioni, classismo, disuguaglianze sociali, patriarcato… e ipocrisia?
Vorrei citare le parole del manifesto di Lemebel:
“… Io non cambierò per il marxismo
Che mi ha rifiutato tante volte
Non ho bisogno di cambiare
Sono più sovversivo di voi
Non cambierò soltanto
Perché i poveri e i ricchi
Che lo faccia qualcun altro
E nemmeno perché il capitalismo è ingiusto
A New York i froci si baciano per strada
Ma quella parte la lascio a voi
Dato che vi interessa tanto
Che la rivoluzione non marcisca del tutto
A voi lascio questo messaggio
E non è per me
Io sono vecchio
E la vostra utopia è per le generazioni future
Ci sono tanti bambini che nasceranno
Con un’ala spezzata
E io voglio che volino, compagni
Che la vostra rivoluzione
Dia loro un pezzo di cielo rosso
Perché possano volare”.
Con queste parole (tradotte in italiano da Silvia Falorni, ndr) Lemebel conclude il suo Manifesto (“Parlo per la mia differenza”), che fu letto davanti alle nuove autorità politiche al ritorno della democrazia in Cile. Non è difficile capire perché oggi Lemebel si ponga come figura morale e coraggiosa per i giovani che sono scesi in piazza per protestare. Pedro è pura verità, indomita. Credo che questa sia la strada del cinema, la strada del Cile per porre fine a tanta disuguaglianza e ipocrisia.
Lemebel definiva i diritti civili una “miserabile elemosina”. Lei come la pensa a riguardo?
Lui non è mai stato d’accordo con il matrimonio omosessuale. Pensava che imitare comportamenti e istituzioni eteronormative non fosse la strada da seguire. Credo che intendesse questo quando parlava di quella miserabile carità, ancora una volta vorrei lasciarlo parlare:
“La mia virilità è stata sopportare le beffe
Ingoiare la rabbia per non ammazzare tutti
La mia virilità è accettarmi diverso
Essere codardo è molto più difficile
Io non porgo l’altra guancia
Porgo il culo, compagni
E quella lì è la mia vendetta
La mia virilità aspetta paziente
Che i machos diventino vecchi
Perché a questo punto
La sinistra svende il suo culo flaccido
Nel parlamento”.
Lei sarà presente al festival di Venezia? Si era parlato della possibilità di una quarantena di due settimane per gli ospiti, ma poi non è stato così.
No, sarò in Cile per la prima. Mi sarebbe piaciuto visitare Venezia e condividere con il pubblico italiano, ma è anche una buona notizia per me come regista accompagnare il pubblico cileno, visto che qui avremo la prima il 12 settembre.