Ricordate le quattro belle figlie francesi che, con la costernazione dei civilissimi genitori, avevano sposato chi un senegalese, chi un ebreo, chi un arabo musulmano, chi un figlio di cinesi ateo? Era il film “Non sposate le mie figlie”. Una commedia sull’integrazione, il razzismo strisciante, il politicamente corretto, l’ipocrisia e la famiglia che ha avuto un successo incredibile incassando 150 milioni di euro. Tanto è andato bene che i produttori hanno voluto il sequel sulla famiglia Verneuil ed è nelle sale italiane “Non sposate le mie figlie! 2” con la regia di Philippe de Chauveron distribuito da 01.
Gli anziani Claude (Christian Clavier) e Marie (Chantal Lauby) Verneuil hanno dovuto accettare i matrimoni che quattro figlie: Rachid (Medi Sadoun) è musulmano di origini algerine e marito di Isabelle, interpretata da Frédérique Bel; Chao (Frédéric Chau) è ateo e cinese e marito di Ségolène (Emilie Caen); David (Ary Abittan) è ebreo e sposo di Odile, che ha il volto di Julia Piaton; Charles (Noom Diawara) ivoriano, è marito di Laure, interpretata da Elodie Fontan. Ma i quattro uomini non si sentono trattati da francesi quali sono e le quattro coppie, ognuna indipendentemente dall’altra, hanno deciso di andare altrove, nei paesi dei mariti per avere un’altra accoglienza. Con sommo dispiacere e sconvolgimento della coppia dei genitori Marie e Claude. Che non vuole che le figlie lascino la Francia.
Con una sequela di imprevisti e intoppi, il regista ha dichiarato alle agenzie di aver colto timori e quanto si respirava nell’aria in Francia sentendo ” persone dire che se ne sarebbero andate dalla Francia in caso di vittoria di un certo partito, mentre molti cittadini appartenenti a minoranze etniche si lamentavano della discriminazione di cui erano vittime”. Ha detto di non voler dare altri significati che voler divertire pur aggiungendo che “Se proprio deve esserci un messaggio sarebbe che viviamo tutti nello stesso paese, tanto vale fare in modo che tutto vada per il meglio e che ciascuno di noi possa essere felice”. Ma nel cinema il messaggio, per dirla tutta, spesso travalica le intenzioni degli autori.