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Marco Giallini parla dei suoi idoli, le sue passioni e dichiara: non posso morire, sono solo con i miei figli

L'attore romano interpreta Giuliano, un malato di cancro che rifiuta le cure in 'Domani è un altro giorno': "Il mio personaggio è coraggioso, non sceglie di farla finita in anticipo. Vuole solo chiudere meglio che può".

Marco Giallini parla dei suoi idoli, le sue passioni e dichiara: non posso morire, sono solo con i miei figli
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22 Febbraio 2019 - 12.39


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Marco Giallini è il protagonista del nuovo film di Simone Spada, ‘Domani è un altro giorno’.
Giallini interpreta Giuliano, un attore romano affetto da un cancro ai polmoni che decide di rinunciare alle cure, salutare tutte le persone più care in quattro giorni e “chiudere meglio che può”. L’attore ha parlato del suo personaggio in un’intervista per ‘Il Messaggero’.
“Quando hai dei figli da accompagnare pensi sempre ‘io non posso morire, non me lo posso permettere. Ma sono uno in genere coraggioso. E una scelta come quello di Giuliano la capisco. Non sceglie di farla finita in anticipo. Vuole chiudere meglio che può”.
Il film riprende una pellicola argentina del 2015, Truman. Si tratta di un film sull’amicizia e, come può sembrare, non tratta l’eutanasia: Giuliano sceglie di aspettare il suo momento, non di finire prima il suo tormento. Giallini, però, non demonizza una scelta del genere. Si sente favorevole alla possibilità di scelta: il suo Dio di riferimento è quello di De Gregori.
“Fra l’altro, ma io sono favorevole a questa possibilità. Il Dio che conosco è quello di una canzone di De Gregori, Ti leggo nel pensiero: “E chiedimi perdono per come sono, perché è così che mi hai voluto tu!”. E io credo che Dio non se la prenderà per una scelta estrema come questa”.
Giuliano è un personaggio “guascone, tipo Gassman nel Sorpasso. Uno che si sceglie la bara e chiede lo sconto o un usato garantito”. Lui ammette di averlo interpretato con “pancia e cuore”, come fa sempre nei suoi ruoli. In questa parte c’era qualcosa di suo, in fondo: il padre, “socialista idealista”, è morto di cancro, quando aveva 73 anni.
“Rivedendomi, ho capito che da dentro – pancia e cuore – riemergono le esperienze e le emozioni vere. Papà è morto di cancro a 73 anni […] Mi ricordo la prima volta in teatro, all’Argentina: volle parlare col regista. E non sapeva come chiamarlo: capo, dottore. Allora, come se la cava ‘sto ragazzo? Con quell’accento romano. Voleva conferma che la scelta artistica fosse quella giusta”.
Il film è ambientato nella sua Roma, “una Roma struggente che accompagna una storia struggente”. Una città che riconosce e sopporta sempre meno, nonostante continui ad amarla. Non è più la “Roma dei quartieri” dov’è cresciuto. Non ne riconosce gli odori, l’argomento preferito delle sue chiacchierate con Enzo Jannacci, che gli parlava di Milano.
“Mi mancano gli odori dei negozi di stoffe a Corso Vittorio, quello di gomma dell’armeria di Montesacro […] Di odori della città mi parlava sempre Jannacci, quando mi spiegò Milano: diventammo amici. […] I suoi racconti mi fecero amare Milano”.
Infine, si parla di idoli. passando da Toni Servillo – “gli piace Schiavone. […] Lo osserverei due ore anche se stesse sempre zitto” -, a George Best, fino a Falcone e Borsellino. Giallini ama i ribelli, le persone che danno tutte sé stesse per poi perdere. In particolare Caravaggio, la persona che vorrebbe essere.
La mia vera passione, però, sono i ribelli: nella musica, nello sport, nella vita. Gente che poi perde: Meroni e McEnroe, Best, Falcone e Borsellino. […] mi piacerebbe essere Caravaggio. Ma non a teatro: sono me stesso, totalmente, solo sul set”.

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