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Gian Maria Volontè, il grande attore che rifiutava il cinema 'apolitico

Il 6 dicembre del 1994 fu stroncato da un infarto. Aveva detto: o ci si accontenta così di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressiste della società

Gian Maria Volontè, il grande attore che rifiutava il cinema 'apolitico
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6 Dicembre 2018 - 22.11


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Il 6 dicembre del 1994, Gian Maria Volontè moriva d’infarto in Grecia, sul set del film di Theo Anghelopoulos ‘Lo sguardo d’ Ulisse’.
Personaggio e intellettuale raro, se non unico, in Italia, per la sua capacità di andare oltre la professione, la parte o il ruolo assegnati, Volontè, come anche Pasolini, aveva una vocazione innata a stare in mezzo alle cose, prendere posizione, vivere le passioni e le complessità in prima persona, non limitandosi mai a rappresentarle o interpretarle.
”Io accetto un film o non lo accetto – diceva – in funzione della mia concezione del cinema.
E non si tratta qui di dare una definizione del cinema politico, cui non credo, perché ogni film, ogni spettacolo, è sempre politico.
Il cinema apolitico è un’ invenzione dei cattivi giornalisti. Essere attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta così di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressiste della società”.
I suoi film:
Il tiranno Banderas di José Luis García Sánchez 1994.
Una storia semplice di Emilio Greco del 1991.
Porte aperte di Gianni Amelio del 1990.
Tre colonne in cronaca di Carlo Vanzina del 1990 .
L’opera al nero di André
Delvaux del 1988.
Cronaca di una morte annunciata di Francesco Rosi del 1987.
Un ragazzo di Calabria di Luigi Comencini del 1987.
Il caso Moro di Giuseppe Ferrara del 1986.
La morte di Mario Ricci di Claude Goretta
del 1983.
La storia vera della signora delle camelie di Mauro Bolognini del 1981. Stark System di Armenia Balducci del 1980. Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi del 1979. Ogro di Gillo Pontecorvo del 1979. Io
ho paura di Damiano Damiani del 1977. Todo modo di Elio Petri del 1976. Actas de Marusia – Storia di un massacro di Miguel Littin del 1975. Il sospetto di Francesco Maselli di Francesco Maselli del 1975. Giordano Bruno
di Giuliano Montaldo del 1973. Lucky Luciano di Francesco Rosi del 1973. Il caso Mattei di Francesco Rosi del 1972. L’attentato di Yves Boisset del 1972. La classe operaia va in paradiso di Elio Petri del 1972. Sbatti il
mostro in prima pagina di Marco Bellocchio del 1972. Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo del 1971. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri del 1970. I senza nome di Jean-Pierre Melville
del 1970. Uomini contro di Francesco Rosi del 1970. Sotto il segno dello scorpione di Paolo e Vittorio Taviani del 1969. Vento dell’est di Gérard Martin, Jean-Luc Godard, Jean-Pierre Gorin del 1969. Banditi a Milano di Carlo
Lizzani del 1968. I sette fratelli Cervi di Gianni Puccini del 1968. L’amante di Gramigna di Carlo Lizzani del 1968. Summi di Giorgio Bontempi del 1968. A ciascuno il suo di Elio Petri del 1967. Faccia a faccia di Sergio
Sollima del 1967. L’armata Brancaleone di Mario Monicelli del 1966.. La strega in amore di Damiano Damiani del 1966. Le stagioni del nostro amore di Florestano Vancini del 1966. Quien sabe? di Damiano Damiani
del 1966. Svegliati e uccidi (Lutring) di Carlo Lizzani del 1966. Per qualche dollaro in più di Sergio Leone del 1965. Il magnifico cornuto di Antonio Pietrangeli del 1964. Per un pugno di dollari di Sergio Leone del 1964
Il peccato di Jorge Grau del 1963. Il taglio del bosco di Vittorio Cottafavi del 1963. Il terrorista di Gianfranco De Bosio del 1963. Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy del 1962. Un uomo da bruciare di Paolo e Vittorio
Taviani, Valentino Orsini del 1962. A cavallo della tigre di Luigi Comencini del 1961. Antinea, l’amante della città sepolta di Edgar G. Ulmer, Giuseppe Masini del 1961. Ercole alla conquista di Atlantide di Vittorio Cottafavi
del 1961. La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini del 1961. Sotto dieci bandiere di Duilio Coletti del 1960.
Hanno detto di lui
«È stato, e resta, uno dei più grandi attori del cinema mondiale». Il regista Francesco Rosi ha definito così Gian Maria Volontè nel documentario biografico “Un attore contro”: lo stesso avevano detto di lui altri due registi come Orson Welles e Ingmar Bergman. È difficile dargli torto: Gian Maria Volonté è stato per oltre trent’anni l’attore impegnato del cinema italiano, riuscendo a fondere grandissime doti recitative, un’incredibile presenza scenica e una gran coerenza nella scelta dei film da interpretare. E ne ha fatti tanti: è stato il cattivo nei film di Sergio Leone (dove era ancora doppiato, com’era prassi all’epoca), il nobile decaduto nell’”Armata Brancaleone” di Monicelli e poi ha iniziato a interpretare film “impegnati”, facendo la vittima o il carnefice a seconda dei casi, sempre al centro di storie che cercavano di raccontare l’Italia di quegli anni.

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